CAMBIA (chimica) CHE TI PASSA

CAMBIA (chimica) CHE TI PASSA

"E giunse il giorno in cui il rischio di rimanere chiusi in un bocciolo era più doloroso del rischio di sbocciare"(Anaïs Nin)

Tempo di lettura: 111 secondi

IL CERVELLO NON AMA I CAMBIAMENTI

La prima cosa da ricordare è che il cambiamento è un’esperienza chimica. Quando annunci una nuova direzione, il cervello delle persone reagisce prima ancora che la logica possa intervenire. L’amigdala – la nostra sentinella emotiva – suona l’allarme: “Attenzione, pericolo”. In un istante, il cortisolo sale, il respiro cambia, e il pensiero razionale cede il passo alla difesa automatica. Daniel Kahneman lo ha dimostrato: siamo più sensibili alla perdita che al guadagno. Il famoso bias di status quo ci fa preferire il “famigerato presente” alla “promessa del nuovo”, anche quando il nuovo è, sulla carta, migliore. Ecco perché quando un manager entra in sala e dice: “Da lunedì cambiamo il modo di lavorare”, il cervello delle persone traduce: “Da lunedì potresti non essere più competente, utile o sicuro”. Cominciamo quindi da una verità scomoda: il cervello umano non ama il nuovo per il nuovo. Ama la prevedibilità. L’imprevisto, anche quando è ricco di opportunità, viene letto come minaccia. È l’amigdala ad alzare la mano per prima: “Attenzione”. Il cortisolo sale, il corpo si irrigidisce, la mente cerca appigli familiari. Per questo i piani calati dall’alto falliscono: non perché siano sbagliati, ma perché non dialogano con la fisiologia di chi deve portarli a terra. Il lavoro del leader, qui, è prima di tutto chimico: abbassare minacce, alzare connessione e motivazione. Nel modello HCE, questo significa orchestrare Engage–Explain–Exchange, il nostro algoritmo di cui abbiamo tante volte parlato.

ENGAGE EXPLAIN EXCHANGE (sempre loro)

Immagina la sala riunioni di un’azienda che sta introducendo un nuovo modello ibrido di lavoro. Qualcuno è entusiasta, qualcuno è scettico, qualcuno ha paura di scomparire tra un calendario condiviso e un tool di project management. Il direttore potrebbe dire: “Dal primo del mese si cambia: tre giorni in sede, due da remoto, nuovi KPI, nuovi processi”. Oppure potrebbe scegliere una regia diversa: cominciare con Engage, cioè una storia vera. “L’anno scorso, in uno dei nostri team europei, abbiamo sperimentato un modello simile. La cosa più interessante non sono stati i numeri—che pure sono migliorati—ma le persone: ‘Finalmente riesco a lavorare in profondità senza perdermi nel rumore’. Oggi voglio parlarvi di come portiamo quel beneficio qui, tenendo ciò che funziona già.” In quel momento si sposta l’attenzione: dal “ci tolgono qualcosa” al “potremmo guadagnare qualcosa che ci serve”. L’ossitocina sale, la diffidenza scende. Poi arriva Explain: nessuna promessa vaga, ma senso e struttura. “Vi racconto perché lo facciamo ora, come impatta sulle priorità, cosa resta intatto.” Infine Exchange: “Mi interessa ciò che vedete voi, perché siete voi a fare il lavoro: quali rischi dobbiamo prevenire? Quali abitudini buone proteggiamo?” Se coinvolgi, le persone vedono pezzi del loro pensiero riflessi nelle decisioni. E quando si riconoscono nelle scelte, le difendono.

E LE RESISTENZE?

“Ma le resistenze?” ci chiediamo. Le resistenze non sono “contro di te”; sono a favore di qualcosa che la persona teme di perdere: competenza, riconoscimento, senso di controllo. Se tratti le resistenze come nemiche, le alimenti. Se le tratti come segnalatori, ti dicono dove devi lavorare. Frasi semplici cambiano la traiettoria: “Capisco la tua preoccupazione, dimmi cos’è che non deve andare perso”—sposta la conversazione dalla difesa alla cura. “Proviamolo per due settimane, ma con due condizioni scritte da te”—restituisce controllo. “Questa parte la teniamo, qui aggiungiamo; se qualcosa non regge, la correggiamo”—dichiara che il cambiamento non è una diga, è un fiume irrigato.

C’è un altro errore classico: parlare solo di efficienza. L’efficienza interessa ai bilanci, non alle persone. Le persone si muovono per senso e per stima. Senso: capire perché ora, perché così, perché con me. Stima: sentire che il proprio contributo è visto, chiamato per nome, reso visibile. Quando presenti una trasformazione, porta storie con nomi e cognomi, non slide con frecce astratte. “Maria, amministrazione, ha ridotto i tempi di chiusura del 30% grazie al nuovo processo; la cosa interessante è che adesso riesce a chiudere alle 18:00 e non alle 19:30.” Questo è cambiamento che parla alle persona che in azienda ci lavorano davvero.

NUDGE, SPINTE GENTILI

Parliamo di rituali, perché il cambiamento ha bisogno di simboli e di spinte gentili, senza qualcuno che forzi troppo la mano (a meno che non serva). In una multinazionale retail, l’onboarding del nuovo modello operativo è diventato un rito in tre passaggi: “Cosa proteggiamo” (ogni team elenca ciò che non deve essere toccato), “Cosa lasciamo andare” (vecchie pratiche che non servono più), “Cosa inauguriamo” (abitudini nuove da sperimentare per un mese). Ognuno poi faccia come crede, ma un rituale introdotto dolcemente è sempre meglio di una direttiva imposta dalla sera alla mattina.

In tutto questo, anche il linguaggio ha ovviamente il suo importantissimo ruolo. Alcune frasi aprono, altre chiudono; alcune calmano, altre attivano. Perciò, usate bene le parole. In apertura: “Quello che stiamo per fare è grande, e lo faremo insieme”; “Non abbiamo tutte le risposte oggi, ma abbiamo la squadra giusta per trovarle”; “Mi interessa la vostra esperienza: diteci cosa non deve andare perso”. Nella fase centrale: “Guardate dove siamo arrivati in tre settimane”; “Se togliamo questo attrito, guadagniamo tempo per il lavoro che vi piace davvero”; “Proviamo un’alternativa per due sprint, poi misuriamo e decidiamo insieme”. In chiusura: “Questo risultato è vostro, non del progetto”; “Non torneremo indietro, ma possiamo ancora migliorarlo”; “La prossima iterazione la disegniamo partendo da ciò che avete messo in luce”.

“E se qualcuno continua a remare contro?” A volte succede. Allora sii giusto e trasparente. Prima offri strumenti (formazione, affiancamento), poi scelte (ruoli coerenti con il nuovo contesto), infine coerenza (se il no permanente blocca il gruppo, lo dici). Il rispetto non è accontentare tutti; è non prendere nessuno in ostaggio. E non dimenticare il debrief: ogni mese, un momento in cui racconti cosa ha funzionato, cosa no, quali aggiustamenti fate. È qui che costruisci fiducia di lungo periodo: non promettendo perfezione, ma mostrando apprendimento.

Checklist per guidare il cambiamento

  1. Annuncia in anticipo: il cervello ama prevedere.
  2. Coinvolgi presto: la partecipazione riduce l’ansia.
  3. Spiega il senso: senza “perché”, la resistenza aumenta.
  4. Crea micro-vittorie: ogni progresso alimenta dopamina.
  5. Celebra ogni passo: il riconoscimento è carburante emotivo.
  6. Sii esempio vivente: il leader che cambia per primo rende il cambiamento credibile.

Guidare il cambiamento non significa “convincere tutti a forza”, ma costruire un contesto in cui cambiare sia percepito come un guadagno, non una perdita. È trasformare resistenze in energia, dubbi in curiosità, ansia in possibilità. E quando il linguaggio, il ritmo e la partecipazione sono calibrati, il cambiamento smette di essere una montagna da scalare e diventa una strada che le persone scelgono di percorrere con te.

Paolo Borzacchiello


Per saperne di più sulla scienza delle interazioni umane, frequentare i nostri percorsi integrati e accedere ai nostri contenuti esclusivi (comprese ricerche scientifiche e fonti cui si fa riferimento nella newsletter), visita il nostro portale: le prime 24 ore sono free (nessun rinnovo automatico, nessuna carta di credito richiesta). Inizia da qui


Franco Valentini

Mi occupo di Marketing e Comunicazione, inoltre collego il team R&S con il reparto commerciale.

1 settimana

Una domanda, Borzacchiello: se ciò che scrivi sul bias di status quo (che ci fa preferire il presente/noto alla “promessa del nuovo”, anche se il nuovo è migliore) è assolutamente vero, mi piacerebbe capire come lo metti in relazione con il fatto che oggi molte persone sono talmente abituate ai continui cambiamenti (adrenalina) che, quando non ne vivono qualcuno, finiscono per annoiarsi al punto da andarseli a cercare.

Shirley Dagevos

Area Manager @Max Mara Fashion Group

2 settimane

grazie Paolo Borzacchiello 🧠 ho voluto salvare questo strumento così utile. In un mondo di cambiamenti continui, è fondamentale allenarci e questo checklist è applicabile in ogni ambito, professionale e personale. 🔝

Elena Rifici

Assistant Front Desk Supervisor

2 settimane

Bellissimo! Grazie per la lezione maestro!

Alessandro Biancardi

Co-fondatore presso SmartAds.it

2 settimane

Tutto fantastico e utilissimo. Tutto opportuno anzi necessario in ogni contesto. Ma a chi sono rivolti questi meravigliosi consigli? I manager illuminati si comportano già così (per definizione). I manager refrattari impongono e non ascoltano (sempre per definizione). Chi rimane? Forse quei manager che coltivano anche dubbi oltre alle certezze, umiltà e voglia di migliorare. Sono certo ce ne siano molti anche in Italia.

Nadia Calchetti

Vice responsabile produzione Area Polizia presso Gruppo Maggioli

2 settimane

Tanti tanti spunti e proposte di miglioramento! 💪🏻👏🏻

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi