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E’ opportuno sottolineare che l’integrazione dei ragazzi
disabili nella scuola secondaria superiore deve favorire il
loro sviluppo relazionale e cognitivo attraverso
un’organizzazione che crei un legame tra la scuola
medesima e le altre professionalità e strutture presenti
sul territorio quali ad esempio neuropsichiatri, psicologi e
terapisti della riabilitazione49. In questa sorta di rete si
pongono anche gli insegnanti specializzati che
soprattutto nella scuola secondaria superiore
rappresentano una risorsa umana preziosa per gli allievi
portatori di handicap.
La scuola secondaria superiore, infatti, oltre
alla varietà dei bisogni formativi che, pur
all’interno della categoria dei cosiddetti
“normodotati” si diversificano per livelli di
competenza, interessi e motivazioni, si trova a
rispondere alla richiesta di accogliere disabilità
anche gravi; i docenti specializzati, pertanto,
devono possedere una formazione che unisca
tecniche specialistiche alla didattica relativa a
determinate minorazioni insieme ad una
competenza didattico-educativa di base.
Ma tutti i docenti, non solo quelli specializzati, dovrebbero avere
una formazione pedagogica, metodologica e psicologica aperta
anche ai problemi della diversità e dell’handicap. In caso
contrario c’è il rischio che la presenza degli allievi disabili nelle
scuole secondarie superiori non riguardi la scuola nel suo
insieme ma solo il docente specializzato destinato di fatto ad
essere considerato l’unico responsabile dell’integrazione. La
responsabilità dell’azione educativa svolta nei confronti
dell’allievo disabile deve essere alla stessa stregua
dell’insegnante di sostegno e degli insegnanti curriculari; in caso
contrario l’alunno rischia di essere isolato anziché integrato.
In altre parole è sempre più necessario che la professionalità docente
passi da una dimensione prevalentemente di “tipo esecutivo” ad una
dimensione di “tipo progettuale” a vantaggio di tutti gli allievi e
soprattutto di quelli portatori di handicap50. Tale necessità viene
ribadita anche nella Premessa ai programmi dei corsi biennali di
specializzazione del 1995, in cui si definisce l’integrazione scolastica
“dovere deontologico” di tutti i docenti: “…l’azione di integrazione… è
compito dell’intero sistema scolastico e pertanto risulta essere dovere
deontologico di tutti gli operatori scolastici che lo inverano”. D’altra
parte, se “l’integrazione è quel livello di socializzazione che si
costruisce attraverso l’apprendimento”, condizioni essenziali sono “che
tutti operino in modo sinergico… e che tutti crescano come
competenza relazionale e comunicativa, cioè come apprendimento…”
non solo l’allievo in situazione di handicap, ma anche i compagni di
classe e gli insegnanti stessi, sia curriculari che di sostegno.
L’integrazione degli allievi in situazione di
handicap soprattutto alle scuole superiori
diventa reale quando accanto alla
particolare competenza degli insegnanti
specializzati si creano nella scuola reti di
sostegno formali ed informali capaci di
supportare e contestualizzare il lavoro dei
docenti assegnati per “forme particolari di
sostegno”.
Cottoni individua tra i segnalatori di “alto livello” di integrazione
“la capacità di elaborare e verificare collegialmente percorsi
educativi calibrati secondo le esigenze degli alunni”, “la
convinzione che il docente di sostegno possa lavorare in aula in
compresenza e collaborazione con l’insegnante curriculare, o
fuori dall’aula con piccoli gruppi di allievi, quando ciò sia previsto
dalla programmazione”, ed infine “l’operatività sinergica tra
scuola, sanitari e familiari dell’allievo in situazione di handicap”.
Da ciò si desume che “l’integrazione scolastica è un
cambiamento ed un adattamento reciproco, un processo aperto
e correlato con il riconoscimento e l’assunzione delle identità e
delle conoscenze incorporate”.
In tale ottica considerare il docente di sostegno
come l’unico responsabile del processo di
integrazione vuol dire voler accentuare e non
ridurre le situazioni di handicap; tra l’altro una
lettura attenta della normativa consente di
delineare un ruolo dell’insegnante di sostegno
che va ben oltre la delega totale svolgendo la
propria attività nella piena contitolarità con gli
altri insegnanti (legge n. 104/1992, articolo 13,
comma 6) e condividendo con loro la
responsabilità degli interventi necessari.
La compresenza può essere definita anche
approccio educativo cooperativo, per
sottolineare la collaborazione e la messa in
comune delle reciproche abilità54. Inoltre la C.
M. n. 250/85 precisa in modo netto che “non si
deve mai delegare al solo insegnante di
sostegno l’attuazione del Piano Educativo
Individualizzato, ma al contrario tutti i docenti
devono farsi carico della programmazione e
dell’attuazione degli interventi didattico-
educativi previsti dal Piano Educativo
Individualizzato”55.
C’è, dunque, bisogno per la stesura, ma ben di più la
realizzazione e le verifiche del Piano Educativo
Individualizzato, di un professionista che interpreti un
ruolo di tutela degli interessi esistenziali dell'alunno
disabile, che lo aiuti nella memoria della sua storia e
nella definizione di un suo progetto di vita. In questo
ruolo, l'insegnante specializzato deve, però, lavorare
con la persona disabile e, soprattutto i colleghi nel
definire in modo condiviso, "obiettivi partecipati"
(elaborati e vissuti insieme, non imposti), percorsi
possibili, criteri di verifica e valutazione sia degli
obiettivi che dei percorsi fatti per cercare di
raggiungerli.
Per questo l'insegnante specializzato deve avere uno
sguardo "sottile", qualità percettiva penetrante, oltre che
uno "sguardo lungo", e riuscire a vedere adulto quel
ragazzo disabile che ha di fronte, vederlo adulto con le
sue necessità e i suoi desideri, nel lavoro, in casa, nelle
relazioni affettive, con gli amici. Per tale motivo oggi il
ruolo del docente specializzato è importante e molto
delicato: a fronte di una generalizzata diminuzione delle
ore di sostegno assegnate a ciascun allievo, tale docente
ha il compito di operare soprattutto a livello del team dei
docenti per rappresentare correttamente i bisogni
formativi dell’alunno disabile sul piano relazionale,
cognitivo e sociale.
Ma tutti i docenti, non solo quelli specializzati, dovrebbero avere
una formazione pedagogica, metodologica e psicologica aperta
anche ai problemi della diversità e dell’handicap. In caso
contrario c’è il rischio che la presenza degli allievi disabili nelle
scuole secondarie superiori non riguardi la scuola nel suo
insieme ma solo il docente specializzato destinato di fatto ad
essere considerato l’unico responsabile dell’integrazione. La
responsabilità dell’azione educativa svolta nei confronti
dell’allievo disabile deve essere alla stessa stregua
dell’insegnante di sostegno e degli insegnanti curriculari; in caso
contrario l’alunno rischia di essere isolato anziché integrato.
L’inserimento degli allievi portatori di handicap
nella scuola secondaria ha sollevato, tuttavia,
complessi problemi perché sembra entrare in
contraddizione, soprattutto per particolari
tipologie di handicap, con gli obiettivi formativi
di questo grado di scuola. Con fatica sono stati
affrontati i problemi degli obiettivi formativi e
professionali e quelli della didattica speciale, e
gradualmente si è affermata, anche in questa
scuola, la metodologia della programmazione e
della verifica, dei progetti individualizzati e
dell’organizzazione.
Ma quali caratteristiche rendono efficace
l’insegnamento, vale a dire aiutano gli studenti,
soprattutto i portatori di handicap e gli svantaggiati, a
crescere come persone? L’aiuto a “crescere” come
persone può essere dato essenzialmente attraverso
la qualità dei rapporti che un insegnante riesce a
stabilire con gli allievi, sia a livello di classe sia a
livello di singoli. La conoscenza fra la classe ed il
docente avviene in un certo senso in modo
proporzionale al numero di ore di cui il docente
dispone ed il clima che si crea in classe dipende
soprattutto dal modo in cui l’insegnante esercita la
sua funzione di guida.
Nella letteratura pedagogica quando si parla di stili
educativi ci si riferisce principalmente alle tre categorie
individuate da Lewin, Lippit e White: stile democratico,
stile autoritario e stile laissez faire o permissivo. Lo stile
democratico è proprio dell’insegnante che mostra
comprensione e interesse per i suoi allievi attraverso
l’incoraggiamento, riprendendone, tuttavia, con
autorevolezza le condotte inadeguate. Gli insegnanti con
queste caratteristiche si pongono come guida che indica
il cammino, ma che lascia liberi gli alunni di sperimentare
e di agire, senza timore degli errori. Al contrario, gli stili
autoritario e laissez faire appaiono poco funzionali sia
per lo sviluppo dell’allievo sia per la conduzione della
classe.
Infatti, lo stile autoritario è caratterizzato da
un’assunzione di responsabilità forte da parte
dell’insegnante, che lascia scarsa autonomia
decisionale ai ragazzi e gestisce in modo direttivo
l’interazione di classe. Al polo opposto, invece, lo
stile laissez faire è contraddistinto da una mancanza
di autorevolezza da parte dell’insegnante che
rinuncia a porre regole e vincoli forti agli alunni. In
entrambi i casi gli allievi non possono contare sul
docente come punto di riferimento attento alle
dinamiche interne alla classe e l’insegnante non
promuove un dialogo costruttivo con gli alunni.
Nel caso poi dello stile autoritario alcuni
atteggiamenti e comportamenti del docente
possono risultare eccessivamente rigidi e
generare nell’alunno sentimenti di disagio.
Quando, invece, ci si riferisce ad alunni
portatori di handicap le problematiche
educative cambiano radicalmente poiché il
percorso didattico deve essere organizzato
in maniera essenzialmente individuale.
Ma personalizzare non significa innanzitutto ripetere le lezioni,
semplificandole in piccoli gruppi di alunni con difficoltà di
apprendimento (come sembra di capire venga fatto leggendo il
Piano Educativo Individualizzato), bensì partire proprio da tali
alunni per fare dire loro quello che hanno capito, come lo hanno
capito, e far così emergere le loro capacità, le loro personali
predisposizioni e aspirazioni. Solo dopo questa fase di
rilevazione e identificazione delle potenzialità, che si realizza
ponendo ciascuno nella situazione favorevole a consentirgli la
libera espressione di sé come persona unica, sarà possibile
anche procedere ad un lavoro personalizzato, il più possibile
creativo, aperto e flessibile, orientato in ultima analisi alla
mobilitazione di competenze60, disciplinari o interdisciplinari che
siano, ma comunque al servizio della persona umana, del suo
pieno sviluppo (Costituzione, Articolo 3, comma 2) e delle sue
esigenze reali.
E non v’è dubbio che per un giovane portatore
di handicap la priorità vada data alla ricerca di
una soddisfacente autonomia vitale quotidiana,
puntando ad esempio più alla matematica
“funzionale” che a quella tradizionale, dove per
matematica funzionale s’intende quella
necessaria a risolvere i problemi di tutti i giorni
come fare la spesa, programmare gli impegni
della giornata o arrivare a fine mese con un
margine di cassa.
Il fatto è che quando si lavora sulle autonomie di solito
non si programmano obiettivi matematici tradizionali
come il concetto di quantità o il valore posizionale delle
cifre ma si cerca di insegnare solo ciò che è strettamente
indispensabile al raggiungimento della competenza di
autonomia programmata. Parliamo in questi casi appunto
di matematica funzionale, vale a dire utile all’acquisizione
della competenza che consentirà di essere autonomi in
una specifica area. Ma a ben vedere la finalità principale
per un disabile, che dovrebbe proprio essere
rappresentata dall’autonomia personale, è la grande
assente negli obiettivi previsti dal Piano Educativo
Individualizzato in questo caso.
In altre parole è sempre più necessario che la professionalità docente
passi da una dimensione prevalentemente di “tipo esecutivo” ad una
dimensione di “tipo progettuale” a vantaggio di tutti gli allievi e
soprattutto di quelli portatori di handicap50. Tale necessità viene
ribadita anche nella Premessa ai programmi dei corsi biennali di
specializzazione del 1995, in cui si definisce l’integrazione scolastica
“dovere deontologico” di tutti i docenti: “…l’azione di integrazione… è
compito dell’intero sistema scolastico e pertanto risulta essere dovere
deontologico di tutti gli operatori scolastici che lo inverano”. D’altra
parte, se “l’integrazione è quel livello di socializzazione che si
costruisce attraverso l’apprendimento”, condizioni essenziali sono “che
tutti operino in modo sinergico… e che tutti crescano come
competenza relazionale e comunicativa, cioè come apprendimento…”
non solo l’allievo in situazione di handicap, ma anche i compagni di
classe e gli insegnanti stessi, sia curriculari che di sostegno.
Non banalmente nell’uso del denaro e
nemmeno nel sapersi cucinare da solo, visto
che la sua figura professionale sarà proprio
quella di cuoco. Ad esempio potrebbe
consistere in svolgimento di compiti di
segreteria personale, gestione corrispondenza
e database, gestione agenda appuntamenti,
organizzazione viaggi (itinerario, mezzi di
trasporto, alloggi, preventivo), creazione ed
aggiornamento di siti web
Per quanto riguarda ad esempio la gestione di un
agenda personale esistono numerosi programmi
informatici (forse il più noto è contenuto nel
programma “Works” di Microsoft) che permettono di
attivare anche dei promemoria a scadenze
prefissate. In generale il principio ispiratore
fondamentale dovrebbe consistere nel far superare
la logica dell’assistenzialismo da un lato e
dell’emergenza dall’altro, dando al disabile gli
strumenti per essere autonomo in futuro, senza con
ciò tagliare i ponti con le istituzioni e le figure
professionali che operano sul territorio.
Fare meno esercizi di matematica o non fare prove
scritte d’inglese può essere validamente compensato
dall’imparare a costruire siti web usando programmi
informatici, quindi basati su una logica matematica, e
dall’approfondimento della terminologia inglese di tipo
tecnico informatico ormai imprescindibile nella società in
cui viviamo. In fondo il problema è che si tratta di cose
che tutti noi “normodotati” diamo per scontate ma che
possono rappresentare vere e proprie barriere
all’integrazione sociale per alunni portatori di handicap
e/o particolarmente vulnerabili sul piano psicologico. Non
va neppure sottovalutata l’importanza di strumenti quali
gli ipertesti e la multimedialità.
Scoprire che esiste un altro modo per scrivere
un testo, più libero e in fondo più simile al
funzionamento della nostra mente, una rete
naturale di milioni di neuroni quale è quella
virtuale di Internet, non può che rinforzare
nell’alunno dislessico la fiducia in se stesso e
nelle proprie capacità, sostenendo così la
motivazione ad apprendere sempre nuove
cose. L’adolescenza rappresenta un periodo di
cambiamento sotto diversi profili: fisico,
intellettuale, sociale e morale, un cambiamento
che coinvolge vari aspetti della persona.
Durante la preadolescenza e l’adolescenza un
ragazzo deve affrontare alcuni compiti che sono
fondamentali per la sua vita; il primo compito è
l’acquisizione del pensiero ipotetico, della capacità,
cioè, di ragionare come un adulto; un altro è la
progressiva conquista dell’autonomia nei confronti
dei genitori; un terzo è il definitivo superamento del
complesso di Edipo attraverso investimenti affettivi
nei confronti di coetanei dell’altro sesso esterni al
mondo familiare; un quarto è il coronamento del
processo di socializzazione attraverso la
partecipazione alla vita del gruppo dei coetanei.
Gli psicologi definiscono l’adolescenza come una
sorta di nuova nascita dal momento che comporta
diverse modificazioni: l’adolescente si separa da un
corpo equilibrato, dal suo mondo infantile, dai suoi
giochi, per individuare nuove attività e nuovi interessi
di gruppo e di relazione. Secondo Piaget il bambino
ha una morale eteronoma, definita e stabilita dagli
altri: crede che una cosa sia giusta o sbagliata a
seconda di quello che gli dicono gli adulti. Con
l’aumentare delle capacità logiche vuole poter
decidere e valutare criticamente ciò che è bene e ciò
che è male.
Ciò comporta ovviamente paure e incertezze, i
ragazzi temono di perdere i loro punti di
riferimento perché vogliono decidere e valutare
in proprio le loro scelte morali. Questo crea una
situazione di disagio psicologico e sociale che
non è uguale per tutti gli adolescenti e non è da
tutti vissuta con pari grado di intensità. In tutti
però è evidente il tentativo di superare siffatta
situazione di incertezza facendo del proprio io il
centro dell’universo.
Il rifiuto delle immagini parentali provoca nel
preadolescente-adolescente la tendenza al disagio
che lo espone al pericolo della asocialità, ma che al
contempo lo rende sensibile a nuove identificazioni
con persone che stanno al di fuori della famiglia
come i compagni di classe ed i docenti. Certo, i
compagni di classe e gli amici sono sempre stati
presenti anche negli anni precedenti; ma essi
avevano prevalentemente il carattere di compagni di
studio o di gioco, talvolta anche solo occasionali,
perché i punti di riferimento fondamentali erano gli
adulti.

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MIILIV_M4C5 Appendice 4 parte 2

  • 1. E’ opportuno sottolineare che l’integrazione dei ragazzi disabili nella scuola secondaria superiore deve favorire il loro sviluppo relazionale e cognitivo attraverso un’organizzazione che crei un legame tra la scuola medesima e le altre professionalità e strutture presenti sul territorio quali ad esempio neuropsichiatri, psicologi e terapisti della riabilitazione49. In questa sorta di rete si pongono anche gli insegnanti specializzati che soprattutto nella scuola secondaria superiore rappresentano una risorsa umana preziosa per gli allievi portatori di handicap.
  • 2. La scuola secondaria superiore, infatti, oltre alla varietà dei bisogni formativi che, pur all’interno della categoria dei cosiddetti “normodotati” si diversificano per livelli di competenza, interessi e motivazioni, si trova a rispondere alla richiesta di accogliere disabilità anche gravi; i docenti specializzati, pertanto, devono possedere una formazione che unisca tecniche specialistiche alla didattica relativa a determinate minorazioni insieme ad una competenza didattico-educativa di base.
  • 3. Ma tutti i docenti, non solo quelli specializzati, dovrebbero avere una formazione pedagogica, metodologica e psicologica aperta anche ai problemi della diversità e dell’handicap. In caso contrario c’è il rischio che la presenza degli allievi disabili nelle scuole secondarie superiori non riguardi la scuola nel suo insieme ma solo il docente specializzato destinato di fatto ad essere considerato l’unico responsabile dell’integrazione. La responsabilità dell’azione educativa svolta nei confronti dell’allievo disabile deve essere alla stessa stregua dell’insegnante di sostegno e degli insegnanti curriculari; in caso contrario l’alunno rischia di essere isolato anziché integrato.
  • 4. In altre parole è sempre più necessario che la professionalità docente passi da una dimensione prevalentemente di “tipo esecutivo” ad una dimensione di “tipo progettuale” a vantaggio di tutti gli allievi e soprattutto di quelli portatori di handicap50. Tale necessità viene ribadita anche nella Premessa ai programmi dei corsi biennali di specializzazione del 1995, in cui si definisce l’integrazione scolastica “dovere deontologico” di tutti i docenti: “…l’azione di integrazione… è compito dell’intero sistema scolastico e pertanto risulta essere dovere deontologico di tutti gli operatori scolastici che lo inverano”. D’altra parte, se “l’integrazione è quel livello di socializzazione che si costruisce attraverso l’apprendimento”, condizioni essenziali sono “che tutti operino in modo sinergico… e che tutti crescano come competenza relazionale e comunicativa, cioè come apprendimento…” non solo l’allievo in situazione di handicap, ma anche i compagni di classe e gli insegnanti stessi, sia curriculari che di sostegno.
  • 5. L’integrazione degli allievi in situazione di handicap soprattutto alle scuole superiori diventa reale quando accanto alla particolare competenza degli insegnanti specializzati si creano nella scuola reti di sostegno formali ed informali capaci di supportare e contestualizzare il lavoro dei docenti assegnati per “forme particolari di sostegno”.
  • 6. Cottoni individua tra i segnalatori di “alto livello” di integrazione “la capacità di elaborare e verificare collegialmente percorsi educativi calibrati secondo le esigenze degli alunni”, “la convinzione che il docente di sostegno possa lavorare in aula in compresenza e collaborazione con l’insegnante curriculare, o fuori dall’aula con piccoli gruppi di allievi, quando ciò sia previsto dalla programmazione”, ed infine “l’operatività sinergica tra scuola, sanitari e familiari dell’allievo in situazione di handicap”. Da ciò si desume che “l’integrazione scolastica è un cambiamento ed un adattamento reciproco, un processo aperto e correlato con il riconoscimento e l’assunzione delle identità e delle conoscenze incorporate”.
  • 7. In tale ottica considerare il docente di sostegno come l’unico responsabile del processo di integrazione vuol dire voler accentuare e non ridurre le situazioni di handicap; tra l’altro una lettura attenta della normativa consente di delineare un ruolo dell’insegnante di sostegno che va ben oltre la delega totale svolgendo la propria attività nella piena contitolarità con gli altri insegnanti (legge n. 104/1992, articolo 13, comma 6) e condividendo con loro la responsabilità degli interventi necessari.
  • 8. La compresenza può essere definita anche approccio educativo cooperativo, per sottolineare la collaborazione e la messa in comune delle reciproche abilità54. Inoltre la C. M. n. 250/85 precisa in modo netto che “non si deve mai delegare al solo insegnante di sostegno l’attuazione del Piano Educativo Individualizzato, ma al contrario tutti i docenti devono farsi carico della programmazione e dell’attuazione degli interventi didattico- educativi previsti dal Piano Educativo Individualizzato”55.
  • 9. C’è, dunque, bisogno per la stesura, ma ben di più la realizzazione e le verifiche del Piano Educativo Individualizzato, di un professionista che interpreti un ruolo di tutela degli interessi esistenziali dell'alunno disabile, che lo aiuti nella memoria della sua storia e nella definizione di un suo progetto di vita. In questo ruolo, l'insegnante specializzato deve, però, lavorare con la persona disabile e, soprattutto i colleghi nel definire in modo condiviso, "obiettivi partecipati" (elaborati e vissuti insieme, non imposti), percorsi possibili, criteri di verifica e valutazione sia degli obiettivi che dei percorsi fatti per cercare di raggiungerli.
  • 10. Per questo l'insegnante specializzato deve avere uno sguardo "sottile", qualità percettiva penetrante, oltre che uno "sguardo lungo", e riuscire a vedere adulto quel ragazzo disabile che ha di fronte, vederlo adulto con le sue necessità e i suoi desideri, nel lavoro, in casa, nelle relazioni affettive, con gli amici. Per tale motivo oggi il ruolo del docente specializzato è importante e molto delicato: a fronte di una generalizzata diminuzione delle ore di sostegno assegnate a ciascun allievo, tale docente ha il compito di operare soprattutto a livello del team dei docenti per rappresentare correttamente i bisogni formativi dell’alunno disabile sul piano relazionale, cognitivo e sociale.
  • 11. Ma tutti i docenti, non solo quelli specializzati, dovrebbero avere una formazione pedagogica, metodologica e psicologica aperta anche ai problemi della diversità e dell’handicap. In caso contrario c’è il rischio che la presenza degli allievi disabili nelle scuole secondarie superiori non riguardi la scuola nel suo insieme ma solo il docente specializzato destinato di fatto ad essere considerato l’unico responsabile dell’integrazione. La responsabilità dell’azione educativa svolta nei confronti dell’allievo disabile deve essere alla stessa stregua dell’insegnante di sostegno e degli insegnanti curriculari; in caso contrario l’alunno rischia di essere isolato anziché integrato.
  • 12. L’inserimento degli allievi portatori di handicap nella scuola secondaria ha sollevato, tuttavia, complessi problemi perché sembra entrare in contraddizione, soprattutto per particolari tipologie di handicap, con gli obiettivi formativi di questo grado di scuola. Con fatica sono stati affrontati i problemi degli obiettivi formativi e professionali e quelli della didattica speciale, e gradualmente si è affermata, anche in questa scuola, la metodologia della programmazione e della verifica, dei progetti individualizzati e dell’organizzazione.
  • 13. Ma quali caratteristiche rendono efficace l’insegnamento, vale a dire aiutano gli studenti, soprattutto i portatori di handicap e gli svantaggiati, a crescere come persone? L’aiuto a “crescere” come persone può essere dato essenzialmente attraverso la qualità dei rapporti che un insegnante riesce a stabilire con gli allievi, sia a livello di classe sia a livello di singoli. La conoscenza fra la classe ed il docente avviene in un certo senso in modo proporzionale al numero di ore di cui il docente dispone ed il clima che si crea in classe dipende soprattutto dal modo in cui l’insegnante esercita la sua funzione di guida.
  • 14. Nella letteratura pedagogica quando si parla di stili educativi ci si riferisce principalmente alle tre categorie individuate da Lewin, Lippit e White: stile democratico, stile autoritario e stile laissez faire o permissivo. Lo stile democratico è proprio dell’insegnante che mostra comprensione e interesse per i suoi allievi attraverso l’incoraggiamento, riprendendone, tuttavia, con autorevolezza le condotte inadeguate. Gli insegnanti con queste caratteristiche si pongono come guida che indica il cammino, ma che lascia liberi gli alunni di sperimentare e di agire, senza timore degli errori. Al contrario, gli stili autoritario e laissez faire appaiono poco funzionali sia per lo sviluppo dell’allievo sia per la conduzione della classe.
  • 15. Infatti, lo stile autoritario è caratterizzato da un’assunzione di responsabilità forte da parte dell’insegnante, che lascia scarsa autonomia decisionale ai ragazzi e gestisce in modo direttivo l’interazione di classe. Al polo opposto, invece, lo stile laissez faire è contraddistinto da una mancanza di autorevolezza da parte dell’insegnante che rinuncia a porre regole e vincoli forti agli alunni. In entrambi i casi gli allievi non possono contare sul docente come punto di riferimento attento alle dinamiche interne alla classe e l’insegnante non promuove un dialogo costruttivo con gli alunni.
  • 16. Nel caso poi dello stile autoritario alcuni atteggiamenti e comportamenti del docente possono risultare eccessivamente rigidi e generare nell’alunno sentimenti di disagio. Quando, invece, ci si riferisce ad alunni portatori di handicap le problematiche educative cambiano radicalmente poiché il percorso didattico deve essere organizzato in maniera essenzialmente individuale.
  • 17. Ma personalizzare non significa innanzitutto ripetere le lezioni, semplificandole in piccoli gruppi di alunni con difficoltà di apprendimento (come sembra di capire venga fatto leggendo il Piano Educativo Individualizzato), bensì partire proprio da tali alunni per fare dire loro quello che hanno capito, come lo hanno capito, e far così emergere le loro capacità, le loro personali predisposizioni e aspirazioni. Solo dopo questa fase di rilevazione e identificazione delle potenzialità, che si realizza ponendo ciascuno nella situazione favorevole a consentirgli la libera espressione di sé come persona unica, sarà possibile anche procedere ad un lavoro personalizzato, il più possibile creativo, aperto e flessibile, orientato in ultima analisi alla mobilitazione di competenze60, disciplinari o interdisciplinari che siano, ma comunque al servizio della persona umana, del suo pieno sviluppo (Costituzione, Articolo 3, comma 2) e delle sue esigenze reali.
  • 18. E non v’è dubbio che per un giovane portatore di handicap la priorità vada data alla ricerca di una soddisfacente autonomia vitale quotidiana, puntando ad esempio più alla matematica “funzionale” che a quella tradizionale, dove per matematica funzionale s’intende quella necessaria a risolvere i problemi di tutti i giorni come fare la spesa, programmare gli impegni della giornata o arrivare a fine mese con un margine di cassa.
  • 19. Il fatto è che quando si lavora sulle autonomie di solito non si programmano obiettivi matematici tradizionali come il concetto di quantità o il valore posizionale delle cifre ma si cerca di insegnare solo ciò che è strettamente indispensabile al raggiungimento della competenza di autonomia programmata. Parliamo in questi casi appunto di matematica funzionale, vale a dire utile all’acquisizione della competenza che consentirà di essere autonomi in una specifica area. Ma a ben vedere la finalità principale per un disabile, che dovrebbe proprio essere rappresentata dall’autonomia personale, è la grande assente negli obiettivi previsti dal Piano Educativo Individualizzato in questo caso.
  • 20. In altre parole è sempre più necessario che la professionalità docente passi da una dimensione prevalentemente di “tipo esecutivo” ad una dimensione di “tipo progettuale” a vantaggio di tutti gli allievi e soprattutto di quelli portatori di handicap50. Tale necessità viene ribadita anche nella Premessa ai programmi dei corsi biennali di specializzazione del 1995, in cui si definisce l’integrazione scolastica “dovere deontologico” di tutti i docenti: “…l’azione di integrazione… è compito dell’intero sistema scolastico e pertanto risulta essere dovere deontologico di tutti gli operatori scolastici che lo inverano”. D’altra parte, se “l’integrazione è quel livello di socializzazione che si costruisce attraverso l’apprendimento”, condizioni essenziali sono “che tutti operino in modo sinergico… e che tutti crescano come competenza relazionale e comunicativa, cioè come apprendimento…” non solo l’allievo in situazione di handicap, ma anche i compagni di classe e gli insegnanti stessi, sia curriculari che di sostegno.
  • 21. Non banalmente nell’uso del denaro e nemmeno nel sapersi cucinare da solo, visto che la sua figura professionale sarà proprio quella di cuoco. Ad esempio potrebbe consistere in svolgimento di compiti di segreteria personale, gestione corrispondenza e database, gestione agenda appuntamenti, organizzazione viaggi (itinerario, mezzi di trasporto, alloggi, preventivo), creazione ed aggiornamento di siti web
  • 22. Per quanto riguarda ad esempio la gestione di un agenda personale esistono numerosi programmi informatici (forse il più noto è contenuto nel programma “Works” di Microsoft) che permettono di attivare anche dei promemoria a scadenze prefissate. In generale il principio ispiratore fondamentale dovrebbe consistere nel far superare la logica dell’assistenzialismo da un lato e dell’emergenza dall’altro, dando al disabile gli strumenti per essere autonomo in futuro, senza con ciò tagliare i ponti con le istituzioni e le figure professionali che operano sul territorio.
  • 23. Fare meno esercizi di matematica o non fare prove scritte d’inglese può essere validamente compensato dall’imparare a costruire siti web usando programmi informatici, quindi basati su una logica matematica, e dall’approfondimento della terminologia inglese di tipo tecnico informatico ormai imprescindibile nella società in cui viviamo. In fondo il problema è che si tratta di cose che tutti noi “normodotati” diamo per scontate ma che possono rappresentare vere e proprie barriere all’integrazione sociale per alunni portatori di handicap e/o particolarmente vulnerabili sul piano psicologico. Non va neppure sottovalutata l’importanza di strumenti quali gli ipertesti e la multimedialità.
  • 24. Scoprire che esiste un altro modo per scrivere un testo, più libero e in fondo più simile al funzionamento della nostra mente, una rete naturale di milioni di neuroni quale è quella virtuale di Internet, non può che rinforzare nell’alunno dislessico la fiducia in se stesso e nelle proprie capacità, sostenendo così la motivazione ad apprendere sempre nuove cose. L’adolescenza rappresenta un periodo di cambiamento sotto diversi profili: fisico, intellettuale, sociale e morale, un cambiamento che coinvolge vari aspetti della persona.
  • 25. Durante la preadolescenza e l’adolescenza un ragazzo deve affrontare alcuni compiti che sono fondamentali per la sua vita; il primo compito è l’acquisizione del pensiero ipotetico, della capacità, cioè, di ragionare come un adulto; un altro è la progressiva conquista dell’autonomia nei confronti dei genitori; un terzo è il definitivo superamento del complesso di Edipo attraverso investimenti affettivi nei confronti di coetanei dell’altro sesso esterni al mondo familiare; un quarto è il coronamento del processo di socializzazione attraverso la partecipazione alla vita del gruppo dei coetanei.
  • 26. Gli psicologi definiscono l’adolescenza come una sorta di nuova nascita dal momento che comporta diverse modificazioni: l’adolescente si separa da un corpo equilibrato, dal suo mondo infantile, dai suoi giochi, per individuare nuove attività e nuovi interessi di gruppo e di relazione. Secondo Piaget il bambino ha una morale eteronoma, definita e stabilita dagli altri: crede che una cosa sia giusta o sbagliata a seconda di quello che gli dicono gli adulti. Con l’aumentare delle capacità logiche vuole poter decidere e valutare criticamente ciò che è bene e ciò che è male.
  • 27. Ciò comporta ovviamente paure e incertezze, i ragazzi temono di perdere i loro punti di riferimento perché vogliono decidere e valutare in proprio le loro scelte morali. Questo crea una situazione di disagio psicologico e sociale che non è uguale per tutti gli adolescenti e non è da tutti vissuta con pari grado di intensità. In tutti però è evidente il tentativo di superare siffatta situazione di incertezza facendo del proprio io il centro dell’universo.
  • 28. Il rifiuto delle immagini parentali provoca nel preadolescente-adolescente la tendenza al disagio che lo espone al pericolo della asocialità, ma che al contempo lo rende sensibile a nuove identificazioni con persone che stanno al di fuori della famiglia come i compagni di classe ed i docenti. Certo, i compagni di classe e gli amici sono sempre stati presenti anche negli anni precedenti; ma essi avevano prevalentemente il carattere di compagni di studio o di gioco, talvolta anche solo occasionali, perché i punti di riferimento fondamentali erano gli adulti.