Se tutti ti danno ragione, con ogni probabilità ti trovi nel posto sbagliato.

Se tutti ti danno ragione, con ogni probabilità ti trovi nel posto sbagliato.

NON SMETTERE MAI DI DUBITARE.

La capacità di ripensare e disimparare

Se sei in un posto e tutti ti danno ragione, con ogni probabilità ti trovi nel posto sbagliato. Perché se hai sempre ragione non impari mai nulla.

Questa massima mi ha accompagnato negli ultimi anni di vita e di carriera, soprattutto da quando ho iniziato a farmi affascinare e ad approfondire alcune tematiche relative al pensiero e ai meccanismi del nostro cervello.

Quando la gente riflette su che cosa serve per essere mentalmente in forma, la prima idea che viene in testa, di solito, è l’intelligenza.

Si pensa che più si è intelligenti, più sono complessi i problemi che si possono risolvere e meno tempo ci servirà per farlo. L’intelligenza è vista storicamente come la capacità di pensare e apprendere. Tuttavia in un mondo agitato da turbolenze di ogni tipo, c’è un altro insieme di abilità cognitive che potrebbero rivestire un’importanza maggiore: la capacità di ripensare e disimparare.

Noi esseri umani siamo restii davanti all’idea di ripensare le cose. Preferiamo aggrapparci alle vecchie opinioni piuttosto che doverci confrontare con nuovi punti di vista.

Una possibile spiegazione a questo fenomeno risiede nella pigrizia cognitiva, alcuni psicologi parlano addirittura di avarizia cognitiva (vd 1.). Proprio così, a quanto pare il nostro cervello è pigro, non è stato “pensato” per consumare energia, anzi esattamente il contrario, se può, viaggia in folle.

Se da un lato questo meccanismo ci ha permesso di sopravvivere nei secoli, dall’altro ci ostacola nel mettersi in discussione e di sganciarsi agevolmente da alcuni pregiudizi.

La sola idea di ripensare determinate situazioni rende il mondo più imprevedibile, ci impone di ammettere che le cose possono cambiare, ciò che una volta era giusto adesso è sbagliato. Riconsiderare qualcosa in cui crediamo può addirittura minacciare la nostra identità, può farci sentire come se stessimo perdendo una parte di noi stessi.

Preferiamo il conforto della certezza al disagio del dubbio.

Vi faccio un esempio: avrete probabilmente sentito raccontare della storia della rana immersa nell’acqua, in una pentola, sul fuoco. Una volta che la temperatura salirà e l’acqua giungerà ad ebollizione, la povera rana morirà perché si renderà conto della situazione troppo tardi. Bene, non so che origini abbia questa storia popolare, ma, di recente, ho fatto qualche ricerca a proposito e ho trovato un intoppo: non è vera.

Se buttata in una pentola d’acqua bollente, la rana si ustiona gravemente e potrebbe anche non essere in grado di scappare. Ma, se adagiata nella pentola e portata lentamente ad ebollizione, potrebbe andarle meglio ed essere in grado di saltar fuori non appena l’acqua avrà raggiunto una temperatura fastidiosa (vd 2.).

Non sono le rane a non riconsiderare la situazione. Siamo noi. Una volta accettata la storia come vera non ci prendiamo più la briga di metterla in discussione.

I nostri modi di pensare diventano abitudini pesanti come zavorre, solo che non ci preoccupiamo di metterli in discussione finché non è troppo tardi. Eccoci allora giungere all’importanza del ripensamento.

Un esempio su tutti, e penso noto a tanti: avete presente il gruppetto di studenti che ha creato ad Harvard quello che sarà poi definito il primo social network online della famosa università? Mi sapreste dire il nome di uno dei co-fondatori?

Probabilmente qualcuno di voi starà pensando a Mark Zuckerberg e Facebook. Bene, questo fatto non è vero, ma è associato al pensiero di aver accettato una storia come vera e alla pigrizia del non metterla in discussione.

Ben 5 anni prima che il noto fondatore di uno dei più famosi social network al mondo desse via alla rivoluzione social/ digitale, un gruppetto di studenti aveva già messo in connessione ben un ottavo delle matricole di Harvard inserendole in un “e-group” (vd 3.) con il solo istinto iniziale di farsi dei nuovi amici e non considerando che potesse essere interessante per altri studenti di altre scuole o addirittura nella vita oltre la scuola.

La loro abitudine, ben appresa, era quella di utilizzare gli strumenti on-line per entrare in contatto con persone lontane e non appena si ritrovarono a pochi passi l’uno dall’altro pensarono che l’e-group non servisse più. Fine del progetto!

Chiamatela pigrizia, scarso interesse o incapacità di ripensamento, ma a me, questo iniziare a sentirmi più a mio agio nel dubbio, stimola un bel pò. Non mi viene in mente un momento più cruciale di questo per il ripensamento.

Siamo spesso orgogliosi del nostro bagaglio di conoscenze e competenze, oltre che della fedeltà verso le nostre convinzioni e le nostre opinioni. Il che potrebbe avere senso in un mondo stabile, un mondo in cui veniamo ricompensati per la convinzione che nutriamo delle nostre idee. Il fatto è che viviamo in un contesto in rapida evoluzione che forse inizia a non piacerci più così tanto, ma è così: viviamo in un mondo in cui al ripensamento va dedicato lo stesso tempo che destiniamo al pensiero.

Pensiamo che nel 1950 ci volevano circa cinquant'anni affinché le conoscenze nel campo della medicina raddoppiassero (vd 4.). Nel 1980 raddoppiano ogni sette anni, intervallo di tempo dimezzato nel 2010. Il ritmo accelerato del cambiamento implica che abbiamo la necessità di mettere in discussione le nostre convinzioni più prontamente che mai.

Ciò comporta, a mio avviso, che la capacità di ripensamento è oggi, e sarà ancora di più nel prossimo futuro, una delle competenze più richieste sul mercato del lavoro.

Da dove iniziare allora? E’ molto semplice, non smettere mai di dubitare, o se preferite detta in maniera più semplice, ogni tanto trovatevi ad avere torto con curiosità, alla peggio potreste scoprire qualcosa di nuovo.

Il processo del ripensamento si sviluppa seguendo un ciclo che parte da uno stadio di umiltà intellettuale ovvero dalla consapevolezza di ciò che non sappiamo, fa sì che mettiamo in dubbio e, attraverso la curiosità, permette di scoprire e imparare qualcosa di nuovo.

Al contrario, il ciclo della sicurezza eccessiva conduce a trovare mere conferme di ciò che già conosciamo.

schemi "ciclo del ripensamento"​ e "ciclo della sicurezza eccessiva"​
Pertanto, se la conoscenza è potere, la consapevolezza di quante cose non sappiamo è una forma di saggezza.

Dovremo tutti essere in grado di stilare una lunga lista di ambiti in cui siamo ignoranti. La mia lista è infinita, include la fisica, la matematica, la musica, la botanica e persino il motivo per cui non è possibile farsi il solletico da soli.

Tale competenza è fortemente utilizzata dal pensiero scientifico che lascia aperto il senso del possibile e mette in discussione sempre i propri assunti, fatto di sensate esperienze e dimostrazioni necessarie. Il pensiero scientifico privilegia l’umiltà rispetto all’orgoglio, il dubbio rispetto alla certezza e la curiosità rispetto alla chiusura.

Si dice che un buon scienziato cerchi tutte le prove per confermare la propria scoperta mentre un eccellente scienziato cerchi tutte le prove per smentire la propria scoperta.

La differenza sta proprio nel vedere la realtà con gli occhi dell’orgoglio o dell’umiltà.

Nel primo caso il rischio è di chiudersi delle possibilità per abitare una confortevole situazione; nel secondo caso, anche se con qualche sforzo in più, si apre l’orizzonte di nuove opportunità.

Questa è la meraviglia, talvolta, di avere torto.

Le nostre convinzioni possono rinchiuderci in prigioni che ci creiamo noi stessi. La soluzione non è rallentare il pensiero: è accelerare il ripensamento.


Note biblio e linkografiche:

1. Susan I. Fiske, Shelley E. Taylor, Social Cognition: From Brains to Culture, 2nd ed., Los Angeles, Sage, 2013 (trad, it. Cognizione sociale. Dal cervello alla cultura, Milano, Apogeo, 2009).

2. James Fallows, «The Boiled-Frog Myth: Stop the Lying Now!», The Atlantic, 16 settembre 2006, www.theatlantic.com/world.

3. Elizabeth Widdicombe, «Prefrosh E-group Connected Class of '03», Harvard Crimson, 5 giugno 2003, www.thecrimson.com; Scott A. Golder, «Re:'Alone in Annenberg? First-Years Take Heart'», Harvard Crimson, 17 settembre 1999, www.thecrimson.com.

4. Peter Densen, «Challenges and Opportunities Facing Medical Education»,Transactions of the American Clinical and Climatological Association, 122, 2011,Pp. 48-58.

Paolo Strina

40+ anni in imprese, 30+ anni nella PA, da sempre nel volontariato sociale | Cofondatore @ Fondo Promozione Sociale Portaverta | consulente a progetto

2 anni

Il socratico "so di non sapere" dovrebbe guidarci sempre per evitare di approcciare la realtà con le classiche fette di salame sugli occhi

Simona Battistella

HR Manager Adeos Group| Adeos| Even| GLF - Socia Aidp Piemonte e Valle d'Aosta

2 anni

Riconoscere l'importanza di saper e voler disimparare, di ricominciare da capo se necessario, di dirci "ehi, hai sbagliato, è inutile che cerchi di puntare il dito verso qualcun'altro!" è una consapevolezza da nutrire e far crescere senza remore. Potremmo sicuramente imparare qualcosa di nuovo, una strada diversa, più arricchente. Grazie Mauro Dotta per questa perla di saggezza, tipica di una certa tartaruga senza guscio :-)

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