Domani è un altro giorno: sul ruolo dell’HR nell’era dell’intelligenza artificiale
Ieri, guardando il sole scendere piano dietro l'orizzonte del mare e delle montagne in questo posto del mio cuore, ho pensato a quanto la luce del tramonto somigli a certi momenti di transizione nelle nostre vite. Quei momenti in cui tutto sembra calmo, quasi sospeso, ma dentro di noi sappiamo che qualcosa sta cambiando. Domani è un altro giorno. Così diceva anche Rossella O'Hara in "Via con il vento". E ogni giorno porta con sé una domanda: che spazio vogliamo dare al nostro pensiero, alla nostra consapevolezza, nel modo in cui viviamo — e lavoriamo — con la tecnologia?
È una riflessione che mi accompagna da tempo, ma che ha trovato nuove parole in un articolo uscito in questi giorni: “AI Chatbots Discourage Error Checking” di Pavel Samsonov. Un’analisi lucida e piuttosto inquietante di ciò che sta accadendo: i modelli di AI generativa (i famosi LLM) sono sempre più presenti nei contesti professionali, ma la loro apparente autorevolezza, la forma impeccabile con cui scrivono, ci porta a fidarci senza verificare. E questo non solo aumenta i margini di errore, ma mina alla base qualcosa di più profondo: la nostra capacità di restare attivi e critici nel processo di pensiero.
Non basta introdurre nuovi strumenti
L’articolo mette bene in luce come le persone spesso accettino le risposte dell’AI come vere, anche quando non lo sono, perché verificarle è faticoso, richiede tempo, e soprattutto competenze che non stiamo coltivando abbastanza.
Come professionisti HR, formatori, manager, abbiamo una responsabilità che va oltre la tecnologia. Abbiamo il compito di curare il mindset con cui le persone entrano in relazione con l’AI.
Perché l’intelligenza artificiale:
Ma non deve mai sostituire la nostra capacità di pensare. E proprio perché è così affascinante e potente, può diventare rischiosa se usata senza consapevolezza.
Quali competenze servono davvero?
Ci stiamo concentrando (giustamente) sul prompt design, sull’adozione degli strumenti, sull’integrazione dell’AI nei processi. Ma il vero salto culturale è un altro.
Serve allenare:
Non è questione di diventare esperti di AI. È questione di restare esperti di umanità.
L’efficienza non può diventare disattenzione
L’articolo racconta casi concreti: avvocati che citano sentenze inesistenti, medici che si fidano di diagnosi sbagliate, autori che pubblicano guide su funghi velenosi scritte da AI. Non per superficialità, ma per mancanza di strumenti mentali.
L’AI ci chiede di essere veloci, produttivi, pronti. Ma noi dobbiamo chiederci: che tipo di cultura stiamo costruendo?
Una cultura in cui il pensiero rallenta, si affida, si appiattisce? O una cultura in cui la tecnologia diventa un’occasione per elevare il pensiero, per metterlo alla prova, per accompagnarlo?
Il ruolo dell’HR oggi
Chi lavora nelle risorse umane non può restare ai margini di questa riflessione. L’introduzione dell’AI nei contesti lavorativi non è (solo) un progetto IT, ma un processo culturale e organizzativo profondo.
Come HR:
In un tempo in cui la macchina “ragiona” più velocemente di noi, la vera sfida è non smettere di pensare.
💬 Domani è un altro giorno. E forse la domanda più importante da farci è questa: Che tipo di umanità vogliamo portare dentro questo cambiamento?
📌 Se ti occupi di HR, formazione o innovazione e stai lavorando sull’adozione dell’AI nella tua organizzazione, mi piacerebbe scambiare idee. È un tempo in cui abbiamo bisogno di connessioni, domande vere, e scelte consapevoli.
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Amministratore e co-fondatore KNE, Learning Architect responsabile area Contenuti e Processi
4 mesiCiao Oriana, ho letto con attenzione il tuo pezzo e non posso non concordare con ogni aspetto della tua riflessione. Ma oltre al contenuto, di questo articolo mi ha colpito un'altra cosa: la formattazione. Non posso affermare con certezza assoluta che il tuo testo sia stato scritto con il contributo di una AI (ChatGPT o altro), ma posso dirti con discreta presunzione, che è stato almeno ispirato al “suo” stile… Ecco alcuni Indicatori stilistici e strutturali che ho riconosciuto: - Struttura ordinata e ritmata - Frasi brevi ma evocative. - Paragrafi tematici ben scanditi. - Uso strategico del grassetto per isolare idee chiave. - Elenchi puntati con verbi all'infinito (semplificare, accelerare, potenziare) molto efficaci. - Lessico specifico aderente ai contenuti HR/AI/soft skills - Chiusura ispirazionale + call to action personalizzata Ed infine, ma riconoscibile più di tutti: - Uso di emoji contestuali ma non invadenti L’uso sobrio e mirato di emoji come 💬 e 📌 è un segno distintivo dei testi per i social.
Learning & Development Consultant
4 mesicondivido in pieno le tue riflessioni. Però leggendoti mi è venuta in mente una parolina magica che regola da millenni le relazioni tra umani: la fiducia. È vero che il controllo delle fonti è la prima cosa che ti insegnano quando avvii una qualsiasi professione (forse la insegnano - ancora? - a scuola). Però spesso ci fidiamo degli altri. La fiducia poi, la pongo alla base del rapporto che ha consentito alla tecnologia di integrarsi con le nostre vite. Se non ci fidassimo, non le avremmo adottate. Ad un certo punto scopriamo che quella tecnologia ci ha tradito perché le nostre foto sono finite chissà dove o perché siamo spiati (ma forse più che la tecnologia, a tradirci è stato un altro essere umano). La mia è una premessa al fatto che forse siamo ancora nella fase del primo innamoramento: ci fidiamo di quello che l'IA ci sta dicendo perché vogliamo fidarci. Al di là della giusta pigrizia che tra le tue righe emerge. Dobbiamo invece imparare a dubitare, seguendo le capacità che tu esponi.
Unit B2B Business Development presso Gruppo Ebano
4 mesiRiflessioni profonde che evidenziano quanto sia importante - sempre.di più - coltivare cultura, pensiero critico, intelligenza e curiosità creativa.