Generazioni diverse al lavoro e diversi modi di comunicare hanno un impatto significativo nelle fasi di selezione così come nella vita quotidiana in ufficio. Federica Reale qui ci racconta la sua prospettiva da Zillennial, la generazione dei nati a cavallo tra Millennial e Gen Z.
“Alza la cornetta e chiama!” Lo dice spesso il mio capo. Con quella sicurezza di chi ha costruito una carriera parlando con persone e stringendo mani. Lui è un Generazione X autentico, nel senso buono, e per lui una telefonata è ancora il gesto più concreto, rispettoso e professionale che puoi fare. Per me, invece, Zillenial, è ogni volta uno scontro culturale. Sono Troppo vecchia per TikTok, troppo giovane per scrivere "cordiali saluti" senza sentirmi a disagio. Nel mio mondo, le cose si scrivono, si lasciano decantare, si aspettano i tre puntini su WhatsApp. E allora lo ammetto: quando sento dire “alzare la cornetta”, una parte di me va nel panico. Non perché io non voglia comunicare, ma perché per noi comunicare è diventato qualcos’altro: più scritto, più controllato … ma anche, paradossalmente, più rarefatto. Le differenze si notano nelle grandi scelte, ma anche nei dettagli più quotidiani: un follow-up al colloquio, ad esempio. Per un giovane candidato, scrivere un messaggio è segno di interesse, per un HR più senior, potrebbe sembrare quasi un’invasione di campo o una spinta poco elegante. Al contrario, il silenzio, usato spesso dai manager per “testare” la motivazione, oggi rischia di fallire completamente. Per un candidato classe 1995, il silenzio è già un messaggio: “non mi vogliono”. E questo può significare che non proverà nemmeno a ricontattare. Perché nel mondo di oggi ci si candida a tante offerte, e la selezione non è più vissuta come una narrazione lineare. È fluida, rapida, multilivello. Aspettare in silenzio non è più un test di motivazione: è un’occasione persa. E che direi dei CV? I Boomer sono cresciuti con l’idea che debbano essere cronologico e ordinato. Le generazioni più giovani raccontano il proprio percorso con esperienze laterali e cambi di rotta. Per alcuni, questi “buchi” sono fragilità da giustificare. Per altri, sono esperienze di crescita. Dipende tutto da cosa consideri coerenza: linearità o adattabilità? O ancora, “Dove ti vedi tra 5 anni?” Domanda sempre più scomoda per la Gen Z. Perché in un mondo in continuo mutamento, pensare al futuro in termini così rigidi può sembrare anacronistico. Chi seleziona dovrebbe saperlo e adattare le aspettative. Viviamo immersi in vissuti professionali troppo diversi e la comunicazione non è uguale per tutti. Non serve un manuale intergenerazionale, solo dare meno cose per scontate. Il tuo capo non ama WhatsApp. Il tuo collega Gen Z non chiama nemmeno la pizzeria, figurarsi un cliente. Ma poi ci sono quelle altre cose, quelle che toccano davvero il nostro modo di lavorare, stare bene, sentirci valorizzati. Come staccare alle 18 senza essere visti come svogliati. Come chiedere un feedback e non ricevere un generico “ti faremo sapere”. Perché possiamo convivere con qualche “ok boomer”, ma non con l’idea che il nostro modo di lavorare valga meno perché diverso. Scegliamo bene le nostre battaglie. E impariamo a combatterle non per vincere — ma per farci ascoltare.