🍒🍒 SIAMO VIVI O SIAMO MORTI?
Foto scattata durante una recente visita allo Spazio Tadini di Milano - Un luogo da visitare!

🍒🍒 SIAMO VIVI O SIAMO MORTI?

In tempi di guerra meglio non scherzare.

Meglio non farlo neppure in tempi nei quali la simulazione e la finzione (della finzione), il profilo digitale, le realtà virtuali, la vita dentro lo schermo e l’immersione mediale nel mondo iperrealistico delle immagini, sono diventate la realtà vissuta principale. Una realtà che coinvolge moltitudini di persone, che ormai interagiscono con la realtà dell’universo mondo come se la loro coscienza fosse una semplice interfaccia. Una interfaccia che ci sta portando a pensare che la vita reale, il mondo esterno siano tante semplici finestre o nuove chat da aprire, tutte assimilabili a quelle che attiviamo su uno schermo o su un sistema di messaggistica come WhatsApp.

Da dove è scaturita la domanda

La domanda del titolo mi si è creata nella testa come immagine mentale riflettendo su quanta vita stiamo dando alle intelligenze artificiali e a quale difficoltà abbiamo nel governare le cose umane nei tempi di morte che stiamo vivendo.

I tempi di morte li abbiamo rimossi (i morti ucraini e russi, i morti israeliani e palestinesi, i morti congolesi e sudanesi, ecc.), dei fatti preferiamo avere una falsa e illusoria percezione, le emozioni e i sentimenti preferiamo nasconderli, non manifestarli (“l’IA e l’algoritmo ci stanno guardando!”). La rimozione sta portando a un deragliamento dell’uomo, a un corto circuito che ci priva della coscienza, della consapevolezza e della responsabilità, anche etica, che servirebbero per dare una risposta chiara alla domanda qui posta.

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Foto scattata durante una recente visita allo Spazio Tadini di Milano - Un luogo da visitare!

Se fossimo vivi le nostre reazioni a ciò che ci sta accadendo intorno sarebbero probabilmente diverse da quelle che oggi stiamo manifestando. L’ansia, l’angoscia esistenziale, l’insicurezza, la nostalgia e la malinconia che viviamo ci dicono che siamo ancora vivi, ma il nostro cedimento alla macchina, il modo con cui ci siamo ibridati e compenetrati con il “dispositivo” elettronico, trattato ormai come compagno vivo e pensante, con cui parliamo (“Hey Alexa dimmi se sono ancora vivo o semplicemente sveglio?” “Hai capito Alexa?”) ed esistiamo, ci fa capire che ci siamo addormentati e forse stiamo morendo.

L’aver riconosciuto alla macchina, con cui intratteniamo una relazione ludica, utilitaristica e strumentale, le capacità di pensare, di ragionare e di rispondere alle nostre domande, ci ha gettato nella paura e nel panico.

Come dovremmo reagire

La reazione poteva portare a investire sulla specificità dell’umano, sulle sue differenze dalle macchine, sul cervello come entità che funziona diversamente da un computer. La scelta, dettata dalla paura e dalla complicità servile, dalla viltà, ha invece portato a convincersi e a raccontare(ci) che la macchina è un gioco, è semplice strumento, è neutrale, ma soprattutto è diversa da come noi siamo e che quindi non può essere come noi. Una giustificazione frutto dell’ambiguità con cui interagiamo con la tecnologia, che ci porta a dimenticarci di chi siamo e a sostituire sempre più spesso le nostre identità virtuali, vissute come reali, con quella della nostra vita reale. Il risultato è che abbiamo smesso di interrogarci sul fatto che la nostra vita potrebbe essere diversa, tutt’altro, da quella che stiamo vivendo. Una vita ancora tutta e sempre da esplorare, per provare a scoprire se e quanto stiamo vivendo veramente, a porci domande esistenziali sulla “vera vita”.

La sostituzione della vita (simulacro) simulata con la “vita reale” sta avendo effetti rilevanti nella vita sociale di cui siamo parte integrante, nella quale dovremmo agire da persone vive, attive, pensanti, capaci di immaginare e costruire futuri.

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Ormai trasformati in semplici e macchinici profili digitali, siamo diventati semplici monadi isolate le une dalle altre. Ci raccontiamo di cambiare le cose, di vivere la realtà, di comunicare tra persone (pseudo) vive, in realtà lo facciamo dentro comunità, socialità, esperienze interne alla macchina. Una macchina, anche per questo sempre più viva, che cresce grazie a moltitudini di individui che, avendo scambiato la maschera che hanno indossato con il loro volto, la fanno vivere. 

Vita virtuale e vera vita

Il tempo dedicato alla macchina, il modo con cui ci proiettiamo e ci identifichiamo con essa, pur essendo un inganno, ci sta privando del nostro Sé, della nostra vita. Di questa vita conserviamo una percezione sottocorticale, nei risvegli temporanei che viviamo ne abbiamo una visione nostalgica, ma da impostori, da deboli e pigri, quali siamo diventati, invece di lasciarci sconvolgere o terremotare, fingiamo di non vedere e torniamo alle cose che oggi ci fanno sentire vivi, tutte frutto di interazioni digitali che ci permettono di andare avanti. Ma l’andare avanti porta a una vita falsa “dentro alla quale la vita si è inabissata, […] la vita ha disertato la vita” (Francois Jullien). 

Per riprendere la domanda del titolo, una vita ormai normalizzata e codificata è ridotta a un insieme circoscritto di sensazioni, per di più causate da pseudo-percezioni che ne falsificano la validità e che impediscono di vedere la vera vita (che non è quella ideale), singolare, ambigua e contraddittoria ma pur sempre una vita che valga la pena di essere vissuta. Abbiamo scelto la vita binaria, macchinica e digitale che ci permette di vivere vite ideali, sognate o fantasticate, ma sono vite che non esistono e forse non esisteranno mai. Questa vita ci impedisce di vedere la vita fattuale, quella che alla fine smaschera quella virtuale, che oggi ci serve per comprendere le tante difficoltà e problematicità che la caratterizzano, ma che può anche servire ad affrontare queste difficoltà, a superare le frustrazioni, a protestare e a costruire progetti di futuro. 

Se non si ritorna alla vita fattuale nessuna critica alla vita reale (alla vita com’è) diventa possibile, si perde la capacità di valutare ciò che non va per aggiustarlo, non si comprendono i danni e le conseguenze delle scelte economiche e politiche dominanti, si fa fatica a comprendere l’alienazione che viviamo dentro mondi ibridati tecnologicamente, non si riuscirà mai a ribellarsi al dominio del mercato e alla corruzione sempre più diffusa e vincente. 

Il ritorno alla vita passa dalla riscoperta della vita fattuale, quella che io ho provato a raccontare nel mio ultimo libro (NOSTROVERSO – Pratiche umaniste per resistere al Metaverso), una vita non banale che non “si accontenta di una pseudo-vita e [non] si rassegna all’apparenza”, ma che da essa si distacca “in cerca di una vita che vive”. 

Chi sarà in grado di recuperare il senso della sua vita fattuale, potrà probabilmente dare una risposta positiva alla domanda con cui ho dato inizio a questa riflessione. 

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Bibliografia

  • François Jullien, La vera vita, Editori Laterza, Bari, 2020
  • Slavoj Žižek, Che cos’è l’immaginario, Il Saggiatore, 2016
  • Spazio Tadini


Anna Maria Palma

Professional Counselor, Emotional Intelligence Coach, Consulente, Ambasciatrice Gentilezza

6 mesi

...quel salutarsi prima di accomiatarsi, lasciare, uscire e non quel verbo che genera un sentimento così poco piacevole #abbandonare E continuare ad essere #gentili anche quando si dissente, si lascia, si chiude, si esce. Grazie Carlo per suggerire quelle piccole cose che ci fanno rimanere umani, che ci fanno sentire umani. Grazie quindi a chi lascia un arrivederci prima di....

Francesco Spadera

Project Manager - Water Treatment Specialist - Training & Sustainable Transition Manager - Lean Thinking - Scrum Master - Chemical Engineer - TQM & Lean Six Sigma - Il Novelliere - TEDxErcolano Organizzatore

7 mesi

Se fossimo vivi e morti allo stesso tempo saprebbe troppo di Schrödinger? O stiamo “scontando la morte vivendo” per la nostra non volontà di assumerci responsabilità che ci appartengono ma che incoscienti preferiamo delegare ad altri?

Maria Emanuela Galanti

Organic Philosophy for sustainability and wise climate action

7 mesi

Non ci crederai, non ci crederete, ma oggi mi è capitato di dover usare la dura arma dell'ironia amara nei confronti di un CEO che brandiva "i consigli per l'uso della metacrisi" appena sputati da Chat GPT. Il post diceva più o meno "vedete, io e Chat GPT siamo completamente allineati. Quello che ci manca è il coraggio, tutto il resto è una conseguenza di questa mancanza". Ora, si dà il caso che il discorsetto retorico di Chat GPT era una copia di quello che il Presencing Institute e Otto Scharmer dicono da tempo, forse con la speranza che un moto di orgoglio ci metta in movimento nella direzione giusta. Dico questo come sostenitrice della circolarità ermeneutica, perché a forza di stare rinchiusi in una bolla di sapone, reiteriamo definizioni ricorsive di un circolo vizioso originario, pirandelliano, in cui uno, nessuno e centomila valgono uguali.

Stefano Manfredi

Consulente di orientamento didattico universitario

7 mesi

VIVISSIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII 😍

Diego Parassole

Speaker e consulente. Narratore di stranezze umane, capricci neurali, vertiginosi cambiamenti, originali modi per stare al passo.

7 mesi

Il 'Nostroverso" è davvero un'ottima idea!

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