Il Brand: un’idea con peso specifico
Che il brand sia un intangible asset, cioè una risorsa ‘soft’ che contribuisce alla definizione del valore di un’organizzazione è dato assodato. Esistono metodi per calcolare l’entità del patrimonio che porta (il famoso equity), il suo valore monetario e per capitalizzarne le spese. Il caso Apple è noto: il solo marchio peserebbe circa il 30% del valore del colosso di Cupertino.
Quello che non è scontato, invece, è che le aziende se ne curino nell’operatività quotidiana; il brand è infatti un valore allo stato ‘gassoso’, che richiede investimenti costanti, che ripagano nel medio-lungo termine, in modo discreto ma preciso. Insomma: il brand costa, non si stringe fra le mani, ma porta valore.
Per Brand intendo quegli elementi identitari di base che ogni impresa, anche piccola e start-up, non può evitare di considerare nel presentarsi ai mercati: nome, logo, colori, font, design, stile, tono, foto, valori, ecc.. La rigorosa applicazione dello stile identitario sui vari touchpoint aziendali, lo sviluppo coerente degli elementi visuali e la loro ripetizione sui vari artefatti fisici e digitali generano nel tempo riconoscibilità (awareness), affezione (loyalty) e associazioni (reputation).
Poiché il brand è un’idea, una potentissima idea, non è immediato cogliere la sua diretta, concreta e preziosa funzione per il successo commerciale e si fatica a metterlo in diretto rapporto con la generazione di profitto. Del resto, questo accade spesso anche per altri asset intangibili di impresa, ad esempio l’infrastruttura IT o le risorse umane. Tuttavia, gli intangible asset sono elementi chiave nella definizione del prezzo di un’impresa nel caso, ad esempio, di una cessione.
La miopia nel cogliere il valore del brand è alimentata anche dal fatto che esso esprime il suo ritorno in tempi medio-lunghi e la sua efficacia va misurata con strumenti specifici (che non sono l’engagement rate o il ROI di una campagna di marketing!). Ho conosciuto manager che spendevano centinaia di migliaia di Euro per attività di lead generation, ma non si curavano di custodire il brand, permettendone applicazioni disordinate e adattamenti occasionali; tali situazioni, alla lunga, indeboliscono la riconoscibilità del marchio, facendogli perdere la funzione distintiva rispetto alla concorrenza.
Nelle realtà aziendali dove il brand è percepito veramente come un asset strategico, quasi portatore di visione e abilitatore di cambiamento, ho osservato come il top management sia coinvolto in prima persona nella cura del brand – anche semplicemente chiedendosi se le varie iniziative proposte incrementano o indeboliscono il valore del marchio. Come dicono gli anglosassoni “Brand as asset is a way of thinking”; quando c'è questa mentalità i costi di marketing si trasformano in investimenti e nelle decisioni strategiche il brand è trattato come un asset e, come tale, può essere investito, capitalizzato, sfruttato per il successo futuro. Che soddisfazione lavorare per executives di questo calibro!
Former Vice President, Managing Director EMEA & Senior Brand Consultant at Addison Whitney
4 anniCara Lucilla , dici bene che il brand è strategico, è dalla brand strategy con chiaro posizionamento , visione, messaging eccetera che parte la costruzione del brand. L’identità verbale e visuale ne sono l’espressione . Il successo commerciale ed il valore di un brand risultano quindi dalla capacità di definirne le basi strategiche in modo differenziante e sostenibile sul mercato e dalla comunicazione coerente.