Ritrovare leggerezza è un lavoro pesante
La vita è troppo importante per essere presa seriamente (Oscar Wilde)
La leggerezza è un diritto o una conquista?
Di leggerezza ne ha scritto Calvino nelle sue “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio” un trattato che propone una serie di lezioni preparate nel 1985 in vista di un ciclo di lezioni da tenere ad Harvard nell’ambito delle prestigiose “Poetry Lectures”.
“Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore...”
La scienza ci ha ormai dimostrato che il movimento e il vuoto che costituiscono la materia sono importanti quanto il pieno, il visibile; e che peso e leggerezza vanno amalgamati nella giusta proporzione.
La leggerezza è liberatoria, è un’arte da coltivare nelle sfumature della vita, come scelta di trasformazione del proprio modo di vedere noi stessi e il mondo.
Quindi la leggerezza è una conquista che ci meritiamo ed è la strada per accedere al benessere personale ed organizzativo.
Si potrebbe dire che una persona vive con leggerezza quando riesce ad affrontare gli ostacoli della vita senza esserne influenzata negativamente, rimanendo stabile e con una buona dose di distacco.
Una tale attitudine porta a “planare”, a sorvolare le situazioni difficili senza che queste creino pesi sul cuore.
“Ognuno di noi dà il meglio di sé quando si sente liberamente leggero”
La nostra vita è caratterizzata da una continua ricerca di leggerezza.
Molti ambiti della scienza, nel corso della storia, hanno provato a fornire le istruzioni per essere leggeri, dalla poesia, alla filosofia, alla sociologia, alla psicologia fino alle più recenti scoperte delle neuroscienze.
Nonostante ciò continuiamo a non essere leggeri. Cosa serve? Non basta la conoscenza, quello che serve è qualcosa che passa attraverso il nostro sentire.
La leggerezza non è uno stato permanente non è una dimensione statica, bensì è qualcosa di sfuggente.
Abbiamo quindi bisogno di capire come “ci sentiamo leggeri” con noi stessi.
Per fare questo dobbiamo fare i conti con le paure che ci ostacolano, come ad esempio la paura di deludere le aspettative o il giudizio negativo di qualcuno.
Si può essere leggeri senza pregiudicare la serietà ?
Mauro Corona, alpinista e scrittore, ci dice che “In montagna la leggerezza è farsi sostenere dalle correnti, come i falchi e le poiane, senza battere le ali, senza sprecare forze”.
Nella vita è lo stesso: quando si è leggeri, ogni corrente, ogni minima soddisfazione ci sosterrà in aria, ci terrà allegri.
Per raggiungere una leggerezza nei comportamenti e nell’umore occorre ottenerla anche fisicamente.
Serve essere ascetici, non prendersi troppo sul serio, essere leggeri nelle esigenze personali, non prendersela troppo quando qualcuno sbaglia una parola nei nostri confronti.
La leggerezza è una forma di naturale prevenzione contro il rancore e, a volte, l’odio. Alleggerire la mente anche quando tutto intorno può appesantirsi, e appesantirci, ci dà l’impressione di non poterne uscire, è la forza della nostra mente.
La maggiore risorsa a cui possiamo attingere è la nostra capacità di entrare in contatto con le nostre emozioni, ascoltare e saper seguire le condizioni che ci portano verso uno stato di benessere maggiore.
Come imparare ad essere “leggeri”?
Lorenzo Jovanotti in “Le canzoni” ci dà un ottimo suggerimento. Ci invita a vivere il qui ed ora e sostenerci a vicenda.
La tematica è forte e si potrebbe individuare l’esempio per eccellenza in Michelangelo: l’artista non faceva altro che togliere peso (marmo) alle sculture per donarne quella leggerezza artistica per la quale è noto in tutto il mondo. Solo togliendo e cesellando con stile “scopriva” il capolavoro.
Perché c’è così poca leggerezza al lavoro?
Paura, ansia, stress, blocchi emotivi, mancanza di prospettive e scarsa sicurezza psicologica ci rendono poco propensi alla leggerezza.
Sul posto di lavoro chi raggiunge il proprio equilibrio è chi prende sul serio il proprio lavoro ma non troppo se stesso.
Abbiamo bisogno dunque di essere più leggeri con noi stessi. Abbiamo bisogno di avere più coraggio di Essere. Può sembrare paradossale, a meno che non si cambi il paradigma.
Se consideriamo la nostra vita come un viaggio in cui l’obiettivo della leggerezza è la meta, viviamo in una illusione.
La leggerezza non può mai essere un obiettivo, troppo rischioso. Quello che serve è il coraggio di fermarsi e sentirsi nella fatica che quotidianamente proviamo nella relazione con noi stessi e con gli altri.
Nell’immaginario collettivo è profondamente radicato il fatto che il risultato si raggiunge attraverso la fatica.
Se la fatica è un mezzo per raggiungere la leggerezza, qual è la dose di fatica che siamo disposti a sopportare per raggiungere il nostro scopo?
In poche parole, se il fine giustifica i mezzi e non esiste limite alla fatica, dato che questo modo di agire è funzionale al raggiungimento della mia felicità.
Siamo portati a considerare la leggerezza come una merce di scambio, un bene a cui rinunciare.
Ma se partiamo dal presupposto che io debba scambiare la mia leggerezza con la fatica, la relazione con me stesso e con gli altri diventa immediatamente precaria e in disequilibrio.
Lavoro e fatica non sono sinonimi. Esiste una profonda differenza tra fatica ed impegno.
È importante convincerci che se avvertiamo la fatica, a qualsiasi livello, il sistema non funziona in modo ottimale e nella maggior parte delle aziende non vengono considerati i costi relazionali, ovvero i costi delle persone che vanno in blocco, che non riescono più a fare niente, che hanno perso il rapporto con gli altri e con sé stesse.
Stare male è faticoso ed è un costo non sostenibile.
Avvertire il senso di fatica dovrebbe, al contrario, accendere una spia, farmi capire che qualcosa non sta funzionando. Dal momento in cui, la stessa fatica potesse essere intesa come una "informazione vigilante", un segnale sul rapporto che l'individuo ha nei confronti di sé stesso e del proprio stare bene, si potrebbe intervenire nel giusto tempo e con le corrette modalità al fine di contenere lo stress, valorizzare le relazioni e raggiungere o mantenere performance ottimali e funzionali nel tempo.
La fatica, pertanto, in una visione più ecologica di valorizzazione dell'Essere Umano, non dovrebbe essere interpretata come un mezzo per raggiungere l'obiettivo della leggerezza, ma come un indicatore da monitorare al fine di evitare di fondere il nostro motore arrecando danni irreparabili.
Così facendo, la stessa leggerezza diverrebbe non un obiettivo, ma parte integrante del nostro percorso professionale e di vita.
Stare meglio in rapporto con sé stessi, riconoscere e governare i propri stati d’animo, migliorare la presenza di sé nel tempo e nello spazio che abito, saper gestire il dialogo interiore è possibile e ci fa stare meglio anche con gli altri con effetti benefici anche sulla nostra salute psichica e fisica.
Per fare questo serve coraggio.
La leggerezza è un'attitudine che si può allenare, iniziando dal riconoscere il modo con cui stiamo in relazione con noi stessi, come ci trattiamo bene o ci maltrattiamo, valorizzando i diversi segnali di fatica che percepiamo e intervenendo su di essi al fine di relazionarci meglio anche con gli altri.
Il lavoro può, pertanto, darci benessere nella misura in cui riusciremo a definirlo come un allenamento di leggerezza quotidiana, nel quale monitorare costantemente la dose minima di maltrattamento che si è disposti a soffrire e su di essa intervenire facendo ricorso a ciò che ci differenzia da qualunque altro essere vivente, il senso della possibilità ovvero la capacità di immaginarci un futuro migliore iniziando ad agire da subito per realizzarlo.
Migliorare il nostro “saper essere”, al di là del “sapere” e del “saper fare”, sui quali non abbiamo peraltro mai smesso di investire.
È importante arrivare a fine giornata contenti perché abbiamo lavorato e abbiamo vissuto restando Umani.
Come dice Valerio Albisetti, una delle presenze più significative della psicoanalisi contemporanea: Perché lavoriamo?
La risposta è quanto mai scontata: ne abbiamo bisogno per vivere. Abbiamo usato la parola giusta: ”vivere”. Non si tratta della mera sopravvivenza della sola e pur legittima necessità di portare a casa uno stipendio, il lavoro coinvolge la vita e può diventare la possibilità più alta per esprimere i propri talenti, per testimoniare la propria coscienza morale, per realizzare i propri sogni. Abbiamo usato la parola giusta, vivere. Magari con leggerezza. Utopia!? No, concreta possibilità.
Professional Counselor (Analitico Transazionale)-AssoCounseling-Facilitatore-Formatore-Mindfulness- Colloqui con singoli, gruppi, accompagno ad una crescita personale e professionale-Gestione eventi aziendali
2 annisi possono fare dei bellissimi lavori con le persone, quando le aziende o meglio i loro dirigenti hanno consapevolezza del valore del benessere e della LEGGEREZZA grazie di parlarne
Responsabile Compliance e Antiriciclaggio presso Confidi Systema!
2 anniGrazie, ottimi spunti, arrivati proprio nel momento giusto!