Ghost in the Shell aveva previsto il futuro
Saliamo sulla macchina del tempo e facciamo un salto nel 1995. Mentre si accarezzava l’idea di un mondo iperconnesso grazie all’avvento di Internet, in Giappone usciva una pellicola che, con l’occhio critico di oggi, possiamo definire “oracolare”. In quell’anno, Kazunori Itō dirigeva Ghost in the Shell, una delle rare opere capaci di percepire un evento spartiacque e saperlo mostrare, ancor prima che i più potessero soltanto immaginarlo.
Motoko Kusanagi, la protagonista, non è la solita eroina da manga. È un cyborg, sì, ma con un'anima che si interroga sulla natura della coscienza, dell'identità e di ciò che ci rende umani. E non è roba da poco per il tempo: le sue domande, oggi, sono più attuali che mai, in un'epoca dove il confine tra uomo e macchina è sempre più argomento di dibattito.
Ma la componente “cyberpunk” è solo la punta dell’iceberg: il film, che riprende il messaggio veicolato dal manga di Mamoru Oshii, è una riflessione profonda sul rapporto tra tecnologia e società. I temi trattati – dall'intelligenza artificiale alla sovranità dei dati personali – sono argomenti scottanti della nostra quotidianità.
Fatevi un piacere e guardate Ghost in the Shell: più che passare del tempo davanti a un buon film, è un invito a riflettere su dove stiamo andando come civiltà tecnologicamente avanzata.
La fusione uomo-macchina
Come detto, l’aura quasi mistica che oggi accompagna Ghost in the Shell è da imputare alla capacità di aver saputo identificare una tendenza, immaginando un futuro dove la tecnologia non è un mero strumento, ma una parte essenziale dell'essere umano – che, per capirci, è un po’ quello che ha fatto Black Mirror.
Oggi, l’idea di un'integrazione totale tra mente umana e macchina non è però più relegata agli schermi. Se negli anni ’90 era vera e propria fantascienza, negli ultimi due anni, per tenersi stretti, gli avanzamenti in neurotecnologia e intelligenza artificiale sono testimoni, o campanelli d’allarme, dell'avvicinamento di questo futuro.
Un esempio? Il Neuralink che Elon Musk avrebbe iniziato a testare recentemente. Per non parlare degli innumerevoli chatbot, tools e programmi basati sull’AI che hanno registrato un boom enorme nel 2023.
Sì, Ghost in the Shell ci aveva visto lungo.
Detto questo, la pellicola diventa un'opera ancora più profonda che non si limita a mostrare la fusione uomo-macchina come un semplice progresso tecnologico: ci interroga sulle implicazioni etiche e sulla nostra identità in questo nuovo contesto. Dove finisce l'uomo e inizia la macchina? Come gestiamo i confini tra l'autonomia personale e l'integrazione con l'intelligenza artificiale?
Credo che, oggi più che mai, pochi di noi vorrebbero rispondere a domande simili.
La società della sorveglianza
Parliamo di un'altra profezia che sembra diventata realtà: una società sotto costante osservazione. Urge una premessa: 1984 è uno dei miei libri preferiti, però non credo si stia andando necessariamente in quella direzione. Il mondo non è in bianco e nero, ma in grigio. In cinquanta sfumature di grigio, per essere precisi.
Pausa scenica.
Allora, dicevamo. Ci troviamo in un mondo dove il Grande Fratello non è solo un personaggio di Orwell, ma un concetto che si sta avvicinando a grandi passi alla realtà. Le strade, i nostri smartphone, persino le scarpe che indossiamo – tutto, volente o nolente, diventa parte di questa rete di osservazione. Non c'è bisogno di essere paranoici, ma ammettiamolo, la somiglianza con la Tokyo del 2029 di Ghost in the Shell inizia a farsi un po' troppo reale.
E non si tratta solo di essere osservati – che già di per sé potrebbe dare un po' di paturnie – ma di come queste tecnologie stanno diventando sempre più sofisticate. I sistemi di riconoscimento facciale di oggi non si limitano a identificarci, ma riescono a leggere le nostre espressioni, a intuire il nostro umore in modi sempre più sorprendenti.
Tuttavia, prima di iniziare a parlare di teorie del complotto, fermiamoci un attimo. Questa tecnologia ha anche i suoi lati positivi che, tendenzialmente, sono più di quelli negativi. Pensiamo alla sicurezza, all'efficienza nella risoluzione di crimini, e sì, anche alla comodità che ci porta. Il punto è trovare il giusto equilibrio, capire dove tracciare la linea tra utilità e intrusioni.
È un po’ come in Fullmetal Alchemist: “Per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio qualcos'altro che abbia il medesimo valore”.
Ghost in the Shell centra questo punto con una precisione chirurgica, facendoci chiedere: stiamo andando nella direzione giusta? Stiamo costruendo una società che ci piace, oppure ci stiamo solo adattando a quella che la tecnologia sta modellando per noi?
Ai posteri l’ardua sentenza.
La guerra nel cyberspazio
Ed eccoci a un altro punto dove Ghost in the Shell sembra averci visto lungo: la guerra informatica. Sì, perché nella pellicola non è contemplato il “tradizionale” campo di battaglia presente nell’immaginario collettivo che, piuttosto, viene scalzato da un tipo di guerra nuova ma ugualmente terribile, nel cyberspazio. Anche questa visione, che negli anni ’90 poteva sembrare relegata all’immaginario “sci-fi”, oggi è una realtà tangibile.
Prendiamo, ad esempio, gli attacchi informatici su grande scala che hanno colpito istituzioni governative e aziende private negli ultimi anni. Pensiamo all'attacco ransomware alla rete sanitaria irlandese nel 2021, che ha messo in ginocchio un'intera nazione, o alla violazione dei dati di Equifax nel 2017, esponendo le informazioni sensibili di milioni di persone.
E proseguendo su questa linea, la guerra informatica ha guadagnato un ruolo decisivo anche in conflitti, purtroppo attuali, come quello russo-ucraino. In questo teatro di guerra moderno, attacchi mirati a sistemi di comunicazione e infrastrutture critiche hanno rivelato una nuova dimensione di conflitto.
Nello specifico, abbiamo assistito all'uso strategico della “cyberguerra” da entrambe le parti. Questo tipo di confronto, che va ben oltre la semplice interruzione dei servizi, ha il potere di destabilizzare una nazione, influenzare l'opinione pubblica e causare danni reali, molto al di là del mondo virtuale.
In questo scenario, la cyberguerra come un fronte a sé stante, con la sua logistica, strategia e conseguenze. La realtà illustrata in Ghost in the Shell è ora una parte integrante della nostra realtà geopolitica, segnando un cambiamento fondamentale nel modo in cui i conflitti vengono combattuti e percepiti nel XXI secolo.
Il futuro dell'identità nell'era digitale
Ora, alla fine di questo viaggio, un po' come Dante, ci troviamo di fronte alla parte più difficile della discesa in questo “Inferno”. Stiamo esplorando un territorio dove la domanda "chi siamo?" assume nuove, inquietanti sfumature. Nel mondo immaginato da Ghost in the Shell, Motoko Kusanagi si confronta con la sfida ultima dell'identità: un cyborg con un'anima che cos’è?
In questo intricato labirinto di realtà e finzione, la concezione di sé diventa un enigma. Siamo come Motoko, un amalgama di carne e circuiti, di esperienze umane e dati digitali? La nostra era, all’insegna della tecnologia, ci spinge a riflettere non solo su ciò che siamo, ma anche su ciò che potremmo diventare.
La frontiera tra uomo e macchina, sebbene sia ancora netta e definita, comincia pian piano a sfumarsi. Ogni giorno, interagiamo con sistemi intelligenti che apprendono da noi, riflettendo e forse anche modellando i nostri comportamenti e pensieri. La nostra identità digitale, fino a qualche anno fa una semplice proiezione di noi stessi nel cyberspazio, ora assume vita propria, influenzando come interagiamo con gli altri e come ci percepiamo.
Tirare le fila
In questo concetto chiave risiede il dilemma centrale: in un mondo dove le barriere tra l'umano e l'artificiale si dissolvono, come possiamo definire la nostra identità? Siamo ancora umani nel senso tradizionale del termine, o siamo diventati qualcosa di diverso, qualcosa di più complesso e multidimensionale?
Ghost in the Shell ci lascia con queste domande. Per la nostra società è già iniziato un viaggio dove dovremmo scegliere fra “ciò che è giusto e ciò che è facile” – come direbbe Silente – in cui sarà cruciale comprendere chi siamo e chi potremmo diventare in un futuro sempre più intrecciato con la tecnologia.