Ep.43 - Non è il tool, è il mindset
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Ep.43 - Non è il tool, è il mindset

Nella traccia precedente abbiamo raccontato un workshop per integrare l’AI nel design partendo da emozioni, dubbi e flussi di lavoro reali. Ma il cuore dell’esperienza non era l’intelligenza artificiale. Era il modo in cui scegliamo di relazionarci a ciò che non conosciamo. Ci siamo accorti che, più dei tool, serve un cambio di prospettiva. Serve un altro tipo di attenzione. Serve un mindset.

Due profili umani fronte a fronte, con blocchi LEGO colorati sparsi in uno e ordinati in colonne nell’altro, su sfondo azzurro.

Dopo aver raccontato perché serva un approccio diverso per integrare davvero l’AI nel design (meno wow-effect, più riflessione strutturata, più sperimentazione vera), in questa seconda parte torniamo dietro le quinte del workshop.

Ne esploriamo la struttura, il filo che lega i diversi esercizi, e il modo in cui una semplice sessione guidata può trasformarsi in un nuovo modo di pensare il design. Perché sì: l’AI può generare interfacce, ma prima ancora può generare domande, intuizioni, consapevolezza. Se la affrontiamo con il giusto mindset, può aiutarci a rafforzare proprio ciò che ci rende umani.

Quello che segue è il racconto di un esperimento che, in Tangible, stiamo provando a trasformare in metodo.

L'architettura pedagogica del workshop

La sequenza dei cinque esercizi non è casuale. Parte da un’esplorazione emotiva (speranze e paure), passa attraverso la riflessione sul ruolo del designer, si immerge nei workflow reali, apre uno spazio di immaginazione creativa e si chiude con un piano d’azione concreto.

È un percorso che riproduce dinamiche molto umane:

  • dal noto all’ignoto
  • dal generale allo specifico
  • dall’incertezza alla sperimentazione consapevole

Ogni esercizio prepara il terreno per il successivo, in un percorso che porta gradualmente dall’incertezza alla sperimentazione consapevole.

L’effetto moltiplicatore

Un altro valore spesso sottovalutato: il gruppo. Fare questo percorso insieme ad altri genera una forma di accountability naturale. Le paure si normalizzano, le idee si moltiplicano, i piani d’azione diventano più concreti.

Le mappe condivise aiutano i team a parlarsi meglio. E spesso, dopo il workshop, restano in piedi conversazioni che prima non trovavano spazio. La trasformazione culturale comincia anche così: non con grandi piani, ma con piccoli momenti condivisi.

Il vero obiettivo: cambiare il mindset

Il vero impatto del workshop non sta solo negli strumenti che si provano, ma nel tipo di atteggiamento che si inizia a coltivare. Un atteggiamento progettuale che può fare la differenza nei prossimi anni. Parliamo di:

  • pensiero critico amplificato perché magari l'AI può generare moltissime opzioni, ma serve un occhio esperto per valutarle e selezionarle
  • creatività direzionale invece di partire da zero, in un potenziale futuro in cui designer imparano a dare direzione e vincoli (creativi? di brand?) all'AI per ottenere risultati più rilevanti
  • iterazione intelligente in quanto è vero che l'AI eccelle nell'esplorazione rapida, ma il designer umano guida il processo iterativo verso obiettivi significativi
  • controllo della qualità che si evolve e nuove competenze necessarie per identificare bias, errori, e limitazioni nell'output dell'AI

Un formato che si adatta (quasi) ovunque

Quello che rende questo workshop particolare è la sua adattabilità. Sebbene sia nato per i UI designer, il workshop tocca dinamiche che accomunano molte professioni: affrontare il cambiamento, esplorare nuove opportunità, definire nuovi ruoli, apprendere in modo strutturato.

Perché non testare questo formato fuori dallo UI Design? Con qualche adattamento, potrebbe funzionare:

  • nella UX, sostituendo le fasi del visual con quelle della ricerca o del testing;
  • nel service design, adattando gli esercizi ai touchpoint o agli stakeholder;
  • persino in ruoli non progettuali, dove l’AI entra nei flussi per automatizzare il ripetitivo e potenziare il decisionale.

In tutti questi contesti, l’AI viene accolta come supporto nei compiti a basso valore aggiunto e respinta dove servono sensibilità, intuizione e scelte strategiche, che restano responsabilità umana.

Il "superpotere" più desiderato sarà sempre qualche forma di "traduttore", che renda comprensibili feedback vaghi, normative complesse o richieste tecniche.

Mano robotica metallica tesa verso l’esterno su sfondo sfumato blu-viola, in posizione d’invito o collaborazione

E ora?

L'AI non è destinata a sostituire i designer, ma a cambiare radicalmente il modo in cui lavoriamo. I designer che si adatteranno prima e meglio saranno quelli che avranno dedicato tempo a capire non solo gli strumenti, ma i principi di collaboration uomo-macchina.

Workshop come questi sono solo l'inizio. Il vero apprendimento avviene quando si torna alla scrivania e si inizia a sperimentare. Ma avere un framework concettuale e alcuni esercizi pratici può fare la differenza tra restare paralizzati dall'incertezza e iniziare un percorso di crescita.

L'AI nel design non è una moda passeggera, è una trasformazione permanente del nostro settore. Chi si prepara ora avrà il vantaggio competitivo di domani. Chi aspetta rischia di trovarsi indietro in un mondo che si muove sempre più velocemente.

L’AI sta già cambiando il design. La vera domanda è: vogliamo esserne parte attiva, o limitarci a rincorrerla?

Se vuoi adattare il workshop al tuo team o al tuo contesto, faccelo sapere. Ci piacerebbe capire fin dove può arrivare, e come può evolvere.

Contenuto dell’articolo

A presto,

Il team Tangible

Claudia Costantini

Head of Design. Exploring AI-powered design methodologies for user-centered innovation

1 mese

Molto interessante

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