Dinastie

Dinastie

Un amico mi regala l’ultimo libro di Mario Giordano, Dynasty, con il commento che le imprese di famiglia dovrebbero essere vietate per legge: ovvero che fare gli imprenditori di successo richiede un conto pesante da pagare sul fronte famiglia, come non fosse dato l’essere di successo su tutti e due i fronti.

Quattro le storie familiari raccontate nel libro: quelle degli Agnelli, dei De Benedetti, dei Del Vecchio e dei Benetton. Al netto di alcune semplificazioni giornalistiche, bisogna riconoscere che la lettura impietosa che ne esce non può essere tanto facilmente messa in discussione. Sono proprio casi umani, anzi, familiari, che fanno riflettere. Pensare che quattro casi facciano statistica è forse una grande generalizzazione, ma in effetti quante altre realtà di famiglie imprenditoriali tossiche esistono? 

Eppure mentre leggevo pensavo ai tanti casi che ho incrociato, direttamente o indirettamente, che smentiscono una lettura tanto pessimistica.

Ci sono i figli che hanno rilevato l’azienda artigianale dei padri per farla diventare una realtà industriale a tutto tondo, c’è la figlia che si considera non di seconda generazione ma di prima e mezzo, tanto ha partecipato fin da giovane allo sviluppo dell’impresa fondata dal padre, c’è il gruppo di fratelli che dopo una faticosa liquidazione dei cugini costituiscono un trust per assicurare che loro e i loro figli non siano costretti a dolorose lacerazioni, c’è il figlio che per dare continuità all’impresa sviluppata con il padre rende l’azienda governata da una fondazione che supervisiona il management e i nipoti che lavorano e crescono in azienda come tutti gli altri colleghi.

Ma cos’è che rende allora alcune imprese di famiglia virtuose e altre viziose?

Di sicuro non è una garanzia avere la possibilità di mandare i figli nelle migliori scuole, così come non basta frequentare i migliori istituti internazionali che offrono programmi formativi per la famiglia intera, padri e figli attorno ai migliori professori di family business, e neanche assicurare formule di governance studiate dai più grandi professionisti.

Mi ha fatto riflettere il fatto che tutte le famiglie citate nel libro avessero fatto quanto ci si aspetta da una grande famiglia imprenditoriale per assicurarsi un efficace passaggio generazionale, eppure non è bastato.

Cos’è allora quello che è mancato? qualcosa di intangibile e di pesantissimo allo stesso tempo: l’esempio nei comportamenti, la testimonianza di valori.

E allora ci si rende conto che non è, solo, una questione di adeguatezza delle nuove generazioni, ma limiti che appaiono già nelle generazioni che precedono. Nel libro di Giordano non sono solo i junior che fanno brutta figura, anche i senior non se la passano troppo bene, le loro responsabilità ben documentate. 

La psicologia transgenerazionale ci ricorda che noi ci portiamo appresso, nel bene e nel male, l’eredità di 5 o 6 generazioni prima della nostra, ben più di quanto ci sia stato riferito nella saga familiare, quando facciamo a fatica a ricordare solo il nome di chi ha preceduto i nostri nonni. 

Il problema non è che un imprenditore diventi di successo, non è quello che rovina la famiglia, ma diventare di successo, senza adeguati strumenti per gestirne gli effetti, è molto pericoloso se non si è attrezzati. Il successo, il denaro, ma non solo, la reputazione, il prestigio sociale, se non adeguatamente accompagnati da solide basi valoriali, morali, educative, diventa un moltiplicatore di vizi e comportamenti egoistici. 

Diventa fondamentale quindi educare attraverso l’esempio e la responsabilità personale. Saper mettersi al servizio di un progetto che faccia del bene al prossimo, con il successo, anche economico, che è una conseguenza non primaria del percorso che si intraprende.

Diventa fondamentale gestire il proprio ego, la propria necessità di gratificazione e riconoscimento, non avere il bisogno del successo.

Ci vuole un approccio laico, se si comprende che famiglia e impresa possono proseguire virtuosamente insieme bene, altrimenti meglio separarne le strade.  

Ci vuole la capacità di chiedere e l’umiltà di ascoltare chi ci può aiutare a gestire la sfida del successo personale e familiare.

Ci vuole la capacità di coltivare consapevolezza e responsabilità.

Altrimenti, si, meglio non aver successo. 

Il conto da pagare, altrimenti, diventa troppo salato. 

Mario Giordano, Dynasty, Rizzoli 2025

Giacomo De Candia

Partner dell'imprenditore e dell'alta direzione nei progetti di cambiamento. Agente di cambiamento. Mentore, Facilitatore, Business Coach, Family Business Advisor, Management Consultant

4 mesi

Grazie Luca per averlo ricordato e sottolineato. Il fattore critico di successo della continuità risiede nell' esempio e nella testimonianza dei valori.

Sabrina Fantini

#Changemaker #Facilitatrice I Accompagno team e organizzazioni a trasformare la diversità in fattore generativo I People & Culture _ Diversity & Inclusion _ Family business

4 mesi

Grazie Luca, le tue riflessioni mi fanno pensare a quanto nelle imprese siamo concentrati sulle cose da fare ... per avere successo, per mantenere il potere, anche per gestire il passaggio generazionale ... E quanta poca attenzione dedichiamo al come facciamo quelle cose e soprattutto al perchè le facciamo.

Vartan Manoukian

Consulente Aziendale

4 mesi

Grazie Luca per le riflessioni che hai scritto e ti abbraccio forte...

Luca, e questi casi sono da copertina. Pensiamo a quanti Signor Bepi e famiglia, non quotate e non strutturate esistono. Ciò non fa che aumentare il nostro amore smisurato per la continuità generazionale. Grazie per la segnalazione.

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