DONNE: CHI LE CAPISCE, È BRAVO A VENDERE
(Silvia Ziche)

DONNE: CHI LE CAPISCE, È BRAVO A VENDERE

I VENDITORI VENGONO DA MARTE E LE CLIENTI DA VENERE? LE PAROLE SONO IMPORTANTI QUANDO IL CLIENTE È UNA "LEI"

Secondo molti, per uscire dalla crisi bisogna puntare sulle donne consumatrici: è infatti la strategia scelta da molte aziende per aumentare i consumi e risollevare i bilanci. L'autorevole magazine The Economist già qualche anno fa scriveva pensando all'importanza delle donne come decisori di acquisto nel mondo anglosassone, dato che negli USA raggiunge l'85% in tutti i settori; ma anche l'Italia non è messa tanto male! Si stima infatti che le donne determinano o fortemente influenzano l'acquisto di circa l'80% dei beni di consumo: automobili comprese, per dire (non come negli anni '70, in cui il loro parere sembrava contare solo nella scelta del colore...).

Allora, com'è che la comunicazione e l'approccio alla vendita sono ancora così soggetti a stereotipi e codici maschili?

Vita vissuta: 1

Il promotore si presenta tutto ossequioso perché la Sede gli ha detto che sono una nuova cliente "molto importante" (non per il patrimonio: ma perché, da pubblicitaria, scriverò anche dei materiali per la Rete e l'esperienza diretta è un formativo test). Siamo nel mio ufficio, affermo di essere una libera professionista e di cercare soluzioni utili al mio business, e il surreale dialogo si snoda così:

PF "... Naturalmente, prima di decidere vorrà sentire anche il suo socio!"

IO "Sono io la titolare, semmai ho collaboratori."

PF "Ah, ma dài... Allora dovrà parlare con suo marito?""

IO "Non sono sposata."

PF "Oh, una bella zitella!"

(Quando, mesi dopo, durante una cena in convention viene fuori l'episodio, il supervisore guarda sconsolato il suo PF, poi mi chiede: "Ma perché non lo ha preso a calci nelle balle?" In effetti, avrei voluto!)

Ammetto di essere sensibile alle parole per deformazione professionale, ma non si tratta di pura forma: la mia professione è la comunicazione e la maggior parte dei miei clienti ha reti di vendita, fattore da tenere in immenso conto anche al di là dei materiali strettamente legati alla vendita. Spesso tragici errori come considerare "single" e "zitella" sinonimi derivano non solo dalla cultura del singolo, ma in qualche modo da quella aziendale - che, inutile dirlo, se non proprio maschilista è spesso ben "maschio-centrica". Succede nelle Reti di brand femminili, spesso dirette da uomini, figuriamoci nei settori ancora ritenuti più "importanti" come il finanziario o l'assicurativo.

Vita vissuta: 2

L'agente avrà forse 25 anni e dovrebbe presentarmi una superpolizza speciale per le donne over 40: lascio acceso un vago ottimismo, ma è istintivo subodorare che avremo problemi... Inizia a parlarmi di una polizza standard e alla mia richiesta del prodotto specifico mi risponde che "chissà perché fanno prodotti per le donne, cosa comprenderanno mai di diverso?" Suggerisco quisquilie come la mammografia e il Pap-test, lui diventa color melanzana e dopo penosi balbettii si dilegua dicendo che segnalerà in Sede di farmi chiamare da una collega. E infatti puntualmente vengo chiamata da almeno altri tre ragazzotti simili.

(So in seguito dall'agenzia di pubblicità che la polizza è stata un buon successo nelle ricerche di mercato e un flop nelle vendite: e, chissà perché, non mi stupisco. Una buona intuizione sulle potenzialità delle differenze di genere, uccisa dalla sottovalutazione delle differenze di genere!)

Attenzione all'identità di genere del marchio e della comunicazione. Le donne si relazionano fra loro in modo diverso, sia passandosi informazioni che entrando subito in intimità.

Noi donne "ce la raccontiamo": parliamo alle amiche di una buona esperienza di acquisto e parliamo con le altre donne di cose anche intime. Però quando ci presentano un prodotto o un servizio parliamo meno e ascoltiamo di più: stupiteci anticipando i nostri bisogni e desideri, non aspettiamo altro!

Le donne poi vivono in multitasking e amano chi si propone come "facilitatore di vita".

E premiano le marche sincere (con brand reputation che si costruisce da amica ad amica e da madre a figlia): e questo si sposa poco con le formule trite e la carica "a molla" di certi obsoleti venditori.

Intendiamoci: anche in pubblicità, pur nei diversi toni di voce e linguaggi delle campagne, gli stereotipi sono duri a morire. Spesso deriva dal management delle agenzie, perché se l'85% dei decisori d'acquisto è donna, solo il 3% dei Direttori Creativi lo è (e non a caso, quindi, negli USA le donne dicono che "il 91% delle pubblicità non ci comprende"); spesso, invece, è il management delle aziende a essere restìo a considerare approcci formativi mirati alle differenze di genere.

... E pensare che basterebbe fare un pochino in più di attenzione ad alcune aspettative, e ad alcune parole!

Però, però...

A parziale consolazione dei lettori uomini: in alcuni errori incappano anche le donne, specie in aree ad alto rischio come l'età.

È' ufficiale: la prima volta che una cliente appena quarantenne si sentirà dare del "Lei" e non del "tu" da una commessa, state certi che non comprerà niente.

(Prontuario minimo di termini da abolire subito e sempre: "si mantiene bene", "la vedo stanca/sciupata", "anche mia madre dice/fa così", “giovanile”. Buon lavoro!)











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