A che gioco giochiamo?
Premessa:
Watzlawick, Beavin e Jackson, in ‘Pragmatica della comunicazione umana’ (1967)
postularono l’esistenza di alcune proprietà fondamentali della comunicazione umana:
1) È impossibile non comunicare;
2) Ogni comunicazione ha un aspetto di relazione e uno di contenuto, di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione;
3) La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti;
4) Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico; il linguaggio numerico ha una sintassi assai complessa e di estrema efficacia, ma manca di una semantica adeguata nel settore delle relazioni, mentre il linguaggio analogico ha la semantica, ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire in un modo che non sia ambiguo la natura della relazione;
5) Tutti gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.
Non scenderò in dettagli esplicativi di questi cinque punti, ne abbiamo parlato in passato, mi limiterò più avanti a fare esempi, ma se volete approfondire potete farlo agevolmente in rete.
Un altro sistema di pensiero che può essere utile nel costruirsi una matrice esplicativa molto semplice e dinamica delle relazioni umane è l’Analisi transazionale di Eric Berne che negli ultimi 60 anni circa ha subìto molteplici trasformazioni e che quindi non è possibile descrivere con chiarezza in questo breve spazio...
L’intuizione originaria di Berne fu quella di osservare e catalogare, nelle interazioni umane che chiamava ‘transazioni’, una sorta di modelli costanti derivanti dall’esperienza familiare/microsociale e dalle variabili cognitive individuali. Immaginò la mente umana in equilibrio fra Stati dell’Io (originariamente tre che poi divise in sottoclassi) derivanti dalle relazioni con i genitori (Io Genitore), dalle proprie capacità e cognizioni personali (Io Adulto) e dai pensieri ed emozioni vissuti da bambino (primi anni di vita) quando sei in una condizione di dipendenza semitotale dalle figure parentali (Io Bambino).
Ogni transazione è un comportamento verbale e non verbale rivolto ad un’altra persona da uno stato dell’Io a un altro (o un dialogo interno).
Altri concenti importanti del pensiero di Berne sono il copione di vita e le carezze (metaforiche, intese come comportamenti di conferma/disconferma dei comportamenti dell’altro, quindi con effetti piacevoli/spiacevoli).
A che servono queste teorie? A farci ipotesi (e dico ipotesi, non certezze) sui comportamenti e comportarci di conseguenza per capire che succede/ci succede, attraverso un confronto.
Vi faccio due-tre esempi spiritosi che lasciano il tempo che trovano, ma che possono far intuire quanto i comportamenti più banali descrivono un’emozione o un vissuto complesso.
Se vi fate un selfie, o un breve video, tenendo il cellulare più o meno al di sopra della vostra testa è probabile (e dico probabile) che proviate uno stato d’animo giocoso e vogliate apparire simpatici, belli o divertenti. Come per farsi belli agli occhi di chi ami o di un amico... Davi Foster Wallace descriveva la corrente narrativa che chiamava metafiction con l’immagine del bambino che va in bicicletta senza mani e grida Mamma, guarda come sono bravo!
Insomma, sto parlando di quello che Berne negli sessanta/settanta (morì nel 1970) avrebbe classificato come l’Io bambino (che poi sia positivo o negativo dipende dalle circostanze).
Questo, anche se allora non esistevano i cellulari.
Se, al contrario, parlate in un video dall’alto in basso come un genitore con un bambino da rassicurare o rimproverare (nel linguaggio comune si usa il detto ‘parlare dall’alto in basso’), come una persona potente a un sublaterno, come un dominante a un sottomesso, è probabile che vogliate, al di là delle parole, comunicare emotivamente protezione o persecuzione o dominanza, o anche intimità (come la mamma che bacia o carezza il bambino per la buonanotte) cioè quello che Berne (senza cellulare) avrebbe definito Io Genitore (persecutorio o protettivo, sempre dipende dalle circostanze).
Il confronto adulto, viso a viso, è alla pari (Io adulto). Come nei talk show televisivi.
La relazione fra Io adulti è fatta (in teoria) di informazioni razionali, senza connotazioni sociali di dominanza o sottomissione o accettazione o indifferenza o disprezzo, ma solo emotivamente positive, in uno stato che Berne definiva Io sono Ok tu sei Ok. Quindi l’inquadratura sarà allo stesso livello, dicevo come i talk show o addirittura iper-razionale come l’inquadratura detta all’americana, dove la cinepresa fa il primissimo piano del soggetto.
Ma questa è un’altra storia.
Diciamo che Berne vedeva questi Stati dell’Io in comunicazione fra di loro sia in modo intrapersonale, cioè nel nostro dialogo/cognizioni/emozioni interiori sia nelle comunicazioni fra persone.
Torniamo al nostro lavoro. Come ci può essere utile tutto questo?
Semplice, osservando cosa ci succede e cosa succede quando siamo in relazione con un’altra persona/con un cliente/con un capo, possiamo guidare il nostro comportamento ed evitare quelli che Berne chiamava ‘giochi’, cioè transazioni dove alla fine perdono tutti, anche se apparentemente c’è sempre un vincente, di una vittoria, tuttavia, che non porta niente di buono perché sono modi antichi (nella storia personale) di interagire con figure parentali o vissute come tali e quindi inefficaci nel mondo adulto/del lavoro.
Se siete in una situazione sociale subalterna, ad esempio parlando con un capo o con un cliente importante, è probabile che vi sentiate di ‘dover’ comportarvi in un certo modo e che il vostro interlocutore si aspetti da voi che vi comportiate come la situazione sociale richiede. Segnali che una persona vi parla da uno stato dell’Io Genitoriale è quando usa verbi come Dovresti fare così, frasi di tipo genitoriale, raccomandazioni o giustificando comportamenti restrittivi o coercitivi con l’aspettativa (esagerata/irrazionale) di qualche disastro.
Non parlo del coronavirus naturalmente, in questo caso l’atteggiamento protettivo e normativo del governo è del tutto razionale e giustificato.
In altri casi, è di aiuto farsi qualche domanda razionale, chiarendo nel qui e ora i contorni reali del problema, ascoltando la propria ‘pancia’, cioè quando avvertite una reazione emotiva di svalutazione, delusione, sconfitta o al contrario di stima o gioia. La nostra parte emotiva molte volte ci segnala prima della ragione cosa stiamo provando. Non esiste comunicazione senza metacomunicazione, cioè senza messaggi del corpo/emotivi che connotano il verbale (regola n°2).
L’unica comunicazione fra ‘pari’, anche se in posizioni sociali diverse, è connotata emotivamente da un Io sono Ok Tu sei Ok.
Ad esempio, se vi dicono Ho la sensazione che le persone non lavorino come dovrebbero! In un tono di rimprovero, potete rispondere Da quale dato razionale e non ‘sensazione’ ti sei fatto questa idea? (Naturalmente può essere vero o meno ma, appunto, bisogna capire se si tratta di dato reale o un pregiudizio o una provocazione).
Ogni stato dell’Io ha due facce, una di luce e una di ombra.
Oppure pensate al così detto ‘yes man’ che per farsi strada nel lavoro approva a priori qualsiasi idea del proprio capo. Il bravo bambino o il bambino furbetto. Quanti ne abbiamo conosciuti? Pur sapendo di non fare la scelta giusta dice sempre Sì al capo, senza provare neppure a ragionare con lui! In questo modo preserva il ruolo sociale e l’apprezzamento del capo. Poi si vedrà.
Per lo stesso motivo si può essere oppositivi, semplicemente perché per esperienza si è insofferenti alle regole parentali, anche quando queste sono ben motivate.
O prendiamo l’esempio di un medico che appena entrate e vi sedete dice, Prego parli pure, l’ascolto... e intanto scrive ricette o vi interrompe con un gesto per discutere con la segretaria. Quale è il messaggio? Dice che vi ascolta e fa altro, può darsi che lo conosciate e sappiate che ascolta davvero ma può darsi che con questo comportamento vi passi il messaggio, ‘parla, parla intanto faccio altro’ svalutando il vostro lavoro.
Come comportarsi in questo caso? Confrontarsi, chiarirsi, fare una domanda da una posizione positiva e razionale.
Pensa che potrei distrarla mentre parlo e lei lavora? Oppure, Posso aspettare che termini in modo da concentrarci insieme su quanto vorrei mostrarle...
Per inciso quando usiamo verbi come pensare, Riflettere, Valutare, Ragionare, tendiamo ad attivare lo stato dell’Io adulto, al contrario quando usiamo verbi tipo Sentire, Provare, Ho la sensazione... tendiamo ad attivare lo stato dell’Io Bambino o Genitoriale.
Non è così banale, certo, è molto, molto più complesso, ma gli elementi di base sono più o meno questi.
Poi, a parte la connotazione della relazione, c’è quello che in realtà facciamo ‘in relazione’ che descrive la nostra mente.
Un comunicatore, dalla costruzione del discorso e dal comportamento corporeo, può ipotizzare (intuire) gli equilibri degli stati dell’io dell’interlocutore e secondo quali regole costruisce la propria visione del mondo (ne parleremo).
Naturalmente, come dicevo sopra, ad ogni ipotesi serve un riscontro, come per una teoria scientifica, e il riscontro possiamo averlo solo attraverso il confronto razionale con il nostro interlocutore.
Il confronto adulto-adulto scevro da interessi personali o doppi fini.
Generalizzazioni, negazioni, pregiudizi, sono solo alcuni fra i difetti dell’immagine che ci costruiamo del mondo.
Altri esempi. Se lavori in un sistema complesso o sei a capo di un’organizzazione, la misura in cui ti avvali del pronome Io per glorificare i risultati del lavoro dimostra in maniera indirettamente proporzionale la capacità che hai di lavorare in gruppo. E’ tipo formula matematica. Non dici ‘abbiamo’ dici ‘ho’anche quando il risultato nasce da un lavoro comune, questo perché hai bisogno di dare importanza a te stesso più che al lavoro che fai con il gruppo.
Pensate invece agli allenatori di calcio, quante volte parlano del gruppo o della squadra per valorizzare un risultato positivo? E anche se un giornalista sottolinea la prestazione del campione di turno...
L’avvocato che gestì la separazione dalla mia prima moglie, per prima cosa mi disse che in una coppia le colpe e ragioni sono sempre al 50%.
Vale lo stesso per i meriti e demeriti di un lavoro di gruppo o di un’organizzazione complessa, si distribuiscono, se non altro perché in un’economia di scala anche far poco meno o poco di più alla lunga ‘pesa’.
Altro esempio. Se vedi una persona in silenzio o che non ti dedica attenzione puoi pensare di starle antipatico ma se te ne fai una convinzione, senza confrontarti, diventa una certezza gratuita.
Hai definito un aspetto della realtà senza controprova.
Puoi chiamarla ‘lettura del pensiero’.
Non si può non comunicare. Anche le omissioni di comunicazione, i buchi, le negazioni, hanno peso, non fare è dannoso come far male.
Non ti parlo perché sei nervoso, dice la moglie.
Sono nervoso perché non mi parli, risponde il marito (terza regola della comunicazione).
In questi casi se ne esce descrivendo ciò che succede, ad es. quando ti comporti in quel modo io mi sento così... Come si dice comunemente, ci si chiarisce, anziché definire la situazione secondo giudizi personali
Bene, date una bella shakerata a queste poche info qui sopra, aggiungete qualche approfondimento in rete per conto vostro (se avete voglia) e lasciate riposare.
Alla prossima occasione sarò più breve, promesso! :-)