Quell’incubo per le imprese che si chiama Facebook
Per le aziende industriali Facebook è talvolta una persecuzione in mano a estremisti capaci mettere a repentaglio la reputazione di imprese e manager. Ora affiorano i dubbi anche da parte di chi i social li ha inventati. “Abbiamo aperto le porte dimenticandoci delle serrature” ha detto Evan Williams l’inventore di Twitter. Una prima soluzione sarebbe eliminare l’anonimato, un tema che la celebre vignetta del New Yorker già poneva nel 1993. Vi racconto qualche esperienza nella gestione delle crisi.
Durante la complessa crisi dell’Ilva quando facevo la formazione all’ufficio comunicazione interno, raccomandavo sempre di tenere due occhi sui giornali e uno sui social. Gli ambientalisti tarantini orientavano le azioni dell’agenzia regionale per l’ambiente con interventi travestiti da discussione in cui si parlava di fatti spesso inesistenti che stimolavano l’intervento dell’autorità. Grazie all’anonimato e alla possibilità di trincerarsi dietro il sentito dire si dava sfogo a una creatività faziosa non perseguibile. Tra le più efficaci ‘fake news’ c’erano quelle di un noto personaggio locale che si appostava su una collina davanti allo stabilimento con una telecamera a infrarossi. Stava lì tutta la notte per documentare presunte emissioni nocive fatte di nascosto al calare delle tenebre. La telecamera ovviamente evidenziava non il contenuto delle emissioni ma le temperature dei fumi, per cui nel fresco della notte ogni qualvolta un altoforno faceva una colata le immagini sembravano rivelare fumi assassini uscire dai camini. Tutto finiva sui social alimentando discussioni quelle sì velenose e un’ostilità almeno in questo caso basata su una evidente bugia.
I social sono stati protagonisti anche di un’altra vicenda che seguo ancora. Quella della centrale a carbone di Vado Ligure. L’opposizione locale al carbone è montata su Facebook attraverso la pubblicazione di teorie agghiaccianti sui dati di inquinanti e presunte vittime. Tesi che hanno giustamente scatenato un dibattito ma che finite sui social sono diventate presto così palesemente esagerate che gli stessi autori dopo l’apertura dell’inchiesta (e in qualche caso nominati consulenti della procura) hanno preferito cancellarle dalla rete per evitare di compromettere la loro reputazione. Tra i più accaniti anche il dottor Dario Miedico che come noto è stato radiato nei giorni scorsi.
Un terzo esempio lo sto vivendo in Veneto, in provincia di Vicenza, dove una fabbrica che produce perfluoroalchilici è sotto inchiesta. In questo caso l’impatto dei social è ancora più paradossale. Si tratta di sostanze classificate dall’Oms pericolose quanto la caffeina. Eppure sul territorio i comitati attraverso una serrata battaglia sul web hanno generato un tale terrore nella popolazione che, nonostante gli acquedotti siano assolutamente sicuri, le mamme pretendono che i bambini nelle scuole bevano solo acqua minerale (in cui si trovano spesso concentrazioni di nitriti e arsenico che nell’acqua pubblica sono assai meno elevate). Mentre scrivo, un deputato sulla scia della notizie sui social, sta facendo una interrogazione parlamentare affermando che i limiti per queste sostanze in Italia sono tra i più alti al mondo, mentre è vero esattamente il contrario, dati alla mano. Ci vorrebbero tre minuti per verificarlo ma quello che conta è pubblicarlo sui social.
Sono tre esempi delle conseguenze che hanno sulla nostra industria e sulla nostra vita le informazioni sottratte alla mediazione dei professionisti. Ma la preoccupazione non riguarda solo movimenti più o meno spontanei nati per difendere interessi legittimi e il proprio benessere. Trovo molto più preoccupante chi ha imparato a utilizzare questi mezzi in modo organizzato al fine di conquistare consenso politico e quindi il potere. Chiudere Facebook e i social è una soluzione impraticabile, bisogna però almeno eliminare l’anonimato, rendere responsabile e perseguire chi danneggia persone e imprese dando informazioni false. Come accade da sempre per chi lo fa sui media tradizionali.
Consulente di comunicazione, formazione e gestione delle crisi
8 anniAddirittura i siti ora possono nascondere la loro proprietà. Bisogna fare una denuncia e attendere i tempi dell'indagine. Nel frattempo la notizia falsa si è diffusa ovunque. Le banche utilizzano anche il monitoraggio della rete per stabilire le linee di credito. Ci sono persone e aziende rovinate perché gli hanno sospeso o revocato fidi basandosi sul nulla. Per avere giustizia e i danni ci vogliono mesi e nel frattempo si chiude.
Social Video Strategy Consultant
8 anniMolto interessante. Ma in un certo senso non siamo anonimi, sui social, abbiamo sostituito nome e cognome con un nickname. Il social è la trascrizione delle discussioni da bar, dove spesso vince chi ha la voce più alta. Come si fa a vincere la discussione nel bar, contro quello con la voce da baritono e la battuta pungente? Marco S.