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Dietro San Giulio 
Racconto tratto da 
Il sapore del pane 
di Massimo Folador 
Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA
La musica è magica di notte, quando corre veloce dentro le pieghe del 
crepuscolo o si nasconde fra le ombre e nei nidi abbandonati. È 
silenziosa quanto basta per non farsi abbindolare, talvolta aggrappata 
a un divano, di solito accoccolata tra le note di uno strumento 
qualsiasi, meglio se a fiato, fa più malinconia. 
Da anni trascorri tutte le notti cullata dalla musica, sprofondata dentro 
una poltrona a fiori o accucciata in un divano di pelle ormai consunto. 
Sola e senza fretta, tu, la musica e quattro sogni pescati a caso tra i 
mille che potresti rintracciare, scelti d’istinto tra le pile dei dischi che 
ricoprono la sala; né brutti, né belli, né alti né magri, eppure pezzi di 
vita, raccolti in una nota e che la musica sa dipingere di colori. Ti sei 
accorta da tempo che la musica è più seducente quando guarnisce un 
sogno e così la lasci fare, da anni, tutte le notti. 
Questa sera hai scelto un disco soltanto per la copertina: ritrae un 
pupazzo di stoffa con un violino e un organo a fianco. È una copertina 
strana, curiosa e pensi per un attimo quale sogno bizzarro possa 
nascondersi dietro a un’illustrazione del genere, quale sentimento o 
persona la abiti. Poi, come al solito, sistemi il disco, accendi lo stereo e 
sprofondi nella poltrona a fiori. Di lì a poco stai già sognando... 
...Il lago si è assopito poco dopo i gerani e le case invecchiate 
dall’umidità. C’è vento questa sera, vento di lago. Lieve e sfuggente 
che non ha nulla a che vedere con quello che spira sul mare. Questo è 
discreto, rincuora. Oltre al vento, sul lago, è tutto silenzio: le poche 
persone, qualche gatto, voi due, tutto tace. Persino gli animali sanno 
che dentro a una tale bellezza è un peccato parlare, tanto più se resta 
poco da dire. Meglio allora ascoltare: il vento, il lago o sgattaiolare via.
Siete arrivati dalla città apposta per suonare in questo strano paese 
fatto di un pugno di abitazioni appena, ma con una chiesa barocca da 
far invidia alla capitale che se ne sta appisolata proprio sopra alle case, 
alla fine della scalinata, come una sorta di benedizione perenne, quasi 
un amuleto. Chiesa strana, dicono in paese e non aggiungono altro. In 
città rispondono che è fatta apposta per la musica e vi accorrono a 
frotte, specie in estate, chi per ascoltare concerti, chi soltanto per 
guardarsi attorno per ore intere, senza smettere un minuto. 
Il vostro sarà l’ultimo concerto dell’estate, poi fino a dicembre in chiesa 
riecheggeranno soltanto litanie e rosari e ai vestiti della festa si 
sostituiranno quelli scuri degli anziani e le loro chiacchiere sul sagrato. 
Vi hanno invitati apposta, perché lo spettacolo che chiude la stagione 
deve essere il più bello e non può riservare sorprese. Per questo 
occorrono musicisti di fama e musiche celestiali di cui la gente possa 
serbare a lungo il ricordo. Da queste parti l’inverno dura parecchio ed 
è bene che la musica lo trattenga lontano. 
Proprio per non tradire questa attesa avreste voluto avvertirli prima di 
accettare; forse era meglio informarli che il loro ultimo concerto per voi 
sarebbe stato il primo, o meglio, il primo dopo una lunga serie di 
successi. In genere capita soltanto agli inizi di sentirsi impacciati, a voi 
invece è accaduto dopo vent’anni di onorata carriera, quando avete 
messo da parte applausi e inchini e vi siete guardati negli occhi per 
potervi trovare.
Alla fine comunque avete deciso di accettare; meglio rischiare i fischi 
che non riuscire a farsi capire. Come spiegare a chi vi ha ascoltato mille 
volte che vi sentite all’esordio e che vi tremano le mani alla semplice 
idea di suonare insieme in quel luogo? No, non c’entra l’esperienza né 
tantomeno la musica. Il fatto è che soltanto dopo tanti anni di concerti 
insieme avete scoperto di esistere l’uno per l’altra, di esistere al di là 
della musica, dell’organo e del violino s’intende. 
Certo fa paura rendersene conto dopo tutto questo tempo. A una certa 
età ci si crede avvezzi a tutto e non si è abituati alla tenerezza e invece 
a un tratto, mentre suoni, spuntano altri sguardi oltre le note, lo 
spartito diventa un groviglio e ti servono mille pause per rimanere 
attento. Così arrivi a metà giornata senza ancora aver fatto un passo 
avanti e allora cambi di posto, accavalli le gambe, provi a fermarti di 
nuovo. Bevi un caffè, fai due passi all’aria aperta, fumi una sigaretta; ci 
sarà pure il modo per tornare a suonare tranquilli. In fondo l’organo è 
rimasto quello di sempre e la musica anche. Invece quando riprendi è 
tutto come prima, inutile diventare matti. Oggi esiste dell’altro 
all’infuori dell’organo e dello spartito, una presenza che fino a ieri non 
t’apparteneva. 
A lei è accaduta la stessa cosa e aveva sentito il violino tremare nelle 
mani, le corde farsi dure e ostili. Uno spartito intero, poi un altro: di 
sicuro è un contrattempo, ancora una partitura e tutto tornerà come 
prima. Invece quando la prova è finita ti sei girata e hai sentito 
addosso lo stesso sguardo, quello che ti accompagna a casa la sera e ti 
fa sembrare ogni cosa fuori posto. Prima la sera stavi così bene e 
adesso invece tutto sembra diverso: più angusto, più solo, come se 
fosse una casa d’altri, vuota.
C’è voluto del tempo per capire. La musica in questo non aiuta perché 
reclama per sé l’intero, come ogni altro amore; è superba, testarda e sa 
ammaliare. Fosse stato per la musica forse sareste ancora lì ad 
attendere, ad annusare quegli sguardi strani senza riuscire a capire. 
Invece a un tratto avete lasciato cantare altre note, più alte, più pure, 
ma non avreste mai immaginato a quali virtuosismi può arrivare la 
grazia. Non esiste né autore, né strumento capace di tanta bellezza; è 
una sorta di miracolo, una faccenda che non si può comprendere. Ecco 
cosa avreste voluto raccontare prima di iniziare il concerto ed è un 
peccato che la gente non avrà il tempo di intuirlo; vedrà due musicisti 
mentre voi siete uno solo. 
Le case affacciate sul lago accompagnano l’imbrunire, lo accolgono 
quasi, portandolo leggero fin sopra l’acqua. Sui balconi e nelle viuzze è 
tutto un fiorire di gerani, di profumi appena accennati e chiazze di 
colore. 
Anche la musica è colore, soprattutto oggi con lei al tuo fianco. Insieme 
lasciate la piazza e salite adagio verso la chiesa. Per strada incontrate 
solo un gruppo di ragazzi, una signora anziana e qualche gatto. Le sere 
di fine estate sono sempre suggestive ma questa lo è in modo 
particolare: persino la gente pare messa al posto giusto e tutto è in 
ordine, perfetto, come in una cartolina in cui è piacevole trovarsi. 
Quando il lago e la gente sanno ancora d’estate la vita sembra debba 
ancora sbocciare mentre invece si prepara a fuggire, rincorrendosi. 
Di tanto in tanto ti volti a sorriderle, lei neppure se ne accorge ma fa lo 
stesso. Ciò che conta è sentire la sua mano tremare anche se non fa per 
niente freddo stasera. Davanti al sagrato regna soltanto il silenzio, 
nessuno vi scruta o vi applaude. Un tempo sospiravi gli applausi, li 
reclamavi quasi, anche quando la gente tra il pubblico non capiva. Ciò 
che per te contava era esserci, farsi acclamare. Ricordi come fosse oggi 
un’esibizione in città, su un palcoscenico enorme; il concerto era stato 
un disastro: l’acustica, tu, lo strumento, tutto fuori posto.
Eppure il pubblico era in piedi ad applaudire e mentre tu li fissavi 
esterrefatto loro continuavano a battere le mani incantati. Così era 
accaduto da allora ogni volta che avevi suonato; il pubblico applaude, 
questo è ciò che conta, applaude sempre. 
Lei non c’era quella sera e non c’erano i suoi sguardi intrecciati al 
violino. Ne erano presenti altri, certo, tre per l’esattezza, ma un violino 
senza sguardi è tutto un altro affare, un fatto quotidiano che passa 
quasi inosservato. 
Chissà che impressione ti farà suonare stasera con lei al tuo fianco. È 
persino difficile immaginarlo. Ti chiedi se ci sarà tanta o poca gente, 
tanti o pochi applausi; di certo ti farà un effetto strano barattare un 
applauso con quell’emozione sottile che stai imparando a gustare: 
l’uno così concreto e tenace e l’altra così tenera e sfuggente. Per questo 
ti volti e le sorridi ancora; devi sapere con certezza che esiste, devi 
poterla toccare, è la sola faccia dell’emozione che oggi ti interessa 
sfiorare, la sola che ti piacerebbe mostrare. 
La porta della chiesa è aperta, forse all’interno c’è già qualcuno che vi 
aspetta. Entri con lei in punta di piedi; chi suona ha sempre paura di 
far baccano perché è brutto, stride, soprattutto in una chiesa, barocca 
per di più e assopita in riva al lago. Non c’è nessuno neppure tra le 
panche, ai piedi dell’altare troneggia l’organo e al suo fianco, sistemato 
sopra una sedia, il violino. Anch’essi stanno in silenzio, immersi tra le 
statue di pietra grigia e i quadri appesi alle pareti. Sono i vostri 
compagni di viaggio e suoneranno insieme anche stanotte, o almeno ci 
proveranno. In uno strumento è lieve il rimpianto perché non conosce 
il rancore e si lascia ammansire dalla malinconia, suona e basta, finché 
ha fiato e resta qualcuno ad ascoltare.
Quando raggiungi l’organo ti accomodi davanti alla tastiera come hai 
fatto tante volte. Le mani scorrono leggere sui tasti e senti la musica 
scivolarti addosso un poco alla volta, una nota, due, poi un’altra più 
decisa e un’altra ancora. Adesso la chiesa comincia a respirare e si vede 
che è fatta per la musica: ridono persino le panche in legno, allineate 
per bene tra le navate e le statue vecchie di cent’anni. Quando volgi lo 
sguardo verso di lei rimani per un attimo a osservarla mentre inizia a 
giocare con lo strumento: le dita veloci sulle corde, l’arco che fende il 
silenzio. Tra l’organo e il violino scorre subito una nenia sottile, quasi 
invisibile e non serve guardarsi per suonare all’unisono. La musica 
fluisce rapida come un gioco imparato a memoria, uno di quelli che 
stanno nelle viscere e corrono da soli per non incespicare. 
La chiesa finalmente si sta riempiendo, le persone salgono a frotte, 
bisbigliano. I più fortunati riescono a sedersi davanti, nelle panche 
riservate alle autorità. Ci sono anche dei bambini e qualche curioso che 
si chiede perché state già regalando della musica buona prima del 
concerto vero e proprio. Chissà se intuiscono che è il frutto 
involontario di una passione enorme, mentre vi ascoltano attoniti 
senza neppure fiatare. 
Forse adesso però è meglio smettere di suonare e godersi lo spettacolo 
dall’alto. È così bello dal palco divertirsi a guardare gli abiti delle 
signore, le mani tutte ingioiellate che luccicano come faretti. Chissà 
poverine da quanto aspettavano questa serata e per quanto ne 
parleranno nel tentativo di ammaliare gli sprovveduti che hanno 
disertato o di farsi ammaliare dai ricordi. Lei finalmente ha riposto il 
violino e si volta verso di te, accennando un sorriso rapido, quasi a 
blandirti.
Anche tu hai finito di suonare e ti lasci trasportare dentro quella marea 
di gente multicolore che odora più dell’incenso e brulica come candele 
appena accese. La chiesa adesso è calda, zeppa di fumi e di sapori, 
quasi soffocata in quel pezzo di mondo imbellettato e goffo. Un 
signore, due signori, una signora, due signore. «C’è una sedia libera?». 
«Il prefetto! Sta arrivando il prefetto!». «Silenzio per favore. Silenzio». 
Ancora oggi, a distanza di anni, ti chiedi per quale strano motivo a un 
tratto hai deciso di alzarti; forse è stata colpa del prefetto o di tutto 
quel profumo. Certo è che senza dire nulla di colpo ti sei alzato, 
proprio mentre tutti stavano finalmente in silenzio, pronti ad 
applaudirti, hai tossito e ti sei voltato a fissarla. Lei era in piedi, bella, 
anzi adesso ancora più bella. Perché barattarla con tutta quella gente 
allora? Perché barattarla con una musica maldestra, offuscata da mille 
lustrini e profumi? I lustrini non vi appartengono e forse neppure i 
profumi. Persino il violino, immerso in tanto disordine, cambia di 
forma e le corde stridono, così come stride essere qui oggi, tra tutta 
quella gente sconosciuta. 
Quelli della prima fila devono aver intuito qualcosa perché 
trattengono il respiro e ti osservano sgranando gli occhi. È strano un 
organista che si guarda attorno, in piedi, con aria svagata; pare pensi 
ad altro e non al concerto. Di sicuro non hanno ancora capito che stai 
per andartene, neppure adesso che hai appoggiato il panno sui tasti e 
stai fissando i loro volti uno a uno. Peggio per loro, tanto prima o poi si 
rassegneranno e capiranno che non sempre basta pagare per ottenere 
in cambio qualcosa, non stasera almeno.
Un passo e ti avvicini al violino. Anche lei deve aver capito soltanto 
ora e ti sorride, segno che la faccenda comincia a divertirla. Così la 
prendi per mano e le accarezzi le dita come in un cenno di intesa. 
Rimanete in piedi, voi due soli, dentro a tanto stupore, due isole in un 
mare di sguardi. 
Credevi che la navata fosse più lunga invece dura un secondo, 
nemmeno il tempo per te di stancarti e per loro di capire. Varcate 
insieme il portone quasi di corsa, fuori l’aria è fresca e leggera, aria di 
lago che sa di nostalgia e di tenerezza; non per niente la fa da padrona 
da quelle parti e resta per tutti una faccenda a metà, qualcosa da 
conquistare giorno dopo giorno, in autunno così come nelle mattine di 
nebbia, a cavallo della brezza e appisolati sulle panchine. 
A questo pensi mentre scendi la scalinata correndo accanto a lei che 
sorride e non riesce a parlare. Il fiato è già grosso e i passi fragili. Tra 
qualche minuto qualcuno inizierà ad alzarsi e a guardarsi intorno; 
fisseranno l’organo vuoto e il violino, sparito, mentre il prefetto 
comincerà di certo a spazientirsi. Chissà se troveranno in fretta 
qualcuno che possa suonare al vostro posto e se capiranno. Capita di 
vivere situazioni a prima vista incomprensibili, non sarà certo né la 
prima né l’ultima volta. A voi poco importa, ciò che conta adesso è 
soltanto il profumo dei gerani e il brontolio complice del lago. Sì, 
perché il lago è preparato quando si discorre di emozioni, dell’amore e 
di una vita che vale la pena tornare a scolpire. Lui ne ha accarezzate 
tante, alcune bellissime da ascoltare se si ha il tempo e la voglia di 
farsele raccontare...
...Questo sogni raggomitolata sulla poltrona a fiori, mentre la musica si 
sta spegnendo adagio e senti un’aria fresca accoccolata alla notte. Ti 
alzi e ti avvicini con calma alla finestra aperta. Hai scelto bene anche 
stavolta, è stato proprio un bel sogno; così bello che è proprio un 
peccato ora doversi addormentare.
! 
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  • 1. Dietro San Giulio Racconto tratto da Il sapore del pane di Massimo Folador Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA
  • 2. La musica è magica di notte, quando corre veloce dentro le pieghe del crepuscolo o si nasconde fra le ombre e nei nidi abbandonati. È silenziosa quanto basta per non farsi abbindolare, talvolta aggrappata a un divano, di solito accoccolata tra le note di uno strumento qualsiasi, meglio se a fiato, fa più malinconia. Da anni trascorri tutte le notti cullata dalla musica, sprofondata dentro una poltrona a fiori o accucciata in un divano di pelle ormai consunto. Sola e senza fretta, tu, la musica e quattro sogni pescati a caso tra i mille che potresti rintracciare, scelti d’istinto tra le pile dei dischi che ricoprono la sala; né brutti, né belli, né alti né magri, eppure pezzi di vita, raccolti in una nota e che la musica sa dipingere di colori. Ti sei accorta da tempo che la musica è più seducente quando guarnisce un sogno e così la lasci fare, da anni, tutte le notti. Questa sera hai scelto un disco soltanto per la copertina: ritrae un pupazzo di stoffa con un violino e un organo a fianco. È una copertina strana, curiosa e pensi per un attimo quale sogno bizzarro possa nascondersi dietro a un’illustrazione del genere, quale sentimento o persona la abiti. Poi, come al solito, sistemi il disco, accendi lo stereo e sprofondi nella poltrona a fiori. Di lì a poco stai già sognando... ...Il lago si è assopito poco dopo i gerani e le case invecchiate dall’umidità. C’è vento questa sera, vento di lago. Lieve e sfuggente che non ha nulla a che vedere con quello che spira sul mare. Questo è discreto, rincuora. Oltre al vento, sul lago, è tutto silenzio: le poche persone, qualche gatto, voi due, tutto tace. Persino gli animali sanno che dentro a una tale bellezza è un peccato parlare, tanto più se resta poco da dire. Meglio allora ascoltare: il vento, il lago o sgattaiolare via.
  • 3. Siete arrivati dalla città apposta per suonare in questo strano paese fatto di un pugno di abitazioni appena, ma con una chiesa barocca da far invidia alla capitale che se ne sta appisolata proprio sopra alle case, alla fine della scalinata, come una sorta di benedizione perenne, quasi un amuleto. Chiesa strana, dicono in paese e non aggiungono altro. In città rispondono che è fatta apposta per la musica e vi accorrono a frotte, specie in estate, chi per ascoltare concerti, chi soltanto per guardarsi attorno per ore intere, senza smettere un minuto. Il vostro sarà l’ultimo concerto dell’estate, poi fino a dicembre in chiesa riecheggeranno soltanto litanie e rosari e ai vestiti della festa si sostituiranno quelli scuri degli anziani e le loro chiacchiere sul sagrato. Vi hanno invitati apposta, perché lo spettacolo che chiude la stagione deve essere il più bello e non può riservare sorprese. Per questo occorrono musicisti di fama e musiche celestiali di cui la gente possa serbare a lungo il ricordo. Da queste parti l’inverno dura parecchio ed è bene che la musica lo trattenga lontano. Proprio per non tradire questa attesa avreste voluto avvertirli prima di accettare; forse era meglio informarli che il loro ultimo concerto per voi sarebbe stato il primo, o meglio, il primo dopo una lunga serie di successi. In genere capita soltanto agli inizi di sentirsi impacciati, a voi invece è accaduto dopo vent’anni di onorata carriera, quando avete messo da parte applausi e inchini e vi siete guardati negli occhi per potervi trovare.
  • 4. Alla fine comunque avete deciso di accettare; meglio rischiare i fischi che non riuscire a farsi capire. Come spiegare a chi vi ha ascoltato mille volte che vi sentite all’esordio e che vi tremano le mani alla semplice idea di suonare insieme in quel luogo? No, non c’entra l’esperienza né tantomeno la musica. Il fatto è che soltanto dopo tanti anni di concerti insieme avete scoperto di esistere l’uno per l’altra, di esistere al di là della musica, dell’organo e del violino s’intende. Certo fa paura rendersene conto dopo tutto questo tempo. A una certa età ci si crede avvezzi a tutto e non si è abituati alla tenerezza e invece a un tratto, mentre suoni, spuntano altri sguardi oltre le note, lo spartito diventa un groviglio e ti servono mille pause per rimanere attento. Così arrivi a metà giornata senza ancora aver fatto un passo avanti e allora cambi di posto, accavalli le gambe, provi a fermarti di nuovo. Bevi un caffè, fai due passi all’aria aperta, fumi una sigaretta; ci sarà pure il modo per tornare a suonare tranquilli. In fondo l’organo è rimasto quello di sempre e la musica anche. Invece quando riprendi è tutto come prima, inutile diventare matti. Oggi esiste dell’altro all’infuori dell’organo e dello spartito, una presenza che fino a ieri non t’apparteneva. A lei è accaduta la stessa cosa e aveva sentito il violino tremare nelle mani, le corde farsi dure e ostili. Uno spartito intero, poi un altro: di sicuro è un contrattempo, ancora una partitura e tutto tornerà come prima. Invece quando la prova è finita ti sei girata e hai sentito addosso lo stesso sguardo, quello che ti accompagna a casa la sera e ti fa sembrare ogni cosa fuori posto. Prima la sera stavi così bene e adesso invece tutto sembra diverso: più angusto, più solo, come se fosse una casa d’altri, vuota.
  • 5. C’è voluto del tempo per capire. La musica in questo non aiuta perché reclama per sé l’intero, come ogni altro amore; è superba, testarda e sa ammaliare. Fosse stato per la musica forse sareste ancora lì ad attendere, ad annusare quegli sguardi strani senza riuscire a capire. Invece a un tratto avete lasciato cantare altre note, più alte, più pure, ma non avreste mai immaginato a quali virtuosismi può arrivare la grazia. Non esiste né autore, né strumento capace di tanta bellezza; è una sorta di miracolo, una faccenda che non si può comprendere. Ecco cosa avreste voluto raccontare prima di iniziare il concerto ed è un peccato che la gente non avrà il tempo di intuirlo; vedrà due musicisti mentre voi siete uno solo. Le case affacciate sul lago accompagnano l’imbrunire, lo accolgono quasi, portandolo leggero fin sopra l’acqua. Sui balconi e nelle viuzze è tutto un fiorire di gerani, di profumi appena accennati e chiazze di colore. Anche la musica è colore, soprattutto oggi con lei al tuo fianco. Insieme lasciate la piazza e salite adagio verso la chiesa. Per strada incontrate solo un gruppo di ragazzi, una signora anziana e qualche gatto. Le sere di fine estate sono sempre suggestive ma questa lo è in modo particolare: persino la gente pare messa al posto giusto e tutto è in ordine, perfetto, come in una cartolina in cui è piacevole trovarsi. Quando il lago e la gente sanno ancora d’estate la vita sembra debba ancora sbocciare mentre invece si prepara a fuggire, rincorrendosi. Di tanto in tanto ti volti a sorriderle, lei neppure se ne accorge ma fa lo stesso. Ciò che conta è sentire la sua mano tremare anche se non fa per niente freddo stasera. Davanti al sagrato regna soltanto il silenzio, nessuno vi scruta o vi applaude. Un tempo sospiravi gli applausi, li reclamavi quasi, anche quando la gente tra il pubblico non capiva. Ciò che per te contava era esserci, farsi acclamare. Ricordi come fosse oggi un’esibizione in città, su un palcoscenico enorme; il concerto era stato un disastro: l’acustica, tu, lo strumento, tutto fuori posto.
  • 6. Eppure il pubblico era in piedi ad applaudire e mentre tu li fissavi esterrefatto loro continuavano a battere le mani incantati. Così era accaduto da allora ogni volta che avevi suonato; il pubblico applaude, questo è ciò che conta, applaude sempre. Lei non c’era quella sera e non c’erano i suoi sguardi intrecciati al violino. Ne erano presenti altri, certo, tre per l’esattezza, ma un violino senza sguardi è tutto un altro affare, un fatto quotidiano che passa quasi inosservato. Chissà che impressione ti farà suonare stasera con lei al tuo fianco. È persino difficile immaginarlo. Ti chiedi se ci sarà tanta o poca gente, tanti o pochi applausi; di certo ti farà un effetto strano barattare un applauso con quell’emozione sottile che stai imparando a gustare: l’uno così concreto e tenace e l’altra così tenera e sfuggente. Per questo ti volti e le sorridi ancora; devi sapere con certezza che esiste, devi poterla toccare, è la sola faccia dell’emozione che oggi ti interessa sfiorare, la sola che ti piacerebbe mostrare. La porta della chiesa è aperta, forse all’interno c’è già qualcuno che vi aspetta. Entri con lei in punta di piedi; chi suona ha sempre paura di far baccano perché è brutto, stride, soprattutto in una chiesa, barocca per di più e assopita in riva al lago. Non c’è nessuno neppure tra le panche, ai piedi dell’altare troneggia l’organo e al suo fianco, sistemato sopra una sedia, il violino. Anch’essi stanno in silenzio, immersi tra le statue di pietra grigia e i quadri appesi alle pareti. Sono i vostri compagni di viaggio e suoneranno insieme anche stanotte, o almeno ci proveranno. In uno strumento è lieve il rimpianto perché non conosce il rancore e si lascia ammansire dalla malinconia, suona e basta, finché ha fiato e resta qualcuno ad ascoltare.
  • 7. Quando raggiungi l’organo ti accomodi davanti alla tastiera come hai fatto tante volte. Le mani scorrono leggere sui tasti e senti la musica scivolarti addosso un poco alla volta, una nota, due, poi un’altra più decisa e un’altra ancora. Adesso la chiesa comincia a respirare e si vede che è fatta per la musica: ridono persino le panche in legno, allineate per bene tra le navate e le statue vecchie di cent’anni. Quando volgi lo sguardo verso di lei rimani per un attimo a osservarla mentre inizia a giocare con lo strumento: le dita veloci sulle corde, l’arco che fende il silenzio. Tra l’organo e il violino scorre subito una nenia sottile, quasi invisibile e non serve guardarsi per suonare all’unisono. La musica fluisce rapida come un gioco imparato a memoria, uno di quelli che stanno nelle viscere e corrono da soli per non incespicare. La chiesa finalmente si sta riempiendo, le persone salgono a frotte, bisbigliano. I più fortunati riescono a sedersi davanti, nelle panche riservate alle autorità. Ci sono anche dei bambini e qualche curioso che si chiede perché state già regalando della musica buona prima del concerto vero e proprio. Chissà se intuiscono che è il frutto involontario di una passione enorme, mentre vi ascoltano attoniti senza neppure fiatare. Forse adesso però è meglio smettere di suonare e godersi lo spettacolo dall’alto. È così bello dal palco divertirsi a guardare gli abiti delle signore, le mani tutte ingioiellate che luccicano come faretti. Chissà poverine da quanto aspettavano questa serata e per quanto ne parleranno nel tentativo di ammaliare gli sprovveduti che hanno disertato o di farsi ammaliare dai ricordi. Lei finalmente ha riposto il violino e si volta verso di te, accennando un sorriso rapido, quasi a blandirti.
  • 8. Anche tu hai finito di suonare e ti lasci trasportare dentro quella marea di gente multicolore che odora più dell’incenso e brulica come candele appena accese. La chiesa adesso è calda, zeppa di fumi e di sapori, quasi soffocata in quel pezzo di mondo imbellettato e goffo. Un signore, due signori, una signora, due signore. «C’è una sedia libera?». «Il prefetto! Sta arrivando il prefetto!». «Silenzio per favore. Silenzio». Ancora oggi, a distanza di anni, ti chiedi per quale strano motivo a un tratto hai deciso di alzarti; forse è stata colpa del prefetto o di tutto quel profumo. Certo è che senza dire nulla di colpo ti sei alzato, proprio mentre tutti stavano finalmente in silenzio, pronti ad applaudirti, hai tossito e ti sei voltato a fissarla. Lei era in piedi, bella, anzi adesso ancora più bella. Perché barattarla con tutta quella gente allora? Perché barattarla con una musica maldestra, offuscata da mille lustrini e profumi? I lustrini non vi appartengono e forse neppure i profumi. Persino il violino, immerso in tanto disordine, cambia di forma e le corde stridono, così come stride essere qui oggi, tra tutta quella gente sconosciuta. Quelli della prima fila devono aver intuito qualcosa perché trattengono il respiro e ti osservano sgranando gli occhi. È strano un organista che si guarda attorno, in piedi, con aria svagata; pare pensi ad altro e non al concerto. Di sicuro non hanno ancora capito che stai per andartene, neppure adesso che hai appoggiato il panno sui tasti e stai fissando i loro volti uno a uno. Peggio per loro, tanto prima o poi si rassegneranno e capiranno che non sempre basta pagare per ottenere in cambio qualcosa, non stasera almeno.
  • 9. Un passo e ti avvicini al violino. Anche lei deve aver capito soltanto ora e ti sorride, segno che la faccenda comincia a divertirla. Così la prendi per mano e le accarezzi le dita come in un cenno di intesa. Rimanete in piedi, voi due soli, dentro a tanto stupore, due isole in un mare di sguardi. Credevi che la navata fosse più lunga invece dura un secondo, nemmeno il tempo per te di stancarti e per loro di capire. Varcate insieme il portone quasi di corsa, fuori l’aria è fresca e leggera, aria di lago che sa di nostalgia e di tenerezza; non per niente la fa da padrona da quelle parti e resta per tutti una faccenda a metà, qualcosa da conquistare giorno dopo giorno, in autunno così come nelle mattine di nebbia, a cavallo della brezza e appisolati sulle panchine. A questo pensi mentre scendi la scalinata correndo accanto a lei che sorride e non riesce a parlare. Il fiato è già grosso e i passi fragili. Tra qualche minuto qualcuno inizierà ad alzarsi e a guardarsi intorno; fisseranno l’organo vuoto e il violino, sparito, mentre il prefetto comincerà di certo a spazientirsi. Chissà se troveranno in fretta qualcuno che possa suonare al vostro posto e se capiranno. Capita di vivere situazioni a prima vista incomprensibili, non sarà certo né la prima né l’ultima volta. A voi poco importa, ciò che conta adesso è soltanto il profumo dei gerani e il brontolio complice del lago. Sì, perché il lago è preparato quando si discorre di emozioni, dell’amore e di una vita che vale la pena tornare a scolpire. Lui ne ha accarezzate tante, alcune bellissime da ascoltare se si ha il tempo e la voglia di farsele raccontare...
  • 10. ...Questo sogni raggomitolata sulla poltrona a fiori, mentre la musica si sta spegnendo adagio e senti un’aria fresca accoccolata alla notte. Ti alzi e ti avvicini con calma alla finestra aperta. Hai scelto bene anche stavolta, è stato proprio un bel sogno; così bello che è proprio un peccato ora doversi addormentare.
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