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APPENDICE N. 3
DALLA DISABILITÀCOME
ESCLUSIONE ALLA
DISABILITÀCOME
INTEGRAZIONE NELLA
NORMATIVA INTERNAZIONALE
Le Nazioni Unite hanno contribuito ad offrire un
impulso determinante e decisivo per affrontare
il tema della disabilità in un quadro di
riferimento basato sui diritti umani, con
inevitabili ripercussioni nel dibattito
internazionale sulla full inclusion del XX e XXI
secolo. Agli esordi di questo input culturale
possono essere menzionate, per il loro grande
riferimento paradigmatico, la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata
dall’ONU nel 1948, e la Dichiarazione dei diritti
del bambino, varata nel 1959.
Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
per la prima volta a livello mondiale si proclamarono
i diritti individuali ed i valori fondamentali per una vita
dignitosa nella cornice dell’uguaglianza di tutti di
fronte alla legge. In particolare venne riconosciuto
che Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in
dignità e diritti (articolo 1) e che ad ogni individuo
spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella
presente Dichiarazione, senza limitazione alcuna,
per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di
religione, di opinione politica o di altro genere, di
origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o
di altra condizione (articolo 2, comma 1).
Ogni uomo ha diritto alla sicurezza sociale, alla
realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali
indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo
della sua personalità (articolo 22). Inoltre ogni
individuo ha diritto ad avere un tenore di vita
sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio
e della sua famiglia con particolare riguardo
all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure
mediche e ai servizi sociali necessari, ed ebbe
anche diritto alla sicurezza in caso di
disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza,
vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di
sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua
volontà (articolo 25, comma 1).
Di istruzione e di lavoro si occuparono gli
articoli 26 e 23 della Dichiarazione, secondo
i quali ogni individuo aveva diritto
all’istruzione (articolo 26, comma 1), che
doveva essere indirizzata al pieno sviluppo
della personalità umana ed al rafforzamento
del rispetto dei diritti umani e delle libertà
fondamentali (articolo 26, comma 2).
Ogni persona aveva diritto al lavoro, alla libera scelta
dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla
protezione contro la disoccupazione (articolo 23, comma 1).
L’articolo 27 al comma 1 mise in risalto il diritto di ogni persona
di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, a
godere delle arti e a partecipare al progresso scientifico ed ai
suoi benefici. L’articolo 29 puntualizzò da una parte che Ogni
individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è
possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità (comma
1) e dall’altra che Nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà,
ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che
sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento ed il
rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le
giuste esigenze della morale, dell'ordine pubblico e del
benessere generale in una società democratica (comma 2).
La Dichiarazione dell’ONU del 1948 rappresentò una
preziosa cornice valoriale all’interno della quale ogni
persona, nessuno escluso, in forza dell’uguaglianza
dovuta alla pari dignità umana, poté vedere
riconosciuti una serie di diritti fondamentali per lo
sviluppo della persona umana: il diritto alla sicurezza
sociale e alla sicurezza personale, il diritto alla
partecipazione e alla salute, il diritto all’istruzione e
al lavoro. Tutto questo ebbe una notevole influenza
sia sui dibattiti internazionali riguardanti i diritti delle
persone disabili sia sui successivi interventi
dell’ONU.
Fu nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che si
poterono scorgere le basi della full inclusion, o della piena
integrazione se si preferisce utilizzare questo termine,
prospettiva che troverà grande spazio nel dibattito della metà del
XX secolo, fino ad arrivare alla stesura della Convenzione sui
diritti delle persone con disabilità adottata nel 2006
dall’assemblea Generale delle Nazioni Unite. Alla Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo fece eco, qualche anno dopo, un
altro significativo e basilare documento: la Dichiarazione dei
diritti del bambino, approvata il 10 dicembre 1959
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, pronunciamento
che fu la base per la Convenzione Internazionale sui Diritti
dell’Infanzia del 20 novembre 1989.
L’ONU, anche in occasione della stesura e dell’approvazione di
questi documenti, non dimenticò di rivolgere la sua attenzione
alle persone disabili. Il discorso sui diritti dei bambini disabili
trovò un significativo spazio nel principio quinto della
Dichiarazione varata nel 1959, la quale stabilì che Il bambino
che è fisicamente, mentalmente o socialmente handicappato ha
diritto a ricevere il trattamento, l’educazione e le cure speciali
necessarie per la sua particolare condizione, ed ebbe risonanza
nella Convenzione del 1989, la quale precisò che Gli Stati parti
s’impegnano a rispettare i diritti che sono enunciati nella
presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo nel
proprio ambito giurisdizionale, senza distinzione alcuna per
ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di
opinione politica o di altro genere, del fanciullo o dei suoi genitori
o tutori, della loro origine nazionale, etnica o sociale, della loro
ricchezza, della loro invalidità, della loro nascita o di qualunque
altra condizione (articolo 2, comma 1.
Un altro significativo documento adottato il 21
dicembre 1965 dall’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite fu la Convenzione internazionale
sull’eliminazione di ogni forma di
discriminazione razziale. In esso venne ribadita
sia la dignità che l’uguaglianza di tutti gli esseri
umani. Ogni individuo, uguale davanti alla
legge, aveva diritto ad un’identica protezione
legale contro ogni discriminazione ed ogni
incitamento alla discriminazione.
Progressivamente l’attenzione verso i diritti delle persone
disabili assunse in ambito internazionale contorni sempre più
specifici. Il 20 dicembre 1971 l’Organizzazione delle Nazioni
Unite adottò la Dichiarazione sui diritti delle persone con ritardo
mentale mostrando il suo interesse non solo verso i diritti delle
persone con disabilità sensoriale e motoria, ma anche verso le
persone con disabilità psichica, per le quali le nazioni si presero
l’impegno di promuovere la loro integrazione. La Dichiarazione
fu volta sia al miglioramento del livello di vita delle persone con
ritardo mentale sia ad un effettivo inserimento sociale-lavorativo,
ed impegnò moralmente tutti gli Stati membri a occuparsi
materialmente e giuridicamente della realizzazione di tali finalità
Nella Dichiarazione sui diritti delle persone con
ritardo mentale si stabilì che La persona con ritardo
mentale ha, al massimo grado di fattibilità, gli stessi
diritti degli altri esseri umani (n. 1). La persona con
ritardo mentale ha diritto alle cure mediche e alle
terapie più appropriate al suo stato, nonché
all’istruzione, alla formazione, alla riabilitazione, alla
consulenza che la aiuteranno a sviluppare al
massimo le sue capacità e attitudini (n. 2). La
persona con ritardo mentale ha diritto alla sicurezza
economica e ad un tenore di vita decente. Ha il
diritto di svolgere un lavoro produttivo o di
impegnarsi in un’attività professionale significativa,
nella misura più ampia possibile delle sue capacità
(n. 3)
Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
per la prima volta a livello mondiale si proclamarono
i diritti individuali ed i valori fondamentali per una vita
dignitosa nella cornice dell’uguaglianza di tutti di
fronte alla legge. In particolare venne riconosciuto
che Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in
dignità e diritti (articolo 1) e che ad ogni individuo
spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella
presente Dichiarazione, senza limitazione alcuna,
per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di
religione, di opinione politica o di altro genere, di
origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o
di altra condizione (articolo 2, comma 1).
Le persone disabili hanno diritto a disposizioni
mirate affinché diventino autosufficienti (n.5). Le
persone disabili hanno diritto alle cure mediche,
psicologiche e funzionali, comprendenti gli apparati
di protesi e d’ortopedia, alla riabilitazione, all’aiuto e
al consiglio medico e sociale, ai servizi di
collocamento e ad altri servizi che le mettano in
grado di sviluppare al massimo le loro capacità e
attitudini e che possano accelerare il processo della
loro integrazione o reintegrazione (n.6). Le persone
disabili hanno diritto alla previdenza economica e
sociale e a un decente livello di vita.
Esse hanno il diritto di ottenere e conservare un impiego in
relazione alle loro capacità, oppure d'impegnarsi in una
occupazione utile, produttiva e remunerativa e di iscriversi ai
sindacati del lavoro. Nel 1976 l’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite stabilì il 1981 come l’Anno internazionale delle
persone disabili (International YearofDisabledPersons - IYDP),
scelta che determinò una crescita di sensibilità e di attenzione in
tutto il mondo verso le tematiche connesse ai diritti delle persone
disabili. Uno dei maggiori risultati dell’Anno internazionale fu la
formulazione del Programma Mondiale di Azione riguardante le
persone disabili (World
ProgrammeofActionconcerningDisabledPersons – WPA),
adottato dall’Assemblea Generale il 3 dicembre 1982. Il
Programma Mondiale di Azione (WPA) fu una strategia globale
per rafforzare le parità di opportunità e la piena partecipazione
delle persone disabili alla vita sociale e nazionale.
Grazie ad esso venne sottolineata la necessità di affrontare la
disabilità dal punto di vista dei diritti umani e venne fornita
un’importante analisi riguardante i principi, i concetti e le
definizioni in materia di disabilità. Inoltre non fu trascurato di
offrire una serie di raccomandazioni per l’azione a livello
nazionale e internazionale. L’Assemblea Generale dell’ONU, al
fine di fornire un lasso di tempo durante il quale gli Stati
avrebbero potuto sviluppare le attività raccomandate dal
Programma Mondiale di Azione, proclamò il 1983-1992 come il
Decennio delle Nazioni Unite delle persone disabili
(UnitedNations Decade ofDisabledPersons). L’effetto che si
ebbe fu una significativa opera di sensibilizzazione in vista del
pieno riconoscimento dei diritti umani delle persone disabili, le
quali dovevano poter vivere nella società un ruolo attivo.
Le stesse politiche sociali degli Stati, su sollecitazione
dell’ONU, dovevano essere sempre più volte a facilitare
la piena partecipazione sociale di tutti. Venne così
riproposto con forza il discorso sulla full inclusion. Negli
anni Novanta del XX secolo si raccolsero i frutti del
Programma Mondiale di Azione dell’ONU grazie alla
pubblicazione di un documento di grande significato e di
notevole portata: le Regole standard per il
raggiungimento delle pari opportunità per le persone con
disabilità (The Standard Rules on the
EqualizationofOpportunitiesforPersonswithDisabilities),
adottato dall’Assemblea Generale il 20 dicembre 1993.
Le Regole standard, pur non essendo una Convenzione
vincolante per gli Stati firmatari ma semplicemente un atto di
applicazione del Programma Mondiale di Azione riguardante le
persone disabili, costituirono un prezioso paradigma al fine di
configurare le politiche nazionali in materia di persone disabili. In
effetti esse furono degli strumenti pratici per i governi delle
diverse nazioni mondiali sia per migliorare la qualità della vita
delle persone disabili sia per rimuovere gli ostacoli che
impedivano di partecipare attivamente nella società civile, in
vista del raggiungimento delle pari opportunità. Le Standard
Rules rappresentarono uno strumento per diffondere una nuova
prospettiva culturale, in nome della quale le persone disabili
avrebbero potuto esercitare i loro diritti ed i loro doveri
esattamente come tutti i cittadini. E’ degno di nota quanto venne
espresso nelle righe introduttive del questo documento delle
Nazioni Unite:
Ci sono persone con disabilità in tutte le parti del mondo e a tutti
i livelli in ogni società. Il numero di persone con disabilità in tutto
il mondo è grande e sta crescendo. Sia le cause e le
conseguenze della disabilità variano nel mondo. Queste
variazioni sono il risultato di diverse condizioni socio-
economiche e delle diverse disposizioni che gli Stati attuano per
il benessere dei loro cittadini. L’attuale politica sulla disabilità è il
risultato degli sviluppi degli ultimi 200 anni. In molti modi riflette
le condizioni di vita generali e le politiche sociali ed economiche
dei vari periodi. Nel campo della disabilità, tuttavia, ci sono
anche molte circostanze specifiche che hanno influenzato le
condizioni di vita delle persone con disabilità. L’ignoranza, la
negligenza, la superstizione e la paura sono fattori sociali che
attraverso tutta la storia della disabilità hanno isolato le persone
con disabilità e ritardato la loro evoluzione.
Merita di essere evidenziata, in una prospettiva di integrazione
scolastica delle persone disabili, la regola numero sei che si
occupò espressamente di questo aspetto. Essa stabilì che Gli
stati dovrebbero riconoscere il principio che l’istruzione primaria,
secondaria, e terziaria per i bambini, i giovani e gli adulti con
disabilità deve essere ugualmente accessibile. Dovrebbero
garantire che l’istruzione di persone con disabilità faccia parte
integrante del sistema di istruzione. L’impegno dell’ONU nei
confronti delle persone disabili culminò nell’organizzazione
tramite l’UNESCO (Organizzazion e delle Nazioni Unite per
l’Educazione, la Scienza e la Cultura) della Conferenza di
Salamanca, svoltasi in Spagna dal 7 al 10 giugno del 1994 su I
bisogni educativi speciali: accesso e qualità.
Ad essa parteciparono 92 governi e 25 organizzazioni
internazionali. L’obiettivo della Conferenza mondiale della
Nazioni Unite fu quello di approfondire il problema della scuola
per tutti, in funzione anche dei cambiamenti degli approcci
educativi, al fine di una integrazione nel sistema scolastico
aperto ad ognuno ed in particolare a coloro che avevano dei
bisogni educativi speciali Dopo questa iniziativa dell’ONU circolò
sempre più il termine bisogni speciali (specialneeds) riferito alle
persone disabili, che verrà abbondantemente utilizzato nella
produzione letteraria e scientifica e che sarà anche criticato per
la sua ambivalenza soprattutto dagli esponenti dei
DisabilityStudies
Ogni uomo ha diritto alla sicurezza sociale, alla
realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali
indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo
della sua personalità (articolo 22). Inoltre ogni
individuo ha diritto ad avere un tenore di vita
sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio
e della sua famiglia con particolare riguardo
all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure
mediche e ai servizi sociali necessari, ed ebbe
anche diritto alla sicurezza in caso di
disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza,
vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di
sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua
volontà (articolo 25, comma 1).
Di fatto con questa Legge l’Italia accettò una scommessa decisiva per
la sua crescita civile: quella dell’integrazione delle persone disabili nelle
classi e nella scuola di tutti. Così le conclusioni della Conferenza di
Salamanca furono anticipate di ben ventitrè anni ed il sistema italiano
di integrazione venne contraddistinto in modo inconfondibile sul
palcoscenico internazionale. I lavori di Salamanca terminarono con
l’adozione di un significativo documento, la Dichiarazione di
Salamanca, sui principi, le politiche e le pratiche in materia di
educazione e dei bisogni educativi speciali. In questa Dichiarazione
venne precisato che ogni bambino ha caratteristiche, interessi,
predisposizioni e necessità di apprendimento che gli sono propri (n. 2,
punto 2) e che i sistemi educativi devono essere concepiti e i
programmi devono essere messi in pratica in modo da tenere conto di
questa grande diversità di caratteristiche e di bisogni (n.2, punto 3).
Inoltre, visto che le scuole normali con questo
orientamento di integrazione costituivano il
modo più efficace per combattere i
comportamenti discriminatori, si affermò che le
persone con bisogni educativi speciali devono
poter accedere alle normali scuole che devono
integrarli in un sistema pedagogico centrato sul
bambino, capace di soddisfare queste
necessità (n.2, punto 4).
Pertanto, considerati questi fondamentali principi, nella
Dichiarazione si esortarono tutti i governi ad adottare, come
legge o politica, il principio dell’educazione inclusiva,
accogliendo tutti i bambini nelle scuole normali, a meno che non
si oppongano motivazioni di forza maggiore (n. 3, punto 2), e a
incoraggiare e facilitare la partecipazione dei genitori, delle
comunità e delle organizzazioni di disabili alla pianificazione di
misure prese per soddisfare le esigenze educative speciali (n.3,
punto 5), nonché a fare attenzione affinché, nel contesto di un
cambiamento di sistema, la formazione degli insegnanti, iniziale
o durante l’incarico, tratti delle esigenze educative speciali nelle
scuole di integrazione (n.3, punto 7)
La Conferenza di Salamanca e la sua Dichiarazione
posero l’accento sul diritto di tutti all’accesso alla scuola
ordinaria e sottolinearono la necessità di costruire un
sistema pedagogico capace di rispondere ai bisogni
educativi speciali. Misero così in evidenza l’importanza di
fare attenzione non tanto al soggetto, ma al sistema
educativo e alle scuole ordinarie, luoghi strategici per
combattere attitudini discriminatorie Questa innovativa
prospettiva, centrata non sull’individuo con i suoi deficit
ma sull’interazione tra la persona ed il contesto di vita,
trovò anche a livello sanitario una preziosa codificazione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS), nel 2001, con l’International
ClassificationofFunctioning, Disability and
Health (ICF), vide la disabilità non più come
una caratteristica dell’individuo, ma il frutto
di una complessa interazione di condizioni,
molte delle quali create dall’ambiente in cui
le persone vivevano.
Con il modello ICF, non a caso definito bio-psico-sociale, la
disabilità non riguardò esclusivamente i singoli cittadini, ma
toccò soprattutto la comunità e le istituzioni. Venne superato il
modello medico di disabilità contenuto nella precedente
Classificazione del 1980 (ICIDH - International
ClassificationofImpairments, Disabilities and Handicaps), che si
fondava sulle conseguenze della malattia, e fu abbandonata una
visione puramente sanitaria, per sostenere una dimensione
dinamica ed ambientale, nella quale la disabilità non era vista
come una condizione soggettiva, ma come un rapporto sociale
dipendente dalle limitazioni funzionali di una persona in
interazione con le condizioni del contesto in cui si svolgevano le
sue attività.
Qualora queste condizioni non avessero tenuto conto delle limitazioni
funzionali individuali e non ne avessero adattato le situazioni di vita e di
relazione con appropriati facilitatori tecnologici e/o ambientali, la
società avrebbe costruito barriere ed ostacoli che limitavano la
partecipazione Anche negli anni successivi all’approvazione dell’ICF
ritornò con prepotenza, all’interno della prospettiva del godimento dei
diritti umani e della piena partecipazione di tutti, il tema del concreto
protagonismo delle persone disabili, le quali dovevano poter essere,
con gli aiuti necessari e con l’eliminazione di tutte le barriere, i
protagonisti del loro personale progetto di vita e gli attori della vita
sociale della loro nazione. Il dibattito che seguì fu intenso, tanto da
portare l’ONU ad elaborare la Convenzione sui diritti delle persone con
disabilità, che venne adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite il 13 dicembre 2006.

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Copia di PROGETTO VIOLENZA sulle donne PCTO
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Copia di PROGETTO VIOLENZA sulle donne PCTO

MIILIV_M4C5 Appendice 3 parte 1

  • 1. APPENDICE N. 3 DALLA DISABILITÀCOME ESCLUSIONE ALLA DISABILITÀCOME INTEGRAZIONE NELLA NORMATIVA INTERNAZIONALE
  • 2. Le Nazioni Unite hanno contribuito ad offrire un impulso determinante e decisivo per affrontare il tema della disabilità in un quadro di riferimento basato sui diritti umani, con inevitabili ripercussioni nel dibattito internazionale sulla full inclusion del XX e XXI secolo. Agli esordi di questo input culturale possono essere menzionate, per il loro grande riferimento paradigmatico, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’ONU nel 1948, e la Dichiarazione dei diritti del bambino, varata nel 1959.
  • 3. Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo per la prima volta a livello mondiale si proclamarono i diritti individuali ed i valori fondamentali per una vita dignitosa nella cornice dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge. In particolare venne riconosciuto che Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti (articolo 1) e che ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza limitazione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione (articolo 2, comma 1).
  • 4. Ogni uomo ha diritto alla sicurezza sociale, alla realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità (articolo 22). Inoltre ogni individuo ha diritto ad avere un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ebbe anche diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà (articolo 25, comma 1).
  • 5. Di istruzione e di lavoro si occuparono gli articoli 26 e 23 della Dichiarazione, secondo i quali ogni individuo aveva diritto all’istruzione (articolo 26, comma 1), che doveva essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali (articolo 26, comma 2).
  • 6. Ogni persona aveva diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione (articolo 23, comma 1). L’articolo 27 al comma 1 mise in risalto il diritto di ogni persona di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, a godere delle arti e a partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici. L’articolo 29 puntualizzò da una parte che Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità (comma 1) e dall’altra che Nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento ed il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell'ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica (comma 2).
  • 7. La Dichiarazione dell’ONU del 1948 rappresentò una preziosa cornice valoriale all’interno della quale ogni persona, nessuno escluso, in forza dell’uguaglianza dovuta alla pari dignità umana, poté vedere riconosciuti una serie di diritti fondamentali per lo sviluppo della persona umana: il diritto alla sicurezza sociale e alla sicurezza personale, il diritto alla partecipazione e alla salute, il diritto all’istruzione e al lavoro. Tutto questo ebbe una notevole influenza sia sui dibattiti internazionali riguardanti i diritti delle persone disabili sia sui successivi interventi dell’ONU.
  • 8. Fu nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che si poterono scorgere le basi della full inclusion, o della piena integrazione se si preferisce utilizzare questo termine, prospettiva che troverà grande spazio nel dibattito della metà del XX secolo, fino ad arrivare alla stesura della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità adottata nel 2006 dall’assemblea Generale delle Nazioni Unite. Alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo fece eco, qualche anno dopo, un altro significativo e basilare documento: la Dichiarazione dei diritti del bambino, approvata il 10 dicembre 1959 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, pronunciamento che fu la base per la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 20 novembre 1989.
  • 9. L’ONU, anche in occasione della stesura e dell’approvazione di questi documenti, non dimenticò di rivolgere la sua attenzione alle persone disabili. Il discorso sui diritti dei bambini disabili trovò un significativo spazio nel principio quinto della Dichiarazione varata nel 1959, la quale stabilì che Il bambino che è fisicamente, mentalmente o socialmente handicappato ha diritto a ricevere il trattamento, l’educazione e le cure speciali necessarie per la sua particolare condizione, ed ebbe risonanza nella Convenzione del 1989, la quale precisò che Gli Stati parti s’impegnano a rispettare i diritti che sono enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo nel proprio ambito giurisdizionale, senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, del fanciullo o dei suoi genitori o tutori, della loro origine nazionale, etnica o sociale, della loro ricchezza, della loro invalidità, della loro nascita o di qualunque altra condizione (articolo 2, comma 1.
  • 10. Un altro significativo documento adottato il 21 dicembre 1965 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite fu la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale. In esso venne ribadita sia la dignità che l’uguaglianza di tutti gli esseri umani. Ogni individuo, uguale davanti alla legge, aveva diritto ad un’identica protezione legale contro ogni discriminazione ed ogni incitamento alla discriminazione.
  • 11. Progressivamente l’attenzione verso i diritti delle persone disabili assunse in ambito internazionale contorni sempre più specifici. Il 20 dicembre 1971 l’Organizzazione delle Nazioni Unite adottò la Dichiarazione sui diritti delle persone con ritardo mentale mostrando il suo interesse non solo verso i diritti delle persone con disabilità sensoriale e motoria, ma anche verso le persone con disabilità psichica, per le quali le nazioni si presero l’impegno di promuovere la loro integrazione. La Dichiarazione fu volta sia al miglioramento del livello di vita delle persone con ritardo mentale sia ad un effettivo inserimento sociale-lavorativo, ed impegnò moralmente tutti gli Stati membri a occuparsi materialmente e giuridicamente della realizzazione di tali finalità
  • 12. Nella Dichiarazione sui diritti delle persone con ritardo mentale si stabilì che La persona con ritardo mentale ha, al massimo grado di fattibilità, gli stessi diritti degli altri esseri umani (n. 1). La persona con ritardo mentale ha diritto alle cure mediche e alle terapie più appropriate al suo stato, nonché all’istruzione, alla formazione, alla riabilitazione, alla consulenza che la aiuteranno a sviluppare al massimo le sue capacità e attitudini (n. 2). La persona con ritardo mentale ha diritto alla sicurezza economica e ad un tenore di vita decente. Ha il diritto di svolgere un lavoro produttivo o di impegnarsi in un’attività professionale significativa, nella misura più ampia possibile delle sue capacità (n. 3)
  • 13. Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo per la prima volta a livello mondiale si proclamarono i diritti individuali ed i valori fondamentali per una vita dignitosa nella cornice dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge. In particolare venne riconosciuto che Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti (articolo 1) e che ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza limitazione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione (articolo 2, comma 1).
  • 14. Le persone disabili hanno diritto a disposizioni mirate affinché diventino autosufficienti (n.5). Le persone disabili hanno diritto alle cure mediche, psicologiche e funzionali, comprendenti gli apparati di protesi e d’ortopedia, alla riabilitazione, all’aiuto e al consiglio medico e sociale, ai servizi di collocamento e ad altri servizi che le mettano in grado di sviluppare al massimo le loro capacità e attitudini e che possano accelerare il processo della loro integrazione o reintegrazione (n.6). Le persone disabili hanno diritto alla previdenza economica e sociale e a un decente livello di vita.
  • 15. Esse hanno il diritto di ottenere e conservare un impiego in relazione alle loro capacità, oppure d'impegnarsi in una occupazione utile, produttiva e remunerativa e di iscriversi ai sindacati del lavoro. Nel 1976 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite stabilì il 1981 come l’Anno internazionale delle persone disabili (International YearofDisabledPersons - IYDP), scelta che determinò una crescita di sensibilità e di attenzione in tutto il mondo verso le tematiche connesse ai diritti delle persone disabili. Uno dei maggiori risultati dell’Anno internazionale fu la formulazione del Programma Mondiale di Azione riguardante le persone disabili (World ProgrammeofActionconcerningDisabledPersons – WPA), adottato dall’Assemblea Generale il 3 dicembre 1982. Il Programma Mondiale di Azione (WPA) fu una strategia globale per rafforzare le parità di opportunità e la piena partecipazione delle persone disabili alla vita sociale e nazionale.
  • 16. Grazie ad esso venne sottolineata la necessità di affrontare la disabilità dal punto di vista dei diritti umani e venne fornita un’importante analisi riguardante i principi, i concetti e le definizioni in materia di disabilità. Inoltre non fu trascurato di offrire una serie di raccomandazioni per l’azione a livello nazionale e internazionale. L’Assemblea Generale dell’ONU, al fine di fornire un lasso di tempo durante il quale gli Stati avrebbero potuto sviluppare le attività raccomandate dal Programma Mondiale di Azione, proclamò il 1983-1992 come il Decennio delle Nazioni Unite delle persone disabili (UnitedNations Decade ofDisabledPersons). L’effetto che si ebbe fu una significativa opera di sensibilizzazione in vista del pieno riconoscimento dei diritti umani delle persone disabili, le quali dovevano poter vivere nella società un ruolo attivo.
  • 17. Le stesse politiche sociali degli Stati, su sollecitazione dell’ONU, dovevano essere sempre più volte a facilitare la piena partecipazione sociale di tutti. Venne così riproposto con forza il discorso sulla full inclusion. Negli anni Novanta del XX secolo si raccolsero i frutti del Programma Mondiale di Azione dell’ONU grazie alla pubblicazione di un documento di grande significato e di notevole portata: le Regole standard per il raggiungimento delle pari opportunità per le persone con disabilità (The Standard Rules on the EqualizationofOpportunitiesforPersonswithDisabilities), adottato dall’Assemblea Generale il 20 dicembre 1993.
  • 18. Le Regole standard, pur non essendo una Convenzione vincolante per gli Stati firmatari ma semplicemente un atto di applicazione del Programma Mondiale di Azione riguardante le persone disabili, costituirono un prezioso paradigma al fine di configurare le politiche nazionali in materia di persone disabili. In effetti esse furono degli strumenti pratici per i governi delle diverse nazioni mondiali sia per migliorare la qualità della vita delle persone disabili sia per rimuovere gli ostacoli che impedivano di partecipare attivamente nella società civile, in vista del raggiungimento delle pari opportunità. Le Standard Rules rappresentarono uno strumento per diffondere una nuova prospettiva culturale, in nome della quale le persone disabili avrebbero potuto esercitare i loro diritti ed i loro doveri esattamente come tutti i cittadini. E’ degno di nota quanto venne espresso nelle righe introduttive del questo documento delle Nazioni Unite:
  • 19. Ci sono persone con disabilità in tutte le parti del mondo e a tutti i livelli in ogni società. Il numero di persone con disabilità in tutto il mondo è grande e sta crescendo. Sia le cause e le conseguenze della disabilità variano nel mondo. Queste variazioni sono il risultato di diverse condizioni socio- economiche e delle diverse disposizioni che gli Stati attuano per il benessere dei loro cittadini. L’attuale politica sulla disabilità è il risultato degli sviluppi degli ultimi 200 anni. In molti modi riflette le condizioni di vita generali e le politiche sociali ed economiche dei vari periodi. Nel campo della disabilità, tuttavia, ci sono anche molte circostanze specifiche che hanno influenzato le condizioni di vita delle persone con disabilità. L’ignoranza, la negligenza, la superstizione e la paura sono fattori sociali che attraverso tutta la storia della disabilità hanno isolato le persone con disabilità e ritardato la loro evoluzione.
  • 20. Merita di essere evidenziata, in una prospettiva di integrazione scolastica delle persone disabili, la regola numero sei che si occupò espressamente di questo aspetto. Essa stabilì che Gli stati dovrebbero riconoscere il principio che l’istruzione primaria, secondaria, e terziaria per i bambini, i giovani e gli adulti con disabilità deve essere ugualmente accessibile. Dovrebbero garantire che l’istruzione di persone con disabilità faccia parte integrante del sistema di istruzione. L’impegno dell’ONU nei confronti delle persone disabili culminò nell’organizzazione tramite l’UNESCO (Organizzazion e delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) della Conferenza di Salamanca, svoltasi in Spagna dal 7 al 10 giugno del 1994 su I bisogni educativi speciali: accesso e qualità.
  • 21. Ad essa parteciparono 92 governi e 25 organizzazioni internazionali. L’obiettivo della Conferenza mondiale della Nazioni Unite fu quello di approfondire il problema della scuola per tutti, in funzione anche dei cambiamenti degli approcci educativi, al fine di una integrazione nel sistema scolastico aperto ad ognuno ed in particolare a coloro che avevano dei bisogni educativi speciali Dopo questa iniziativa dell’ONU circolò sempre più il termine bisogni speciali (specialneeds) riferito alle persone disabili, che verrà abbondantemente utilizzato nella produzione letteraria e scientifica e che sarà anche criticato per la sua ambivalenza soprattutto dagli esponenti dei DisabilityStudies
  • 22. Ogni uomo ha diritto alla sicurezza sociale, alla realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità (articolo 22). Inoltre ogni individuo ha diritto ad avere un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ebbe anche diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà (articolo 25, comma 1).
  • 23. Di fatto con questa Legge l’Italia accettò una scommessa decisiva per la sua crescita civile: quella dell’integrazione delle persone disabili nelle classi e nella scuola di tutti. Così le conclusioni della Conferenza di Salamanca furono anticipate di ben ventitrè anni ed il sistema italiano di integrazione venne contraddistinto in modo inconfondibile sul palcoscenico internazionale. I lavori di Salamanca terminarono con l’adozione di un significativo documento, la Dichiarazione di Salamanca, sui principi, le politiche e le pratiche in materia di educazione e dei bisogni educativi speciali. In questa Dichiarazione venne precisato che ogni bambino ha caratteristiche, interessi, predisposizioni e necessità di apprendimento che gli sono propri (n. 2, punto 2) e che i sistemi educativi devono essere concepiti e i programmi devono essere messi in pratica in modo da tenere conto di questa grande diversità di caratteristiche e di bisogni (n.2, punto 3).
  • 24. Inoltre, visto che le scuole normali con questo orientamento di integrazione costituivano il modo più efficace per combattere i comportamenti discriminatori, si affermò che le persone con bisogni educativi speciali devono poter accedere alle normali scuole che devono integrarli in un sistema pedagogico centrato sul bambino, capace di soddisfare queste necessità (n.2, punto 4).
  • 25. Pertanto, considerati questi fondamentali principi, nella Dichiarazione si esortarono tutti i governi ad adottare, come legge o politica, il principio dell’educazione inclusiva, accogliendo tutti i bambini nelle scuole normali, a meno che non si oppongano motivazioni di forza maggiore (n. 3, punto 2), e a incoraggiare e facilitare la partecipazione dei genitori, delle comunità e delle organizzazioni di disabili alla pianificazione di misure prese per soddisfare le esigenze educative speciali (n.3, punto 5), nonché a fare attenzione affinché, nel contesto di un cambiamento di sistema, la formazione degli insegnanti, iniziale o durante l’incarico, tratti delle esigenze educative speciali nelle scuole di integrazione (n.3, punto 7)
  • 26. La Conferenza di Salamanca e la sua Dichiarazione posero l’accento sul diritto di tutti all’accesso alla scuola ordinaria e sottolinearono la necessità di costruire un sistema pedagogico capace di rispondere ai bisogni educativi speciali. Misero così in evidenza l’importanza di fare attenzione non tanto al soggetto, ma al sistema educativo e alle scuole ordinarie, luoghi strategici per combattere attitudini discriminatorie Questa innovativa prospettiva, centrata non sull’individuo con i suoi deficit ma sull’interazione tra la persona ed il contesto di vita, trovò anche a livello sanitario una preziosa codificazione.
  • 27. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 2001, con l’International ClassificationofFunctioning, Disability and Health (ICF), vide la disabilità non più come una caratteristica dell’individuo, ma il frutto di una complessa interazione di condizioni, molte delle quali create dall’ambiente in cui le persone vivevano.
  • 28. Con il modello ICF, non a caso definito bio-psico-sociale, la disabilità non riguardò esclusivamente i singoli cittadini, ma toccò soprattutto la comunità e le istituzioni. Venne superato il modello medico di disabilità contenuto nella precedente Classificazione del 1980 (ICIDH - International ClassificationofImpairments, Disabilities and Handicaps), che si fondava sulle conseguenze della malattia, e fu abbandonata una visione puramente sanitaria, per sostenere una dimensione dinamica ed ambientale, nella quale la disabilità non era vista come una condizione soggettiva, ma come un rapporto sociale dipendente dalle limitazioni funzionali di una persona in interazione con le condizioni del contesto in cui si svolgevano le sue attività.
  • 29. Qualora queste condizioni non avessero tenuto conto delle limitazioni funzionali individuali e non ne avessero adattato le situazioni di vita e di relazione con appropriati facilitatori tecnologici e/o ambientali, la società avrebbe costruito barriere ed ostacoli che limitavano la partecipazione Anche negli anni successivi all’approvazione dell’ICF ritornò con prepotenza, all’interno della prospettiva del godimento dei diritti umani e della piena partecipazione di tutti, il tema del concreto protagonismo delle persone disabili, le quali dovevano poter essere, con gli aiuti necessari e con l’eliminazione di tutte le barriere, i protagonisti del loro personale progetto di vita e gli attori della vita sociale della loro nazione. Il dibattito che seguì fu intenso, tanto da portare l’ONU ad elaborare la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, che venne adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006.