Auto che evaporano
di Fabrizio Fasanella , dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (iscrizioni qui)
La mobilità delle nostre città è figlia di un modello di espansione basato su un mantra intramontabile, ma falso: bisogna realizzare più strade e più parcheggi per dare alle automobili lo spazio necessario per spostarsi e, conseguentemente, rendere più fluida la viabilità. Negli ultimi venti-trent’anni, urbanisti e ingegneri del traffico da tutto il mondo si sono accorti del terribile errore fatto dai loro predecessori, inebriati dal boom della motorizzazione di massa tra gli anni Cinquanta e Settanta.
Nasce anche da qui il termine “evaporazione del traffico”, il fenomeno secondo cui la riduzione dello spazio destinato alle automobili – sia in modo temporaneo (un cantiere), sia attraverso interventi permanenti (una pedonalizzazione o una corsia ciclabile che restringe le corsie riservate ai mezzi a motore) – comporta una diminuzione o una stabilizzazione dell’indice di congestione.
Meno strade significa meno traffico, perché una parte della cittadinanza che prima utilizzava l’auto viene incentivata a modificare le proprie abitudini di spostamento, convertendosi al trasporto pubblico o alla bicicletta. È come se una parte del traffico – nonostante la riduzione delle carreggiate dedicate alle auto – scomparisse, evaporasse, appunto. Il succo è che per tagliare il numero di mezzi inquinanti non servono diversivi, intricate strategie e particolari tecnologie. Al contrario, bisogna ripensare da cima a fondo i nostri centri urbani e avere il coraggio di ridistribuire democraticamente gli spazi.
Tra i paper più noti sull’evaporazione del traffico va citato quello pubblicato nel 2001 sulla rivista scientifica Municipal Engineer. Gli autori hanno notato che, in presenza di cantieri particolarmente impattanti sulla viabilità, i cittadini tendevano a cambiare nettamente il loro modo di spostarsi, stravolgendo le previsioni dei modelli di traffico e adattandosi senza alcun problema al nuovo contesto. «I risultati suggeriscono che le previsioni sul traffico sono spesso inutilmente allarmistiche e che si possono verificare significative riduzioni dei livelli complessivi di congestione; le persone, infatti, adottano una gamma molto più ampia di risposte comportamentali rispetto a quanto tradizionalmente ipotizzato», si legge.
Lo stesso fenomeno, come anticipato, avviene quando le amministrazioni locali decidono scientemente di scalfire il dominio dell’automobile e di (ri)consegnare spazio urbano ai cittadini in carne e ossa (e alla natura). Insomma, una città a misura di essere umano conviene a tutti, anche alle persone in automobile, perché la diffusione della mobilità sostenibile fluidifica la congestione stradale: è un processo che richiede anni, ma se il progetto è strutturale e ben pensato è un obiettivo possibile.
Stando al Global Traffic Scorecard di Inrix, nel 2024 ogni romano ha perso in media settantuno ore l’anno imbottigliato nel traffico, mentre ogni milanese sessantaquattro. Nella capitale, la velocità media delle auto in centro è stata di ventiquattro chilometri orari. Sono numeri che possiamo cambiare.
Uno studio del 2020 dell’Università di Barcellona, che ha analizzato i dati provenienti da 545 città europee dal 1985 al 2005, ha confermato che «l’espansione dei chilometri di carreggiate provoca un aumento del traffico veicolare che non risolve il problema della congestione urbana». L’indice di congestione, si legge nel paper, «è considerevolmente inferiore nelle città con sistemi di pedaggio stradale (come le nostre Ztl, la Ultra-low emission zone di Londra o il Congestion pricing di New York, ndr) e che il traffico diminuisce con l’espansione del trasporto pubblico».
Uno dei progetti di ricerca più importanti sulla traffic evaporation è nato dalla collaborazione tra Transitec, società francese di consulenza ingegneristica, e il Laboratorio di sociologia urbana del Politecnico di Losanna. La ricerca, diretta dal noto sociologo svizzero Vincent Kaufmann, ha mostrato che esistono tre possibili reazioni agli interventi che riducono lo spazio per le auto: scelta di un percorso alternativo per arrivare a destinazione; rinvio del viaggio; annullamento del viaggio; scelta di un altro mezzo di trasporto diverso dall’auto. Tolta la prima opzione, tutti i comportamenti citati in precedenza incentivano il fenomeno dell’evaporazione del traffico. E, a lungo andare, contribuiscono a ridurre il tasso di motorizzazione, che in Italia è il più alto di tutta l’Unione europea.
La pedonalizzazione di Times Square, avvenuta nel 2009 (la foto qui sopra è del 2010), è forse l’esempio più celebre di evaporazione del traffico. Stando ai dati ufficiali, gli scontri stradali a Theater District – l’area di Midtown Manhattan che comprende Times Square – sono diminuiti del quindici per cento e gli infortuni tra i pedoni del quaranta per cento. I benefici non si limitano all’area pedonalizzata, ma si estendono a tutte le vie circostanti. Immaginate quindi gli effetti di un centro cittadino interamente riservato alle persone a piedi, in bici o in monopattino.
Secondo Dario Hidalgo, Senior Mobility Consultant del Centro per le città sostenibili del World resources institute (Wri), «non vuol dire che le grandi città non necessitino di migliori connessioni stradali con le aree rurali. Tuttavia, la riduzione dello spazio stradale per le auto nelle zone più dense non innesca il caos che molti pronosticano. Al contrario, è un modo più sostenibile ed equo per migliorare la viabilità nelle città dense e in rapida crescita».
L’evaporazione del traffico avviene quando si attivano dei meccanismi di adattamento a nuove condizioni di vita urbana. Costruendo meno strade, si disincentiva l’uso dell’auto privata. È dunque un tema fortemente sociologico, perché questo processo è regolato da interazioni, relazioni e comportamenti che, per comprendere il fenomeno, vanno analizzati in profondità e con continuità, proprio come avviene con lo studio dei flussi di traffico e altri dati più canonici.
questo è un estratto della nuova puntata della newsletter settimanale di Greenkiesta de Linkiesta, a cura di Fabrizio Fasanella. Esce ogni mercoledì e puoi riceverla gratuitamente iscrivendoti qui.