Se i vecchi sono commensurabili con gli spritz

di Sergio Beraldo -- Il Mattino 12.11.2020


12341! Proprio così! Lo sforzo introspettivo è stato intenso, devo ammetterlo; ma 12341 è proprio il numero esatto. Il numero di vecchi cui sono disposto a rinunciare in cambio della possibilità di godermi uno spritz in quest’estate fredda dei morti, come la diceva Pascoli che forse a memoria non si studia più. Il numero sale a 14552 se tra i vecchi vi è una quota superiore al dieci percento di auto(in)sufficienti o improduttivi; 16712 se hanno almeno due patologie; 19444 se le patologie sono almeno tre. E poi: 26432 sono i vecchi con almeno due patologie cui sono disposto a rinunciare affinché la mia bambina possa andare a scuola, e non attenda malinconica dietro i vetri opachi del mattino una campanella che non squillerà.

Non pretendo che le mie preferenze debbano valere come preferenze della collettività. I numeri che ho espresso rappresentano semplicemente la mia massima disponibilità a pagare - in termini di vecchi - per la felicità mia e per quella di mia figlia. Quello che nei corsi del primo anno di economia indichiamo agli studenti come saggio marginale di sostituzione.

Ammetto dunque che le preferenze degli altri possano anche essere diverse dalle mie. Che il numero di inutili vecchi o malati cui io sono disposto a rinunciare sia diverso da quanto altri potrebbero indicare. Soprattutto, debbo dire, se le patologie sono meno di due.

E dunque, a causa di preferenze diverse, e dovendo necessariamente addivenire a una sintesi, si potrebbe procedere così: ogni cittadino dichiarerà la propria disponibilità a pagare in vecchi e malati per continuare ad avere libero accesso a un paniere predefinito di beni e servizi (colazione al bar, aperitivo con gli amici, pranzo in spiaggia, cinema, teatro e così via). Una volta raccolte, le valutazioni verranno ordinate dalla più piccola alla più grande. La valutazione mediana, quella cioè che si trova esattamente a metà nella lista ordinata delle valutazioni, verrà considerata la valutazione sociale: quanti vecchi o malati – ma, più preferibilmente, vecchi e contemporaneamente malati - la società è disposta a veder morire per il libero accesso al predefinito paniere di beni e servizi. A quel punto sarà facile calibrare le restrizioni in modo da ottenere la massima libertà possibile, compatibile con il numero di vecchi cui la società è disposta a rinunciare. Senza considerare che a questo punto il danno economico che eventualmente si produrrà – se ciascuno sarà così improvvido da dichiarare un basso prezzo in termini di vecchi e malati – sarà un danno che i cittadini stessi hanno voluto. Non dipenderà da Conte o dai governatori delle regioni.

Si risponderà dunque con la forza della democrazia diretta alle indecisioni dei decisori, alle contrapposizioni surreali cui si assiste. Con governatori che si siedono al tavolo da gioco forti di un’elezione diretta che li porta anche a barare - perché i governatori sono re senza eserciti - e un governo al cui vertice vi è una persona che non può giocare altre carte se non quella del proprio prestigio personale. E in questo teatrino di debolezze non si decide poi nulla, nemmeno quanti vecchi debbano morire.

I problemi con cui la nostra comunità attualmente si confronta potrebbero dunque risolversi con grande rapidità. Basterebbe accettare alcune semplici premesse. Innanzitutto che la vita di un vecchio sia commensurabile con gli spritz. Questo è fondamentale. Se la si pensa diversamente, se si giunge a ipotizzare che la vita umana sia non commensurabile con oggetti o circostanze cui potremmo anche temporaneamente rinunciare, ebbene, non si è pronti ancora per l’iniziazione ai misteri del pil (come qualsiasi estetista potrebbe spiegare in questo tempo in cui le saracinesche dei centri estetici sono a mezz’asta). La seconda premessa da accettare, è che la vita o la morte di un vecchio o di un malato non intacca il livello di benessere complessivo, la pubblica felicità di cui godiamo, unicamente misurata da quanto produciamo in beni e servizi.

Sono comprensibili le difficoltà che qualcuno potrebbe opporre a questa prospettiva che antepone le ragioni della produzione a quelle dei vecchi. Anche perché vi sono fondati motivi per ritenere che il contrasto tra ragioni sia solo apparente. E non solo perché l’evidenza raccolta ci dice che in circostanze analoghe di pandemia, il costo economico è stato più basso per le aree in cui le restrizioni sono state più precoci e severe, quelle che hanno protetto meglio i propri vecchi. Anche perché, nel mondo nuovo che si svela ai nostri occhi - in cui i cieli e la terra di prima non ci sono più, e con essi, almeno temporaneamente, i vincoli su indebitamento e debito e le ritrosie della Banca Centrale a soccorrere i governi spendaccioni - ecco, nel mondo nuovo, per queste ragioni, si può dar luogo a un sistema di compensazioni anche più largo di quello congegnato sinora. Si può osare di più. Iniettando spesa pubblica secondo una logica profondamente diversa rispetto a quella che dovrebbe invece guidare la gestione del Recovery Fund, su cui ancora non si hanno peraltro le idee chiare (la qual cosa non esclude, né comporta, che le idee si schiariranno).

Con un adeguato sistema di compensazioni, il costo delle chiusure potrebbe essere ricondotto a un livello accettabile. Coerente con la possibilità di convincere un sufficiente numero di persone - soprattutto quelle più esposte e fragili economicamente, cui una comunità che intenda rimanere coesa deve innanzitutto pensare - che l’estate appiccicaticcia e selvaggia del Billionaire, l’estate tarantolata del coviddi, non deve protrarsi nel novembre assolato della separazione dai nostri vecchi.

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