Speciale: 38 anni di Erasmus in Europa
Non solo un anniversario, ma un’occasione per capire dove stiamo andando.
Oggi, 15 giugno 2025, il programma Erasmus (diventato nel 2014 il programma Erasmus + che conosciamo oggi) compie 38 anni. Non si tratta soltanto di un traguardo numerico: è l’occasione per guardare indietro e comprendere quanto profondamente questa iniziativa abbia trasformato generazioni di giovani. Ha contribuito alla costruzione concreta di un’identità europea fatta non solo di istituzioni, ma di esperienze condivise, sogni, amicizie e cittadinanza attiva.
Per molti, Erasmus+ è stato il primo vero contatto con l’idea di un’Europa senza frontiere. Un’Europa vissuta, non solo pensata.
Dal programma Erasmus ad Erasmus +
Il programma Erasmus nasce ufficialmente il 15 giugno 1987, con l’approvazione da parte del Consiglio delle Comunità Europee. Nel primo anno partirono 3244 persone e furono coinvolti solo 11 Paesi. A lungo è stato sinonimo di mobilità universitaria, ma nel 2014 cambia tutto: nasce Erasmus+, un programma integrato e inclusivo che unisce sotto un unico ombrello educazione, formazione, volontariato, sport e cooperazione internazionale.
Dal 1987 a oggi, Erasmus ha cambiato volto ma non spirito: nel 2025, coinvolge 34 Paesi partecipanti, tra cui alcuni non appartenenti all’UE (come Norvegia ed Islanda) e offre opportunità in moltissime altre regioni del mondo.
Secondo la Commissione Europea, oltre 13 milioni di persone hanno partecipato al programma fino al 2025 ( 1 milione solo in Italia). È cresciuto nei numeri e nella portata, ma ha mantenuto intatta la sua vocazione originaria: aprire orizzonti, costruire ponti, unire le persone.
Un’educazione alla convivenza
L’importanza del progetto risiede nei suoi protagonisti: i giovani. Investire nella loro educazione, non a livello nazionale, bensì europeo, ha come fine quello di creare un senso di appartenenza, che non riguarda solo il legame con la gente conosciuta nel periodo di scambio, mal’idea di essere parte di una rete più grande, quella dell’Europa, che trascende le frontiere politiche e nazionali.
La mobilità è l’esempio migliore per mostrare che, nonostante le nostre differenze culturali e linguistiche, condividiamo valori fondamentali come la democrazia, la pace, i diritti umani e l’uguaglianza. La consapevolezza che, in un’epoca segnata da polarizzazioni, crisi identitarie e disinformazione, vivere la diversità è un atto rivoluzionario, ci spinge a essere più attivi e responsabili nella nostra cittadinanza europea, a partecipare attivamente alla costruzione di un futuro comune.
La cittadinanza attiva da vivere come diritto
Erasmus+ non è un lusso, ma una risposta concreta a chi cerca un’Europa unita non solo sulla carta. Un’Europa fatta di ponti, non di muri. E ogni partecipante è, in fondo, un costruttore silenzioso di questi ponti.
La Commissione Europea ha già annunciato l’intenzione di rafforzare il programma nel futuro prossimo, rendendolo più inclusivo e accessibile, soprattutto per chi proviene da contesti svantaggiati. Erasmus+ si apre sempre di più a chi ha bisogno di più supporto: persone con disabilità, giovani con meno opportunità, territori periferici. Perché la mobilità deve essere un diritto, non un privilegio.
Molti studenti che partono oggi magari non conoscono nel dettaglio la storia del programma. Non sanno che prende il nome da Erasmo da Rotterdam, filosofo del Rinascimento, simbolo di apertura mentale e spirito critico. Ma lo capiscono vivendolo: Erasmus+ è oggi uno dei volti più amati dell’Unione Europea.
È ciò che rende tangibile un progetto politico e culturale altrimenti percepito come distante. È una palestra di cittadinanza e di pace, una scuola di empatia e di visione.
Celebrare i 35 anni di Erasmus+ significa riconoscere che l’Europa si costruisce anche in una cucina condivisa, in una lezione tenuta in inglese tra studenti di dieci Paesi, in un abbraccio alla stazione di un Paese che non si conosceva. Significa credere che il futuro passa dalle esperienze che ci cambiano. E se c’è una cosa che Erasmus+ ha dimostrato, è che cambiare si può…
… basta partire.