L'uomo è il primo artefice della sicurezza.

L'uomo è il primo artefice della sicurezza.

La sicurezza sul lavoro è chiaramente legata all'impianto normativo così come alla tecnologia. Quello fra la normativa e le nuove tecnologie che oggi ci permettono di elevare gli standard di sicurezza è un binomio ormai imprescindibile. A questo, va però aggiunta una ulteriore dimensione, altrettanto importante: il fattore umano.

L'uomo è il primo artefice della sicurezza, con le sue scelte, i suoi limiti, la sua creatività, le sue intuizioni. E quindi essere alla ricerca di un nuovo paradigma che sia davvero in grado di influenzare le statistiche dei morti sul lavoro e non solo, significa che è a lui che dobbiamo guardare.

Comprendere e valorizzare il fattore umano non è più un'opzione. È piuttosto una necessità strategica per ogni organizzazione che voglia dirsi sicura, che voglia partecipare alla creazione di una cultura della sicurezza.

Andare oltre l'errore per progettare la sicurezza

L'approccio alla sicurezza è sempre stato fondato sulla colpa, sull'errore individuale. Per fortuna oggi grazie alla teoria dei sistemi, agli studi sui fattori umani, sappiamo che gli incidenti non sono solamente semplici distrazioni. Sappiamo che sono espressioni di criticità sistemiche. Lo ha spiegato molto bene James Reason, nel Swiss Chees Model: quando più livelli di difesa falliscono, l'errore umano è l'ultimo anello di una catena di vulnerabilità.

La vera domanda diventa quindi non più "Chi ha sbagliato?" ma: "Cosa, nel sistema, ha reso possibile quell'errore?".

Quando si va oltre, quando si analizza in questi termini, l'errore umano diventa una risorsa da coltivare, più che una debolezza da correggere.

Una disciplina integrata: non punire ma apprendere

La cultura di un’organizzazione non si apprende nei manuali, ma nei comportamenti reali: in come si prende una decisione sotto pressione, in come si reagisce a un errore, in come si comunicano le priorità. La cultura della sicurezza matura non punisce, ma analizza, ascolta e apprende.

Un’organizzazione che vuole davvero investire nella sicurezza non può ignorare questi segnali. Non più. Deve costruire coerenza tra ciò che proclama e ciò che pratica.

Gli Human Factors (HF) corrono in aiuto. Grazie ad un sistema interdisciplinare che analizza l’interazione tra persone, tecnologie e contesto organizzativo. Non ci si occupa più solo di ergonomia o sicurezza operativa, ma si promuove un disegno sistemico del lavoro in grado di supportare le persone, invece di ostacolarle.

Si analizzano fattori:

  • Individuali: stress, attenzione, competenze, fatica
  • Tecnico-operativi: ergonomia, carico cognitivo, interfaccia uomo-macchina
  • Organizzativi: leadership, comunicazione, cultura e clima interno,

tenendo chiaro a mente che dove si coltiva la partecipazione, la formazione e il benessere psicosociale, si costruiscono le fondamenta di un sistema che funziona anche sotto stress. E quando le persone lavorano bene, anche la sicurezza ne beneficia.

In questo senso, l’approccio tradizionale alla sicurezza che si fonda sull’analisi degli errori e sul loro contenimento, viene superato, si guarda invece ciò che funziona: perché le cose vanno bene nella maggior parte dei casi? Come possiamo imparare dai successi quotidiani?

Grazie a questo approccio si possono progettare sistemi che non siano solo sicuri “sulla carta”, ma in grado di adattarsi, assorbire pressioni e reagire agli imprevisti, proprio grazie alla centralità dell’essere umano.

Perché la vera cultura della sicurezza nasce quando smettiamo di vedere l’errore come colpa e iniziamo a considerarlo un segnale di sistema. Solo in quel momento, iniziamo davvero a progettare sicurezza.

Alessandro Benoldi

Servizio Prevenzione e Protezione

1 mese

Pienamente d’accordo Erika 👍👍👍

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