ARUNDHATI ROY
                         IL SECOLO DELLE PICCOLE COSE

Un bellissimo esempio di laicismo nell’India moderna: Arundhati Roy.                           piccola combattente della libertà, con il
Questa giovane donna indiana, cittadina cosmopolita come tanti altri della sua                 suo stile veloce e nitido.
generazione — ha studiato Restauro a Firenze —, è una testimone preziosa della                 Ancora più stringente il saggio finale “Un
vivacità della giovane democrazia asiatica e un notevole esempio di laicismo coniugato         mondo senza immaginazione” dove viene
al femminile.                                                                                  attaccata frontalmente la classe politica
Star internazionale grazie al suo debutto letterario, “Il dio delle piccole cose” (edito       indiana a causa del suo pericoloso riarmo
da Guanda), la Roy si è distinta ultimamente per un “piccolo” libretto, “La fine delle         nucleare, ora rivolto contro il Pakistan, il
illusioni”, dove va al combattimento corpo a corpo con il gigantesco Governo Indiano,          quale a sua volta si è dotato dell’arma
accusato di riarmo nucleare e disastro ecologico.                                              atomica due settimane dopo. La Roy non
Il cuore d’uranio del breve saggio si trova a pag.20. Eccolo, tutto d’un fiato:                usa perifrasi: “Se rifiutarsi di farsi
“Dobbiamo combattere le guerre specifiche con mezzi specifici. Magari, chi lo sa,              impiantare una bomba nucleare nel cervello
è questo che il Ventunesimo secolo ha in serbo per noi. Lo smantellamento delle                è anti-indù e anti-nazionale, allora dichiaro
Grandi Cose. Grandi bombe, grandi dighe, grandi ideologie, grandi contraddizioni,              la secessione. Mi proclamo una repubblica
grandi Paesi, grandi guerre, grandi eroi, grandi sbagli. Magari sarà il Secolo delle           indipendente e ambulante. Sono una
Piccole Cose. Forse proprio adesso, in questo stesso istante, c’è una piccola dea,             cittadina della Terra. Non possiedo territori.
lassù in cielo, che si sta preparando per noi...”.                                             Non ho bandiera.” E quando elenca le
Il libro in questione, “La fine delle illusioni”, è un pamphlet al vetriolo, scritto con       inconsistenti scuse dei media indiani per
un brillante stile giornalistico, contro la politica delle grandi dighe dello Stato Indiano.   giustificare l’utilizzo della bomba atomica
In particolare viene presa di mira la costruzione della grande diga sul fiume Narmada,         nei test del maggio 1998, è strepitosa nel
nello stato indiano del Gujarat. Indicata dalla Roy come una immane catastrofe                 disinnescarle una dopo l’altra.
ecologica, viene narrata dalla stessa come una avvicente battaglia ecologista e anche
giudiziaria tra gli adivasi - una delle popolazioni originarie indiane antecedenti             Siamo fortunati che, nel nostro piccolo
addirittura agli indù - e lo stato del Gujarat, lo stesso Governo Indiano di New Delhi         pianeta cinico, esista ancora qualcuno
e la Banca Mondiale. In una serrata disamina la Roy narra le peripezie della più che           capace di sdegno civile ed è di assoluto
decennale battaglia di alcune migliaia di senzaterra e aborigeni indiani contro uno            conforto che ci siano scrittori che non
dei più pervicaci governi anti-ecologisti e pseudo-religiosi esistenti al mondo.               esibiscano solo un volto paludato, ascetico
Coniugando ostracismo religioso - il partito ora al governo in India è il BJP, destra          ed eterno dell’India, ma mostrino invece la
nazionalista-religiosa, con una fumosa “modernizzazione” da autoritarismo                      realtà viva e pulsante in bilico tra
terzomondista, il governo dello stato indiano viene messo alla berlina da questa               disperazione e redenzione, di una nazione
                                                                                               sconvolta da feroci battaglie di civiltà.




                                       courtesy of thames and hudson ltd. © 2000                       paolo davoli
Asian dub foundation
                             musica comunitaria

                             Era il 1993 quando, all’interno di una organizzazione chiamata "Community Music", il
                             bassista Dr Das pensò che potesse essere una buona idea quella di mettere su un sound
                             system da usare come "arma contundente musicale" nelle manifestazioni anti-razziste
                             o nei cortei contro quelli che erano i cascami del peggior thatcherismo (ad esempio
                             il Criminal Justice Bill, pensato e creato per stroncare il fenomeno dei rave e più in
                             generale ogni forma di raduno non benedetto e baciato dalle istituzioni). Attorno a
                             lui si radunarono altri ragazzi di etnia indiana, di quella che allora era la sfigatissima
                             etnia indiana che piano piano però stava alzando la testa e mostrava di avere molte,
                             molte storie da raccontare, da Hanif Kureishi in poi… vennero a dargli una mano l’mc
                             Deeder Zaman e il dj Pandit G, a cui poi nei due anni successivi si aggiunsero il
                             chitarrista Chandrasonic e Sun-J: è così che nacque l’Asian Dub Foundation. L’unione
                             di beat pesanti, bassi irresistibili e rime taglienti aveva trovato un nuovo luogo in cui
                             prosperare. Un luogo con dentro le spezie orientali della comunità indiana anglosassone
                             e la rabbia definitiva della jungle più cattiva, con crude chitarre a fare da collante.
                             Non era più l’Asia da cartolina dei Transglobal Underground, per quanto affascinante,
damir ivic




                             era qualcosa di più "pericoloso".
                             Il primo disco, "Facts And Fictions", uscito nel 1995, non ebbe poi un riscontro vastissimo
                             in patria: l’India doveva ancora diventare "hip". Ma una idea buona è più forte dei
                             trend, e anzi spesso li crea.




                                                                                                                           rekha prashar
                             Già nel 1997 "R.A.F.I." e il suo upgrade del 1998 "Rafi’s Revenge" diventano dei caposaldi
                             della scena musicale inglese, con la band che nel frattempo si è fatta le ossa tramite
                             molti ed infuocati concerti soprattutto nel vecchio continente. Arriva la nomination
                             per il prestigioso Mercury Prize (quello che poi premierà un paio d’anni dopo Talvin
                             Singh, altra punta di diamante della nuova consapevolezza asiatica in musica), e l’ADF
COCO/visionary underground




                             si trasforma agli occhi dei media e del pubblico in un punto di riferimento fondamentale
                             di consapevolezza sia artistica che politca.
                             "Community Music", uscito nel 2000, porta avanti con orgoglio le linee guida dell’ADF:
                             rispetto per le proprie radici (e non a caso il nome dell’album è un omaggio
                             all’organizzazione che li vide nascere), testi lucidi e taglienti, bassi che attingono in
                             quella irresistibile tradizione giamaicana che si muove tra il reggae e la jungle, richiamo
                             continuo di un forte senso della comunità che parta dalla propria, di comunità, per
                                                                                                                               www.asiandubfoundation.com




                             coinvolgere le altre (come recita il ritornello di "Collective Mode": "Can’t do it alone
                             / You need to get into de collective mode"…). La ricerca musicale si fa più raffinata,
                             le liriche continuano a non fare prigionieri (è una scelta coraggiosa quella di uscire
                             con un primo singolo come "Your Great Britain" che denuncia la vacuità di certi proclami
                             ottimistici della Cool Britannia blairiana).
                             La Foundation insomma è più salda che mai, e nel frattempo si arricchisce con la
                             istituzione di ADFED, quella che nel sito ufficiale del gruppo viene definita "The
                             educational wing of Asian Dub Foundation", una realtà nata per promuovere tramite
                             workshop e seminari pratici un uso consapevole della creazione musicale come un
                             modo per respirare sì lo spirito dei tempi, ma facendolo con la volontà di agire
                             concretamente nel sociale e nel culturale. The Foundation steps forward…
B A D M A R S H & S H R I : Signs
DOPO IL PASSAGGIO DI NITIN SAWHNEY ALLA V2 DI         Ciò che maggiormente colpisce è la cresciuta vena compositiva di Badmarsh & Shri,
                                                      arricchitasi in efficacia espressiva e profondità. Ad esempio, i suoni del sitar del padre
BRANSON, IL GRUPPO DI PUNTA DELLA OUTCASTE            di Shri che nel primo album erano samples decorativi, ora sono suoni organici che si
                                                      compenetrano nei tessuti sonori.
                                                      La maturità del progetto B&S si annuncia da “Bang”, una serafica escursione quasi
RECORDS DIVENTA LA COPPIA BADMARSH & SHRI.
                                                      orchestrale su un tempo tabla-boogiefunk–breakbeat. Non è più un suono definibile
                                                      “asiatico” ma un livello superiore di evoluzione. La sorpresa è grande: è dance ma non
DOPO IL DISCRETO DISCO D’ESORDIO “DANCING             più dance, è superfunk ma non più black, è tablizzato ma non così nu asian sound, è
                                                      orchestrale ma non così lounge nè orientato a Bollywood. Forse è semplicemente il suono
DRUMS” DEL 1998 E DIVERSI TOUR LIVE DI SUCCESSO,      Badmarsh & Shri. Altri brani confermano la felice sintesi: la movimentata “Swarm”, il
                                                      celestiale ambient-jazzy-funk di “Mountain Path”, l’ingegnosa “Tribal”, scritta da
IL DUO ANGLO-INDIANO GIUNGE ALLA SECONDA              profondi prosatori di tablas e l’epico funk d’altitudine, “Get Up”.
                                                      Poi c’è la mela nel petto di questo album: la triade di ballate dalle altezze siderali.
                                                      Immaginate una colonna sonora dei cieli di mezzo, una rugiada di suoni calati sull’animo
PROVA DISCOGRAFICA. ORA CHE È ARRIVATA,
                                                      degli astanti.
                                                      La delicata “Signs” – vero e proprio inno alla dolcezza – è la prima. Superba nella sua
POSSIAMO FELICEMENTE DEFINIRLA UNA PROVA              meraviglia, la seconda, “Sajanaa”, mentre “Soaring Beyond”, la terza ballata, è un
                                                      sogno e come tutti i sogni, nel momento in cui realizziamo che è tale, è già svanito...
SUPERBA, DI GRAN LUNGA SUPERIORE ALLA                 “The Last Mile” e “Appa” sono le gemme finali di questo viaggio, tenere come sete,
                                                      agili come pantere. Anche qui i suoni ci girano nell’orecchio, mai esausti, ebbri come
PRECEDENTE.                                           vino, leggeri come fiocchi di neve che cadono nelle notti silenti.....
                                                      Un sogno, questo album, che attira poesia. Una poesia dipinta alle pareti di un suono
                                                      che non scolorisce facilmente…
                                                      Dancing Drums                (Outcaste records - Uk 1998)
                                                      Signs                        (Outcaste records - Uk 2001)
          paolo davoli         courtesy of outcaste
IL CINEMA INDIANO
     L’India è il paese produttore del più alto numero di film in un
     anno, sempre oltre i 700 negli anni Ottanta e Novanta. In realtà,
     non si tratta di un cinema unico. La pluralità di lingue che
     corrispondono alle varie nazionalità che compongono l’immenso
     paese danno quasi tutte un loro cinema. Scarse sono le interferenze
     tra una regione e l’altra, e i film tendenzialmente non escono
     dalla propria area linguistica, tranne i film commerciali di successo
     che, per quanto non doppiati né sottotitolati, riescono in ogni
     caso a comunicare in forza di un linguaggio visivo costituito da
     elementari, forti tipizzazioni e conflitti.
     I poli egemoni di produzione cinematografica indiano sono
     costituiti da Bombay, in lingua hindi, da considerare il vero
     cinema nazionale anche se oggi quantitativamente minoritario,
     e poi da Calcutta, con una produzione in bengali in parte collegata
     a tutta una tradizione letteraria. Grazie ad aiuti statali e a
     capitali di indiani del Golfo Persico, un rapido sviluppo hanno
     conosciuto i centri del sud, sia quello tradizionale di Madras, in
     lingua tamil, sia quelli di Bangalore in kannada, di Trivandrun
     in malayalam e di Hyberabad in telugu. Ma sono soltanto alcuni
     dei centri di produzione esistenti in ventidue lingue diverse.          Il cinema approda in India il 7 luglio 1896 quando un operatore, Lumiére,
     Nella stragrande maggioranza i film prodotti sono esclusivamente        fa scalo a Bombay e organizza due serate di proiezione. A livello produttivo
     commerciali, basati sulla presenza di uno o più divi, su un’abile       è il filone mitologico-agiografico il primo ad affermarsi; e a dargli avvio
     commistione di musica e danza e su un uso basso, spettacolare           è Dhundiraj Govind Phalke che filma il primo lungometraggio del cinema
     di figure e motivi tradizionali. In ogni caso, quello indiano, è un     indiano nel 1913: Raja Harishchandra (Il re Harishchandra), un episodio
     cinema che è stato capace di elaborare un suo immaginario               del poema epico Mahabaratha. Mitologia e religione occupano sin dall’inizio
     “popolare” e autarchico, non realista ma di immediato impatto           il 70% della produzione. Il primo dopoguerra vede il cinema statunitense
     e riconoscibilità presso il suo pubblico - le masse povere indiane      dominare sull’esercizio cinematografico indiano. Dei 1268 lungometraggi
     ma anche quelle di gran parte delle comunità nelle metropoli            prodotti in India tra il 1913 e il 1934, più di metà sono frettolosi calchi
     europee – e che continua ad affollare le sale nonostante tutte          di soggetti polizieschi e d’avventura del coevo cinema di Hollywood.
     le carenze strutturali e la diffusione della televisione. Su circa      Nascono generi ibridi, come i film di rajput che intessono narrazioni
     un miliardo di abitanti (un sesto dell’umanità), 13 milioni di          cavalleresche indiane con spunti western.
     spettatori si affollano ogni giorno in 12.500 sale, un circuito         L’avvento del sonoro negli anni Trenta è una tappa fondamentale per il
     largamente insoddisfacente rispetto alla crescita continua della        cinema indiano che definisce le regole stilistiche che lo regolano perlopiù
     domanda (a Bombay, 8 milioni di abitanti, si contano solo 120           ancora: spesso si tratta di film più o meno rifiniti, lunghi due-tre ore
     sale; Delhi, 5 milioni di abitanti, non ne possiede che 63).            com’è tradizione nello spettacolo indiano, mitologici o avventurosi o
                                                                             mistici o sociali o fantastici o comici o di uno straripante sentimentalismo.
                                                                             Alla base il policromo teatro popolare, fondato su canti e danze; più
                                                                             delle storie (quasi mai esiste una sceneggiatura) l’elemento chiave rimane
                                                                             la musica (almeno sei canzoni per film), sempre in playback e con le
                                                                             stesse voci di cantanti per tutti gli attori, musica lanciata dai dischi e
                                                                             dalla radio con mesi di anticipo e determinante per il successo del film,
                                                                             assieme alla presenza del divo, che assorbe sino al 50% del budget.
                                                                             Uno star system, quello indiano, prevalentemente maschile: le dive hanno
                                                                             un ruolo importante, ma sempre subalterno all’eroe maschile e dal punto
                                                                             di vista produttivo non si monta mai un film attorno a una di loro.
                                                                             La grande svolta e la nascita del nuovo cinema avviene nel 1956 con
                                                                             l’esordio di Satyajit Ray, grande cineasta (in Italia sono disponibili in vhs
                                                                             numerose sue opere), maestro indiscusso del cinema indiano e
                                                                             personificazione della migliore tradizione letteraria del Bengala. Dopo
                                                                             Ray altri registi si sono mossi in un senso di rottura rispetto alle convenzioni
                                                                             commerciali, esercitando un certo controllo sulla propria opera.
                                                                                                                                              sandra campanini
                                                                              La Tate Gallery di Londra celebra in una mostra le città d’arte del Novecento.
                                                                              Fra Parigi, Vienna, New York e Londra la sorpresa è Bombay, eletta metropoli
                                                                              simbolo degli anni Novanta. Un immenso cartellone pubblicitario come se ne
                                                                              vedono solo a Bombay. Un’architettura di tela, effimera come se ne fabbricano
                                                                              solo in India: ecco in mostra l’inconfondibile armamentario visuale di Bombay.
                                                                              Century City: Art and Culture in The Modern Metropolis
                                                                              Dal 1 febbraio al 29 aprile 2001, da lunedi a domenica ore 10-18
                                                                              Alla Tate Gallery di Londra
                                                                              Informazioni: www.tate.org.uk
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                                                                                                           courtesy of thames and hudson ltd. © 2000
Gli ultimi 40 anni di pop music hanno ormai                                                                                                                                                                                                 conferma alla fusione operata da
definitivamente consacrato l'India a                                                                                                                                                                                                        pensatori come Heidegger (filosofia
continente ove raccogliere batteri di un suono                                                                                                                                                                                              occidentale, sensibilità orientale). Ecco
denso che porta il marchio di una cultura                                                                                                                                                                                                    fiorire in questo humus struttural-mente
millenaria. Ma a noi non interessa trattare                                                                                                                                                                                                 propizio, le esperienze di Talvin Singh,
qui un argomento così vasto e complesso,                                                                                                                                                                                                    State of Bengal, Nitin Sawhney,
ma al più segnalare una periferia di questa                                                                                                                                                                                                 Badmarsh & Shri. Non ci interessa parlare
vasta problematica. In particolare, ci preme                                                                                                                                                                                                di questi, ma registrare un profondo
argomentare la tesi per cui, dalla fine degli                                                                                                                                                                                               cambiamento di cui parla il loro lavoro.
anni 60 ad oggi, l'approccio alle sonorità della                                                                                                                                                                                            L'India, come luogo culturale, non è più
terra di Tagore sia radicalmente mutato,                                                                                                                                                                                                    il sito di stoffe colorate, elefanti, yogi,
evidenziando a nostro parere, uno dei                                                                                                                                                                                                       care al fricchetonismo folkloristico, ma
protagonisti della modernità : il caos. Ma, si                                                                                                                                                                                              si è trasformata (proprio in virtù della
badi bene, un caos birichino e fecondo.                                                                                                                                                                                                     sua antica ed ancora poco esplorata
Quando, risalendo all' epoca del quartetto                                                                                                                                                                                                  potenza filosofica) in un impasto
di Liverpool, monsignor George Harrison                                                                                                                                                                                                     funzionale alle nuove tecnologie, al
indirizza la sua ricerca spirituale verso Gange                                                                                                                                                                                             linguaggio delle macchine, alla veloce
e dintorni, nascono dall'albero beatlesiano                                                                                                                                                                                                 circolazione di informazioni, al bisogno
pomi quali "Within You, Without You", che                                                                                                                                                                                                   di nuovi strumenti culturali. Circolazione
spandono dalle onde radio delle principali                                                                                                                                                                                                  transnazionale. Ecco allora che s’incontra
stazioni l'Indomania acuta.                                                                                                                                                                                                                 l'India in quei di Londra, nelle Anokha
Ravi Shankar muove verso lidi occidentali                                                                                                                                                                                                   nights....Ed allora il suono di questa terra,
e grandinate di "sitarismi" avvampano qua e                                                                                                                                                                                                 ora sì, sta divenendo veramente
là nella musica occidentale, dal pop al jazz.                                                                                                                                                                                               funzionale ed organico al pop, alla ricerca
Chi non ricorda gli esperimenti di Miles Davis,                                                                                                                                                                                             elettronica e musicale, in Oriente-
con musicisti indiani, memorabili brani come                                                                                                                                                                                                Occidente. La Babele di linguaggi sta
"Great Expectations" e "Little Blue Frog" o al                                                                                                                                                                                              trionfando, ma trionfa dietro alla porta
suono della chitarra di John McLaughin (altro                                                                                                                                                                                               di casa, e questo, se permettete, è un
ricercatore spirituale approdato all'induismo)                                                                                                                                                                                              dolce frutto del caos: il Maestro Spirituale
nel mitico album "In a Silent Way",                                                                                                                                                                                                         lo trovate magari a Bologna e non è
caratterizzato da liquidità "shankariane"…                                                                                                                                                                                                  nemmeno indiano, mentre il bravo
                                                                                                                                                                                                                                            musicista indiano lavora a Londra e magari
Possiamo cercare un denominatore comune                                                                                                                                                                                                     se gli va può anche abbandonare la
in queste esperienze? Se sì, proviamo ad                                                                                                                                                                                                    propria cultura, e riprenderla come
esaminarle…                                                                                                                                                                                                                                 metodo di lavoro subliminale "inudibile",

                                                                      DALL'ESOTISMO FREAK ALLE SINERGIE CONTEMPORANEE
Primo: l'uomo bianco (o nero nel caso di                                                                                                                                                                                                    niente più sitar a go go, ma piatti da dj
Davis) rimane epidermicamente ammaliato                                                                                                                                                                                                     da suonare anche a Reggio Emilia. Chi
dal suono di tabla e sitar e complessivamente,                                                                                                                                                                                              vuol intendere intenda.
costruisce una immagine esotica di una terra                                        Frammenti per una riflessione inerente le promiscuità del pop occidentale con la tradizione musicale indiana                                            Aumenta ormai smisuratamente la
"altra". Il pop non raggiunge certo la                                                                                                                                                                                                      complessità, ma si moltiplicano le opzioni
profondità delle esperienze jazzistiche, ma                                                                                                                                                                                                 e le possibilità. E più che di
sfocia in un altrove un po' Alpitour, un po'                                                                                                                                                                                                contaminazione, pare ora più opportuno
Nirvana. Questo altrove mistico-esotico è                                                                                                                                                                                                   parlare di infezione totale ed organica,
                                                   La new age fiorirà (purtroppo) a breve.                                                                                    Proprio, a mio parere, Heidegger costituisce fin dai
contrapposto, nell’immaginario giovanile                                                                                                                                                                                                    fra linguaggi e tradizioni culturali diverse.
                                                   A quei tempi, un signore con un certo gusto per l'ironia                                                                   primi decenni del ventesimo secolo un ponte fra cultura
d’allora, ad un modulo culturale occidentale,
                                                    ed il rischio, dotato anche di cervello fino (sembra si                                                                   filosofica occidentale ed orientale. Infatti il suo "Essere
che dopo il nichilismo, la fenomenologia e                                                                                                                                                                                                  Ribellarsi in nome di identità minacciate
                                                   chiamasse Zappa, Frank Zappa) produce il primo album                                                                       e Tempo" corre su questa linea di demarcazione, che
Martin Heidegger, è entrato in piena                                                                                                                                                                                                        o purismi etnici da esposizione antiquaria,
                                                   del violinista Shankar (non Ravi). Emerge una nuova                                                                        diviene sempre più sfumata ed anzi con il trascorrere
fibrillazione. In seconda battuta, e come                                                                                                                                                                                                   suscita in noi un delicato ma immane
                                                   attitudine, quella che più tardi sarà sviluppata dalla                                                                     degli anni, si fonde in un grande fiume carsico. Gli
diretta filiazione, il sound indiano è sovente                                                                                                                                                                                              sbadiglio. Ed anche il perdersi di molta
                                                   casa discografica Real World di Mr. Gabriel. Alla fine                                                                     incontri fra lo stesso Heidegger e D.T. Suzuki (il
trapiantato su un corpo pop estraneo, per                                                                                                                                                                                                   critica musicale nostrana, nel limitare
                                                   degli anni 70 c’è quindi il punto di svolta: cambia la                                                                     divulgatore dello zen in occidente) testimoniano con
cui il fenomeno del rigetto è quasi                                                                                                                                                                                                         questa realtà ad un filone (l'asian
                                                   filosofia di approccio musicale alla contaminazione.                                                                       chiarezza di un contatto fertile, profondo ed ormai
istantaneo….                                                                                                                                                                                                                                underground), mostra con evidenza la
                                                                                                                                                                              improcrastinabile.
Sono gli anni dell'import-export di discipline                                                                                                                                                                                              scarsa comprensione di una rivoluzione
                                                   Il primo, sconclusionato, album di Shankar parla un'acerba                                                                 A conferma di ciò, nella seconda metà degli anni 80
orientali, che proprio per essere affrontate                                                                                                                                                                                                (si badi, non solo musicale) in continuo
                                                   ma nuova lingua. Ora il musicista indiano approda e                                                                        personaggi come Bill Laswell con i suoi Material,
con filosofia da surfista californiano, portano                                                                                                                                                                                             divenire. Il fiume carsico è
                                                   cresce in Occidente, inizia a pensare il proprio DNA                                                                       navigano le acque di questo fiume. Quando nell'ultimo
a tragici fraintendimenti, si pensi allo yoga                                                                                                                                                                                               definitivamente emerso alla luce del caos
                                                   culturale in una prospettiva di infezione del molosso                                                                      scorcio di millennio, le ritmiche sincopate generate per
contro il mal di schiena, o peggio ancora,                                                                                                                                                                                                  e richiede una sensibilità completamente
                                                   occidentale. Ma l'infezione è un processo organico, ed                                                                     via digitale bagnano prima i club underground e poi gli
allo yoga finalizzato ad un generico benessere                                                                                                                                                                                              nuova.
                                                   il caos è il virus pronto alla bisogna.                                                                                    album dello starsystem poppettaro, troviamo una
tipo "volemose bbene".

                                                        enrico marani                                           pittura rajput (1740 circa)      pittura rajput (1810)              architettura indiana (edizione del parnaso)
FULL CYCLE STORY




Il collettivo di DJ/produttori di Bristol, noti ai più come Reprazent,   nella mischia, così, sempre nello stesso anno arrivano
sono Roni Size, Krust, Suv e Die.                                        “string4string/Jungle love” di Flynn&Flora ed i primi brani
Questi quattro ragazzotti, vincitori di un Mercury Award, e tra          del futuro drum’n’bass soldier DJ Krust. Reduce dal successo
i maggiori responsabili della diffusione nel mondo del drum’n’bass,      di “Jazz Note” su V Recordings, Krust produce due singoli per
sono, sia musicalmente sia strategicamente, tra i più moderni            la ‘sua’ Full Cycle: “Daylight/touch” in compagnia di Roni,
esempi d’organizzazione. Uniti o separati, creano e producono            ed il fantascientifico “Quiz show/Future Talk” a proprio nome.
musica, cercando di caratterizzarla diversamente, a secondo del
tipo di pubblico che vogliono raggiungere. Reprazent e Breakbet          Parallelamente impegnati a produrre più in vena ragga, per
Era sono i “pop project”, mentre concentrano sulla loro etichetta        l’etichetta Dope Dragon, i ragazzi coinvolgono un altro DJ
privata, gli esperimenti d’innovazione nello stile.                      bianco nel collettivo: Bill Riley. Esce così un singolo in
L’etichetta Full Cycle, nata e cresciuta a Bristol, insieme              compagnia di DJ Die con lo pseudonimo DNA (“Dna/Nasty”)
all’affiliata Dope Dragon, è la vera etichetta culto dei DJ di           e il primo a proprio nome con il bellissimo “The Chill”. Altro
drum’n’bass, insieme alle alleate naturali londinesi V recordings        debutto personale per Die con “Hydrophonic/Live and direct”,
e Chronic. Ripercorrerne la storia, è un po’ come rivivere gli           ed il cupo “Priorities/Memories” per Krust, prima del giro di
sviluppi degli ultimi cinque anni di drum’n’bass attraverso un           boa con la compilation album, manifesto della Full Cycle, il
catalogo di singoli fondamentali per tutti i drum&bass headz.            maestoso “Music Box: a New Era in Drum and Bass”, anno
                                                                         1996. Questo album essenziale, butta le basi per tutti i futuri
Roni Size, dopo avere pubblicato per l’etichetta londinese di            progetti di Roni Size e soci, con le radici sonore di Reprazent,
Jumping J Frost e Bryan Gee (V Recordings) il monumentale “It’s          e il debutto di Leonie alla voce, per quella futura hit che
a jazz thing”, decide di usarne i proventi per aprire una propria        sarà “Breakbeat Era”, qui in versione più scarna a nome di
etichetta a Bristol. Nasce così nel 1995 la Full Cycle records. Il       Scorpio (Roni+Die). Alle porte del 1997 esce un trittico di
primo singolo è “Music Box/Register”, a nome di Roni stesso              progetti solisti che spingono ancora più avanti lo stile Full
insieme a DJ Die, ma in studio anche Krust, Suv e Dynamite               Cycle ed il drum’n’bass in generale. Roni Size con “Brut
collaborano. Immediatamente Die lo suona all’Universe, ed                Force/Secrets” elabora un drum programming talmente
ottiene un responso di pista folgorante. Entusiasti del lavoro           originale da essere copiato da tutta la scena, Die con “Stoned
fatto, fanno uscire a breve il singolo con il remix di “Music Box”       Groove”, ed il suo bellissimo campione vocale e Krust con il
e quello, sempre a nome Roni Size+DJ Die, con “11: 55”. Compagni         doppio “Genetic manipulation”, manifesto dell’estro creativo
di cordata, i fratelli Thompson (alias Flynn e Krust) si buttano         personale, poi sfociato nell’album “Coded Language”.
www.fullcycle.co.uk




La Talking Loud incarica Roni Size di produrgli un’album, quel         Alle soglie del 2000, restyling dell’etichetta, per ripartire in
futuro successo che premierà l’intera scena del drum’n’bass,           quarta con una serie di singoli che, ancora una volta, spingeranno
quel “New Forms” che testimonia, come un collettivo di DJ              il drum’n’bass un passo avanti. Tre killerfloor assoluti come
produttori di musica dance, possa scalzare i supervalutati gruppi      “Snapshot/26 Bass” di Roni Size, “Drop Bear” di Die e “Kloakin
rock, vincendo l’ambitissimo Mercury Award. Il collettivo Full         Device” di Krust, fanno capire l’altissimo livello a cui sono
Cycle, così si allarga, inserendo nelle file un altro DJ, J Raq,       arrivati in cinque anni i Nostri. Altro brand new soldier, il
che esce con “Digitize”.                                               bravissimo D Product, entra nella famiglia e realizza
Per il 1998 esce il primo album della loro affiliata Dope Dragon,      “Balance/Space Horn”.
ma Roni ha troppi impegni, e lascia a Krust, Die e Suv, la             E’ dell’inizio estate 2000 il secondo mastodontico album
produzione e la ricerca per la loro etichetta. Esce così il remix      compilation dell’etichetta “Through the eyes”, immediatamente
di “Reincarnated” con le influenze asiatiche di “Achilles’ heel”       preceduto da “Jittabug/running Out” di Die e “Parklands/Dark
sul retro, per DJ Die, l’altro singolo, ormai un classico del          Angel” di Suv.
genere, “Soul in Motion” per Krust ed il fantastico debutto di         Secondo manifesto rappresentativo per Roni e soci, con tutti
Suv con il doppio “Freebeat”.                                          inediti, tra cui, oltre D Product, anche un altro debuttante,
                                                                       Kamanchi, misterioso progetto già apparso su Planet V.
Ormai star planetarie, i Full Cycle boys, girano il mondo a            Altissima qualità negli arrangiamenti delle batterie, dei bassi
proporre i loro dub plate ed il live show dei Reprazent, riscuotendo   e delle armonie, ormai, la Full Cycle si è affermata nel panorama
enormi successi dagli Stati Uniti all’Australia, calibrando le         del drum’n’bass, come una delle etichette un passo avanti alle
produzioni in maniera sempre più accurata. Il 1999 è l’anno            altre. Le ultime produzioni vedono DJ Suv in pole position con
della preparazione dell’album prodotto da Roni e Die in compagnia      Reel Time “Mine”, il suo progetto cantato, e “Continuum”.
della folk singer Leonie (Breakbeat Era), e dell’album di Krust
per la Talking Loud. La Full Cycle, di conseguenza, spinge di più
le nuove leve con un singolo per J Raq, “Waiting for the
Bass/Molecule”, e l’ultimo per Bill Riley “Closing in”. DJ Die,
ormai in sovraproduzione, fa uscire “Mankind/Music first” in
compagnia di Suv, ed un’altra bomba di ritmo e stile che è
“Clear Skyz”.
                                               Press Office                                                     luca roccatagliati
RONI SIZE REPRAZENT




E’ sempre complicata la posizione di chi porta a grandi numeri di          e lo ha fatto con un disco per nulla compiacente. E’ un disco
vendita un genere musicale orgogliosamente di nicchia: complicata          che prima di tutto vuole "comunicare" in maniera compatta,
non per le copie vendute e il successo raggiunto, ma per la grande         la priorità sembra quella di costruire una coerente grammatica
pressione che ci si ritrova addosso nelle mosse successive. Roni Size      e semantica interna: grande attenzione al bilanciamento delle
col suo "New Forms" tre anni fa aveva portato la drum’n’bass a             atmosfere e moltissime le tracce rappate (la voce dell’mc è
vette che precedentemente erano state appannaggio solo di Goldie:          mixata particolarmente alta, di modo che sia chiaro che si
600.000 copie vendute, la vittoria nel Mercury Prize (una sorta di         tratta di un elemento centrale e non un semplice vocalizzo di
"oscar della musica" inglese), un corteggiamento lungo e insistito         contorno; d’altro canto il roster degli ospiti è notevole, dal
da parte del mainstream. Tutti a chiedersi: quale sarà la sua prossima     compagno d’avventura in Reprazent mc Dynamite a Method
mossa? Si siederà sugli allori? Perderà testa ed ispirazione? Senza        Man, il più talentuoso e carismatico di tutto il Wu Tang Clan,
contare che la stampa specializzata (e non) anglosassone, sempre           per finire col geniale rumorista vocale Rahzel e con Zack De
famelicamente desiderosa di consumare le cifre stilistiche presenti        La Rocha, ex frontman dei Rage Against The Machine). Il meglio
per poterne creare di nuove, da un po’ di tempo getta velenosi             del disco e della potenza della drum’n’bass sta però in due
dubbi attorno alla drum’n’bass (sarebbe un genere musicale finito,         tracce strumentali, "Balanced Chaos" e "Mexican", irresistibile
un trend che ha fatto il suo corso… ma a tutti questi signori tende        quest’ultima nel suo riff al silicio. Violentissime entrambe. Il
a sfuggire che la musica non è solo ed esclusivamente lo "stile del        punto d’incontro delle diverse anime di "In The Mode" si trova
momento", no?); e quindi anche un Roni Size, velatamente, diventa          in "Snapshot" (impreziosita dalla voce di Onallee), che va
in breve tempo uno che “Sì, è bravo, ma chissà se ha ancora cose           sicuramente annoverata fra le cose migliori che Roni Size abbia
interessanti da dire" (tanto per farvi capire, un paio di anni fa il       mai prodotto. Nonostante un paio di episodi deboli ("Dirty
New Musical Express parlando dell’ottimo "Don Solaris" degli 808           Beats", per dire) questo è un disco da avere e da rispettare
State scrisse: "Bel disco, ma la domanda è: a chi importa?”, dato          per la sua intransigenza e il suo rigore stilistico, un rigore che
che evidentemente si è stabilito che gli 808 State avevano già fatto       però non va a scapito della comunicatività. E soprattutto è un
il loro tempo e quindi il fatto che avessero sfornato un bel disco         disco che dice molto sulla statura musicale di Roni Size e sulla
veniva visto come un particolare secondario…).                             sua consapevolezza artistica: a pieno titolo, una delle figure
Dopo tre anni e un po’ di progetti secondari coi suoi soci di Reprazent    chiave per la musica a cavallo dei due millenni.
(Breakbeat Era il più importante), ecco "In The Mode".
Di fronte al signor Size bisogna togliersi il cappello. Ha fatto centro,
                                                                           RONISIZE / REPRAZENT
                                                                           “in the mode” (talkinloud-2000)

   damir ivic              courtesy of straight no chaser                  www.ronisize.com                        www.talkinloud.com
FUNKY PORCINI:
Il fantasista del Ninjagroove

La Ninja Tune è come la Pussyfoot di Howie B: una falegnameria per
legni storti d’artista. Funky Porcini, di queste stortezze della zenville
londinese, ne è un pò l’araldo. Ma più che Mastro Geppetto, pare un
groover incallito che ostenta le migliori guittezze da palcoscenico. La
sua abilità nell’estrarre dal proprio baule l’intera “tricknologia” da
studio di registrazione è certamente da consumato fantasista.
La predisposizione a birillare con i suoni, i timbri e i colori dei panni
musicali è dovuta a uno spirito ghignante e umoristico, da capocomico
di gran classe. I suoi riccioli dub, le sue ciglia jazz, il suo make up
drum and bass, servono a modellare una maschera mobilissima; quando
in soffitta estrae le sue orchestrine come coriandoli colorati, tutti noi
ululiamo. Perchè la sua abilità nel trucco ritmico è veramente portentosa:
i brani da lui plasmati si allungano e si rabberciano a piacimento,
frusciando nello spazio come orologi di sabbia. Gran mattatore quindi,
il nostro Funky Porcini, perchè ha mandato a memoria il copione dei
ritmi e per lui non fa differenza la mescola del funky e della jungle,
che i dispari dei suoni lui se li gioca con fantasia.
L’insolenza funanbolica delle tracce è encomiabile: Funky Porcini ibrida
il suono con sur classe piegandolo alla natura graffiante del proprio
temperamento. Così il suo drum and bass è lontano eoni da quello
ruggente di Goldie o da quello suburbano di Krust ed è mirabilmente
vicino a come l’avrebbe “imbrigliato” un Ornette Coleman con secchiello
e paletta. Così i suoi dub sono tanto bogartizzati da far apparire i
ganja smokers caraibici delle dame viennesi con bocchino e le sue
sottovesti jazz son stracciate come neanche lo erano negli slums di
Watts, Los Angeles, negli anni Quaranta del secolo scorso. Tutta la
sua magnum opus è rimpinzata di questi panni, messi e tolti
vorticosamente uno sull’altro come un brillante Arturo Brachetti del
breakbeat. E quando si presenta alle luci della ribalta, una volta
smattonato il mascara e gli sgargianti colori della mise en scene, il
pubblico applaude e chiede sempre il bis. E così noi, senza dubbi di
sorta: perchè la sua arte anche se giocosa e fanciullesca è indice di
gran intelletto e cattive maniere.




Headphone Sex
Ninja Tune Uk 1995

Love, Pussycats & Carwrecks
Ninja Tune Uk 1996

The Ultimately
Empty Million Pounds
Ninja Tune Uk 1999



     federino ghiaia
SITAR-PISTOLE IN SALSA                                                                                                                                                                                                                    paese, facendone uno dei maggiori lettori di fumetti di tutta
                                                                                                                                                                                                                                          la Terra. La maggior parte di questi si presenta artisticamente
INDIANA                                                                                                                                                                                                                                   naïf, con smaccato plagio degli stili propri delle strip americane
                                                                                                                                                                                                                                          che popolano i quotidiani statunitensi (in particolare quelle
ROGAN GOSH STORY                                                                                                                                                                                                                          de “L’Uomo Mascherato”), nonché prevalentemente
                                                                                                                                                                                                                                          incentrata sugli aneddoti religiosi: i miti eroici del
Alcuni anni fa il fumetto rivisse un’epoca assai florida, grazie a
                                                                                                                                                                                                                                          “Mahabharata” e del “Ramayana” sono le due principali fonti.
un manipolo di britannici che rivoluzionò in poco tempo la letteratura
                                                                                                                                                                                                                                          Ma abbondano anche le drammatizzazioni della vita di Gandhi
disegnata. Ancora oggi si ricordano quei fasti, tanto fu il successo
                                                                                                                                                                                                                                          e della lotta per l‘indipendenza dall’impero inglese, così
che i vari Moore, Gaiman, O’Neill, etc... riscossero allora.
                                                                                                                                                                                                                                          come le agiografie dei grandi guru, mentre concetti quali
Tra questi autori solo due portarono fino alle estreme conseguenze
                                                                                                                                                                                                                                          reincarnazione, meditazione ed estasi sono presentati in
il restyling in versione dance di questo genere bistrattato quale
                                                                                                                                                                                                                                          maniera semplice e positiva, in netto contrasto con la violenza
è il fumetto: Pete Milligan e Brendan McCarthy, e l’opera che ha
                                                                                                                                                                                                                                          agonistica che abbonda nelle rappresentazioni occidentali.
decretato lo stato dell’arte del dinamico duo è senza dubbio Rogan
                                                                                                                                                                                                                                          Alla luce di tali considerazioni il nostro McCarthy propone al
Gosh.
                                                                                                                                                                                                                                          suo socio nel crimine, Pete Milligan, di condurre un esperimento
Se siamo stati abituati a sentire la voce degli anglo-indiani che
                                                                                                                                                                                                                                          lasciandosi permeare da quell’immaginario, al fine di aprire
reinterpretano la società e la cultura britannica secondo il proprio
                                                                                                                                                                                                                                          una finestra attraverso la quale il mondo del fumetto
differente paradigma culurale, innestando in essa un grande afflato
                                                                                                                                                                                                                                          occidentale possa confrontarsi anche con un altro finora
spirituale, Rogan Gosh guarda da britannico alla cultura indiana
                                                                                                                                                                                                                                          ignoto. Il tutto naturalmente seduti in un ristorante indiano.
attraverso la mediazione del menù di un ristorante indiano,
                                                                                                                                                                                                                                          Quando un terribile lager appare sul tavolo, Milligan rimane
costruendo una storia che si dipana tra mille piani spazio-temporali
                                                                                                                                                                                                                                          colpito dal cameriere, indiano anch’egli, che li guarda con
(tanto da somigliare alla struttura di una cipolla) e che scivola in
                                                                                                                                                                                                                                          solenne distacco, mentre, ubriachi, si cimentano con la
una prosopopea di colori e parole tra cui Ganesh, Kalì, Vishnu e
                                                                                                                                                                                                                                          spoliazione di una cipolla bhaji. E qui accade l’imponderabile...
Kipling si destreggiano con divertita e divertente scioltezza.
                                                                                                                                                                                                                                          Caduto in una specie di trance poetica, lo sceneggiatore si
Nato quale risposta alla necessità di sentirsi contaminati da altri
                                                                                                                                                                                                                                          profonde in una discussione circa il Viaggio nel tempo, Ruyard
linguaggi, che già dal Giappone e dalla Francia erano giunti nelle
                                                                                                                                                                                                                                          Kipling, i Corridoi (corridors) dell’Incertezza, sitar-pistole al
tavole degli autori inglesi, Rogan Gosh cerca di attingere a un
                                                                                                                                                                                                                                          laser, e l’intera vexata quaestio della fantascienza indiana,
immaginario tanto florido quanto profondo, quale quello indiano.
                                                                                                                                                                                                                                          redatta tutta nello stile succulento e ultradescrittivo del
E se siamo cresciuti con i supereroi, abbiamo visto affollare le
                                                                                                                                                                                                                                          menù del ristorante.
nostre letture da déi greci o nordici (pensate alla saga di Thor o
                                                                                                                                                                                                                                          “E’ fantastico” sussurra McCarthy, mentre la fiamma della
a quella di Wonder Woman), mai abbiamo avuto a che fare con
                                                                                                                                                                                                                                          candela oscilla al suo fiato, accrescendo la tensione di tutta
la mitologia indiana (a meno che non ci si ricordi di “Zio paperone
                                                                                                                                                                                                                                          la scena, “ma abbiamo bisogno di un buon titolo. Come lo
e la dea Kalì”, dove per altro la divinità indiana appariva solo
                                                                                                                                                                                                                                          chiamiamo?”.
sotto forma di statua, perciò immobile e inanimata).
                                                                                                                                                                                                                                          Il cameriere si avvicina per prendere le ordinazioni. McCarthy
Gli stessi pensieri hanno assalito Brendan McCarthy e lo hanno
                                                                                                                                                                                                                                          chiede un consiglio per il secondo: qualcosa di piccante, ma
spinto a indagare la fenomenologia del fumetto indiano.
                                                                                                                                                                                                                                          non troppo.
Se eravamo a conoscenza del fatto che la produzione
                                                                                                                                                                                                                                          Il cameriere li guarda, sempre stranito: “Posso suggerire
cinematografica di Bollywood fosse la più imponente del nostro
                                                                                                                                                                                                                                          Rogan Gosh?”.
povero globo, non era così automatico dedurre che il più grande
editore di fumetti indiano, Amar Cihtra Katha, riuscisse a far
                                                                                                                                                                                                                                         ROGAN GOSH di Pete Milligan (sceneggiatura)
circolare oltre settantacinquemilioni di copie di fumetti nel proprio
                                                                                                                                                                                                                                         e Brendan McCarthy (disegni) Fleetway, 1990
                                                                                                                                                       federico a. amico             mccarthy (revolver magazine)




                                                                                                   AMITAV GHOSH                                     Cromosoma Calcutta                                                                                                                     Einaudi 1996

                                         Sopra potete leggere di Rogan Gosh di Milligan e McCarthy e delle problematiche della fantascienza         Tutto ha inizio quando l’egiziano Antar, in un futuro non troppo remoto, residente a New           E’ così che si entra in una girandola di situazioni
                                         indiana (ricordate le o i sitar-pistole laser), e quando poco dopo aver riletto il fumetto in questione    York, impiegato presso la Life Watch, addetto alla ricostruzione di documenti, o frammenti         sviluppata su diversi piani temporali (passato – presente
                                         ci è capitato tra le mani il gustoso romanzo di Amitav Ghosh (anche perché il suo cognome ricorda          di essi, perdutisi negli sterminati meandri degli archivi della Rete, esponente della              – futuro) tra India e USA alla ricerca di un cromosoma
                                         molto da vicino parte del titolo del fumetto britannico, per lo meno nella pronuncia di noi occidentali)   categoria dei tele-lavoratori, categoria che presto si andrà a popolare di numerose unità,         detto Calcutta che sembra nascondere dietro il proprio
                                         naturalmente non ci siamo tirati indietro.                                                                 quasi per caso incappa in un frammento che gli rammenta un incontro avuto diversi anni             nome e la propria sostanza il segreto dell’immortalità.
                                         Fatto sta che oltre l’intrigante ed enigmatico titolo “Cromosoma Calcutta” viene stampato il non           prima con un suo collega: tale Murugan. Ai tempi dell’incontro, il collega era tutto preso         Riti occulti, assistenti medici senza età, complotti volti
                                         meno affascinante sottotitolo “un romanzo di febbre, delirio e scoperta”, così che ci gettiamo di          dalla ricerca volta a svelare i misteri che circondano la figura di Sir Ronald Ross, premio        a preservare le pratiche mediche antagoniste, sono
                                         slancio nella lettura per poi rimanere invischiati nella trama e rapiti dalla sorpresa per aver scoperto   Nobel per la medicina del 1906. Il medico dell’Impero Britannico, in India, aveva scoperto,        solo alcuni degli elementi che fanno di “Cromosoma
                                         una narrazione così convincente venata di fantascienza e paranoismo, alla quale i narratori post-          attraverso una presunta lunghissima ricerca sulla zanzara anofele, le modalità di                  Calcutta” un thriller in bilico tra fantascienza e filosofia
                                         moderni americani (i Pynchon e i Vonnegut) ci hanno abituato, e che non sospettavamo essere presenti       trasmissione del virus della malaria. Il problema che Murugan ha riscontrato è che Sir             che ci getta alla scoperta di un’India sempre più da
                                         anche nella narrativa indiana.                                                                             Ross aveva condotto ben poca ricerca, trovandosi in India solo perché obbligato dalla              affascinante, capace di preservare un’identità
                                         Amitav Ghosh è nato a Calcutta nel 1956 e dopo aver studiato a Oxford, vive da qualche anno a New          famiglia, e non solo: le conoscenze mediche del premio Nobel risultavano dalle sue                 impenetrabile.
                                         York, e questo dovrebbe spiegare molte cose circa quanto appena accennato. La contaminazione di            indagini molto scarse, tanto da far pensare non solo alla casualità fortuita della scoperta,
                                         stili e immaginari è quindi quanto di più consequenziale si possa pensare, tanto da essere, la             ma a un vero e proprio “complotto”.
                                         contaminazione, al centro dell’intero romanzo.                                                                                                                                                                                                       federico a. amico
stefano camellini                      media blitz




                      HEFNER:
                      un musicista dall’orecchio
                      filmico




                                                           Le tue composizioni sono molto originali ed elaborate, come entri nella musica?
                      La prima volta che ascoltai un       Dipende. A volte mi basta essere nel giusto stato mentale, più spesso invece ho assolutamente
                      segmento di Lee Jones alias          necessità di silenzio, di concentrazione.. anche il trillo del telefono mi distrae. Ecco perché
                      Hefner capitò circa tre anni fa      la maggior parte delle volte lavoro di notte, poiché avendo lo studio nella mia camera, posso
                      e fu subito amore.                   stare tranquillo solamente allora. Inoltre una cosa che mi ispira e mi affascina moltissimo è la
LA PRIMA VOLTA CHE…




                      Ricordo che lo estrassi da una       città: di notte mi guardo Londra dall’alto (abito al 15° piano di un palazzo nel West End - il
                      serie di 12" tutti della Inertia     centro in pratica) ed è nel brulichio della notte che spesso trovo ispirazione.
                      Rec. avuti in anteprima              Una caratteristica tua, come della contemporanea scena elettronica, è (ciò che noi chiamiamo)
                      dall'amico Stefano Ghittoni.         l’orecchio filmico, cioè la tendenza già insita nel nostro dna generazionale di una narrazione
                      Quando, dopo pochi mesi, fu la       cinematografica dei suoni. Cosa ne pensi?
                      volta del singolo "An evening        L’ispirazione mi viene fondamentalmente dal cinema. Sono stato a lungo studente per poi
                      with Hefner " gridai al miracolo!    diplomarmi in Cinematografia e Sceneggiatura ed è proprio lì che ho imparato ad utilizzare i
                      Ovviamente l'uscita del suo          tempi, le pause, le sospensioni… la tecnica del timing mi viene da quell’esperienza. Inoltre
                      primo album "Residue" avvenuta       credo che anche l’atteggiamento orchestrale mi venga dall’analisi di colonne sonore di alcuni
                      qualche mese fa non mi ha colto      film che ho molto amato
                      impreparato confermando che          come i film newyorchesi alla Woody Allen, Coppola e Scorsese. Di Woody Allen apprezzo molto
                      il giovane Hefner è sicuramente      quella comicità profonda ed intelligente che i suoi film propongono. Una colonna sonora da
                      uno degli artisti più interessanti   musicare? “Un uomo da marciapiede” di Martin Scorsese. Un film bellissimo, unico.
                      che la pur prolifica Inghilterra     La figura del musicista oggi. Qual è la tua esperienza?
                      ha sfornato in questi ultimi anni.   Ho imparato a suonare gli strumenti da solo. Come molti ragazzi degli anni ’90 sono un autodidatta,
                                                           per quanto abbia tentato di prendere lezioni seriamente sia di chitarra sia di pianoforte poi
                      Peccato che qui da noi per
                                                           mi sono scoraggiato. Ci vuole tempo troppo tempo ad imparare tutti i segreti di uno strumento..
                      problemi di distribuzione il disco
                                                           tempo che ho preferito usare ad ascoltare musica. Credo di aver ascoltato musica da sempre,
                      risulti praticamente
                                                           da prima ancora di quanto riesca a ricordare: ho ascoltato giorni interi e notte intere di musica
                      introvabile,ma non disperate,
                                                           elettronica, jazz, drum n bass, qualsiasi cosa. Mi piace il suono e capire i segreti delle varie
                      probabilmente l'operaio
                                                           produzioni, comprendere come mettere insieme tutti i suoni mi affascina sempre.
                      "Silvio B." tra pochi mesi
                                                           Quali sono le tue principali influenze?
                      risolverà anche questo caso.
                                                           Cosa mi influenza? La città. Nonostante infatti io sia cresciuto in campagna e sia andato a vivere
                                                           a Londra solamente più tardi, mi sento influenzato ed ispirato dal clima che si respira in città.
                      AKY TUNE @ Disco d’oro,
                                                           Cammino e sento un’energia incredibile per le strade, nei ritmi frenetici della città, percepisco
                      Bologna                              la vitalità delle diverse popolazioni e culture… la mia musica sarebbe differente se davanti
                                                           avessi un oceano, una spiaggia o paesaggi rurali.
INDIA
         un continente sconfinante
"...Ed ancora vi dico che questi bregomanni none ucciderebbero niuno animale di mondo, nè pulci nè
pidocchi nè mosca nè veruno altro, perchè dicono ch'elli ànno anima, onde sarebbe peccato. Ancora no
mangiano niuna cosa verde, nè erba nè frutti infino tanto che non sono secchi, perchè dicono anche
ch'ànno anima. Elli dormono ignudi in sulla terra nè non tengono nulla nè sotto nè adosso; e tutto l'anno
digiunano e no mangiano altro che pane ed acqua..."

Marco Polo "Il Milione" (descrizione dei bregomanni, i brahmani, della provincia indiana del Gujarat)




Una nazione che è continente. Un continente che           mescolanze.
sconfina in altre nazioni. Sri Lanka, Pakistan,           Varcanti tutti i confini, abitanti metafisici dei
Nepal, Bhutan, Bangladesh, una corona di nomi             borderline, ansiosi dell'altrove, gli indiani furono
che è un nome solo: India. Suolo s-misurato e s-          definiti mirabilmente da Massimo Mila come quel
misurabile, permeato dal balbettìo di culture che         "popolo cui non è patria questa terra, ma è
per prime hanno osato l'inosabile: pensare l'infinito.    destino il cielo"….
Terra quindi senza frontiere, luogo dalla sfrontata       Genti nobili gli indiani, abituate a sconfinare, a
grandezza. Unica malattia d'India è quando le             rimettersi in movimento, èra dopo èra.
riemergono confini al suo interno, dalla tellurica        I figli d’India, intellettuali migranti o musicisti
notte dei tempi, tra nazionalismi e razzismi. Ma          digitali, trasportati come spore ai quattro angoli
non sono queste le profondità abitate dai suoi            della Terra dal Soffio della Vita, portano con sè
popoli perché l'India è la madre di tutte le              il raggio di luce e le cellule fragili del suolo




    paolo davoli
INDIA: oltre la musica




                                                   BENVENUTI NEL SECOLO
                                                   DELLE PICCOLE COSE…

courtesy of thames and hudson ltd. © 2000
intro
Deterritorializzare l'India. Raccontare il sub continente indiano attraverso percorsi, letture,
suoni, immagini che sempre più spesso sconfinano al di là dell'India. L'India che non abita
più l'India: il suo "fuori", le sue eccedenze carnose che scelgono quale misteriosa linea di
fuga l'urbanizzazione di Londra, New York, Nairobi, Kuwait City, Johannesburg, Firenze.
Un intero continente in movimento che vogliamo cogliere nel momento in cui questo motus
vivendi produce segni ad alta intensità.

Il viaggio nel mondo indiano per un europeo non è impresa facile, nè nella descrizione nè
nella comprensione. Spesso il fascino che quel “pianeta” proietta è un'immagine che filtrata
attraverso lenti occidentali appare distorta. In passato diversi scrittori europei sono caduti
nel tranello di decifrare l'indecifrabile, di decidere l'indecidibile. Per l' Occidente il
continente Asia rimane ciò che è stato per migliaia di anni: irriducibile al proprio pensiero.
Enigma di enigmi, l'India è come l'acqua e il tempo: inafferrabile.

Da Pasolini a Manganelli, da Junger a Schmitt, da Chlebnikov a Forster, da Kipling a Hesse,
gli intellettuali europei ci hanno sempre mostrato aspetti fuori-misura del mundus indiano,
cedendo consistentemente al folclore asiatico. Di fronte alle semplificazioni attuate da
noi europei e alle contraddizioni hindi occorre quindi ridisegnare le cartografie indiane
per scomporne l'oleografia esotica. Ri-tracciare il divenire asiatico, contraffarre le mappe
dei suoi mondi, abbandonarne le frontiere, abitarne il destino al di là dei confini.

Il polmone spirituale indiano è oggi raccontato nevroticamente ma in profondità da scrittori
che sono cittadini del mondo prima che bengalesi, tamil o sikh. Scrittori come Amitav Gosh
che ci racconta del cromosoma Calcutta e di formule dell'immortalità perse nelle reti
digitali o Vikram Chandra che istoria densità magiche e fantasmagoriche sullo sfondo di
Bombay o Hanif Kureishi che ambienta le sue coppie in crisi nella Londra contemporanea.
Ma sembrano già un esercito poiché dietro loro una straordinaria moltitudine di protagonisti,
anche di generazioni diverse, cresce come un’onda: Vikram Seth, Arundhati Roy, Jumpa
Lahiri, R.K. Narayan, V.S. Naipaul, Khushwant Singh, Michael Ondaatjie, Raja Rao, Anita
Desai…

Nel bagliore d'India, impassibile e altera, sta un futuro continente che nel 2001 festeggerà
la nascita di un bambino/a che aggiornerà alla favolosa cifra di UN MILIARDO le genti che
frequentano i suoi mondi.




                                                           courtesy of instar libri © 1999
Joy, il Delta-funk nella terra del Gange
Federino Ghiaia è all’apice dell’irrequietezza. Come apostolo di tutte le eccitazioni, dopo una notte di sfrenata lussuria, viene tradotto
nelle segrete del Maffia e quivi messo a dub e acqua per settimane. Con gli occhi smarriti e la lingua sbarrata accoglie di malavoglia l’invito




                                                                                                                                                   federino ghiaia
perentorio dell’arcigno don della rivista per un’altra recensione “indiana”.
Ancora spossato dalla precedente libagione, borbotta tra sè e sè: “Ecco cosa mi vorrebbe. Poichè lontano dalla mia regina mi prosciugo come
un fiume sahariano e mi sento il vento dentro come certi uccelli africani, chiedo di recensire musica celeste dove possa udire il sussurrìo
dei ramoscelli e le melodie dei fiori secolari....”




Il Perchè è nella terra di Garuda e di Prajapati, dove si assopisce            equatorialismi, tabla’n’bass monsonici irrorano le sonotracce
l’impossibile, e regna sovrana la poesia e la magia. E’ il luogo               rigonfie di flutti marini digitali, pigliando a gabbo certe
dove le pupille del cielo si specchiano nelle paludi solitarie e dei-          fànfalùche europee.... Immaginiamoli questi Joy, sulla riva
elefanti s’immergono nei merletti azzurri di fiumi eterni... Già               della Madre Ganga, nella debole foschia del mattino, tra il
con la gente del Delta non si può scherzare. Quale delta? Quello               verde silvestre, dediti alle sitariadi in terra bangladescia, tra
primordiale, debordante, enorme e torpido del Gange... Dove                    musiche ambientali di cedri che sbocciano e tigri auguste del
cercare la poesia del suono, se non lì, tra vetuste canne di bamboo            Bengala che sbadigliano....
alte come il Bodhisatva di Bangalore o tra urti di corna di bufali             Rispetto alle moltitudine ariane dell’asian breakbeat i Joy
in battaglia? Dove trovare un’alveo così soave che catturi le                  paiono dei capo-pompieri tanto annacquano le polveri dei beats
melodie dei fiori secolari e il lento sussurrare dei ramoscelli o il           incendiari ma apparecchiano poi certe originali tovaglie di suoni
rauco fischio del ciliegio nero? Ma sulla rotta delle Indie, nelle             ipnotici e ambient funk che conquistano sommessamente,
Netherlands orientali, la terra dei Joy e dei Monsoni, il Bengala              ascolto dopo ascolto...
orientale, oggi Bangladesh!! Un paese immerso nell’acqua, rapinato             Nonostante la profonda mezzanotte abbia bussato di recente
ogni stagione da violente inondazioni, afflosciato nel verde della             alla loro porta, i due gemelli Shamsher, Haroon, ora defunto,
sua dolente natura. Un luogo madido di rugiade, ruscelli, fiumi,               e Farook Joy, si elevano grazie alla loro musica celeste, unico
estuari, foci, infiltrazioni, muffe, scrosci, nubifragi, maree.                rifugio alla ruota tragica del destino....
Naturale che il mago-suono ne risenta. E’ a questo dio-mago del
suono che i Joy si sono votati. In questa accozzaglia acquatica,               ....Ebbri del vino che i Re Magi bevvero sulla via di
diluvi di tablas, dholki e sarangi s’infrangono contro torridi funk;           Betlemme....ballano la danza gioiosa dell’esistenza...(Coleman
elettroniche audioscritture cozzano contro agili techno-                       Barks)


                                         Joy - Joy First              (Real World)
                                         Joy - We are Three (Real World)                                           www.realworld.on.net
KUREISHI & LAHIRI
                      ANGLO-ASIATICI TRA
                   INTEGRAZIONE E IDENTITÀ.
               ARTISTI ANGLO INDIANI E INDIANI AMERICANI.
               DALLA MUSICA ALLA LETTERATURA GLI ORIZZONTI CULTURALI
               SI ESTENDONO OLTRE LE FRONTIERE, PUR MANTENENDOLE.
               DA HANIF KUREISHI A JHUMPA LAHIRI A NITIN SAWHNEY, IL
               NUOVO MILLENNIO RAPPRESENTA UNA SORTA DI
               PALCOSCENICO DELLA MULTICULTURALITÀ.

               Mantova, Festivaletteratura 2000, nel chiostro del Museo
               Diocesano, in una cornice suggestiva ci troviamo davanti
               una giovane donna indiana di delicata bellezza venuta a
               presentare il suo primo lavoro: L’interprete dei malanni.
                E’ una raccolta di nove racconti brevi editi in Italia da
               Marcos y Marcos che le hanno consentito, negli Stati Uniti,
               di vincere il premio Pulitzer 2000 per la narrativa. Nel corso
               dell’intervista alla quale si sottopone con estrema grazia,
               Jhumpa Lahiri - trentatreenne angloindiana residente a
               New York - ci delinea i personaggi e le situazioni da lei
               descritte. Ricordi di terre lontane conosciute e vissute
jumpa lahiri   durante le vacanze estive di una bambina americana, odori
                                                                                hanif kureishi   jane brown ©
               e sapori di una cucina tanto in contrasto rispetto ad
               hamburger e patatine, frammenti di frasi e cantilene in
               bengali impresse nella mente, note di canzoni che
               accompagnano le calde notti… I richiami alla tradizione
               sono continui e persistono non più sotto forma di cornice
               bensì concorrono a dare ai racconti l’atmosfera nella quale
               i personaggi – indiani emigrati in America - si calano.
               Un’atmosfera in bilico tra nostalgia e speranza che a volte
               risulta essere tanto profonda da paralizzare le voci dei
               protagonisti, la loro stessa capacità comunicativa per
               favorire un atteggiamento che li induce a fantasticare sul
               presente e sul passato. Poi, ad un tratto qualcuno parla:
               e tutto si rivela. Il climax viene raggiunto alla fine del
               racconto come in una sorta di epifania joyciana, oltre la
               quale tutto sarà nuovo e rinascerà. La rivelazione resterà
               comunque una conquista, un punto di partenza di cui andare
               fieri ed orgogliosi.
               Il personaggio del racconto Il terzo e Ultimo Continente
               conclude il suo interior monologue comprendendo l’enormità
               della sua azione, riconoscendone al tempo stesso, con
               infinità dignità, la sua semplicità “(…) mentre gli astronauti
               sono diventati eroi per aver speso poche ore sulla luna,
               (siamo nel ’69) io sono rimasto in questo nuovo mondo (gli
               Stati Uniti) per quasi trent’anni. (…) Eppure, ci sono momenti
               in cui mi sconcerta ogni singolo miglio percorso, ogni pasto
               mangiato, ogni persona incontrata, ogni stanza in cui ho
               dormito”.

               Lo sforzo che i personaggi compiono nel vivere a metà tra
               due culture viene evidenziato anche da un altro grande
               scrittore contemporaneo anglo-pakistano, Hanif Kureishi.
               Noto negli anni ottanta alla critica come sceneggiatore
               teatrale e cinematografico, raggiunge la notorietà negli
               anni novanta grazie alla pubblicazione di alcune raccolte
               di short stories ed alcuni romanzi. L’ultimo suo lavoro
               pubblicato in Italia, una raccolta di storie brevi intitolata
               Mezzanotte tutto il giorno, ci accompagna tra personaggi

                   letizia rustichelli
e coppie di amanti in difficile equilibrio tra compromessi e incomprensioni.
Anch’essi tacciono, fantasticano e pensano sotto forma di profondi monologhi interiori. E si
contornano di semplici gesti, come se fosse ciò che sembra insignificante agli altri ad essere
fondamentale per la vita dei protagonisti. Per Kureishi scrivere significa decodificare le incomprensioni
degli emigrati asiatici nelle periferie londinesi, rappresentando un mondo nel quale fin da bambini
la necessità primaria del capofamiglia è sopravvivere in una nuova società dove “non è concesso
volare troppo in alto” (you couldn’t get above your station; you couldn’t dream too wildly), come
dice lo scrittore in un suo essay. In Midnight All Day egli supera l’analisi sociale e si spinge fino a
descrive l’inadeguatezza dei personaggi anche dal punto di vista relazionale e sentimentale in una
continua ricerca di bisogni specifici, ansie e desideri. Ciò che resta alla fine del viaggio è la ricerca
di sé stessi e l’accettazione dell’altro. Un’alternanza tra volontà di integrazione e necessità di
mantenere la propria identità.

Asia, Europa ed America. Letteratura e musica. Si perdono i confini ma il bilico resta. I malanni
vanno interpretati, in qualche modo. Nitin Sawhney, famoso musicista angloindiano nominato per
i Music Awards del 2000, ce lo ricorda. Nella sua toccante “dichiarazione d’intenti” all’interno del
disco Beyond Skin scrive:
“Sono Indiano. O per meglio dire sono cresciuto in Inghilterra ma i miei genitori vengono dall’India.
Terra, gente, governo, o la stessa parola ‘indiano’ cosa significano? In questi giorni il governo sta
testando gli armamenti nucleari in suo possesso. Sono meno indiano se non difendo queste azioni?            “The image I have is of an open mouth,
Meno indiano per esser nato e cresciuto in Inghilterra? Per non parlare hindi? E non sono inglese
                                                                                                                      saying nothing”
a causa della mia eredità culturale? O per il colore della mia pelle? Chi decide? La ‘Storia’ mi
                                                                                                                              H. Kureishi
racconta che la mia eredità arriva dal sub-continente, un paese del terzo mondo, una nazione in
via di sviluppo, una terra colonizzata. Ma cos’è la storia? Per me solo un altro termine eurocentrico
arrogante… Nei libri di scuola ho imparato solo la storia della Russia, dell’Europa e dell’America.
                                                                                                            BIBLIOGRAFIA KUREISHI
L’India, il Pakistan, l’Africa.. questi erano luoghi pieni di gente che non contava… gli schiavi, gli
inferiori, i sottomessi. (…) Mio padre e mia madre sono presenti in questo album: le loro voci              My Beautiful Laundrette and the Rainbow Sign,
                                                                                                            Faber & Faber, London 1986
raccontano con ottimismo i progetti per il futuro, mentre i nazisti inglesi si contendono tra Combat
18 e British National Party l’eroico gesto di buttare bombe contro gli asiatici a Brick Lane. Il BJP,       London Kills Me,
                                                                                                            Faber & Faber, London 1991
partito indù fondamentalista in India, il BNP in Inghilterra. I primi mi definirebbero per la mia           Londra Mi Uccide
eredità religiosa, gli ultimi per il colore della mia pelle. Io credo nella filosofia indù. Non sono        Baldini&Castoldi, 1997
un religioso. Sono un pacifista. Sono un aglo-indiano. La mia identità e la mia storia sono definite        The Buddah of Suburbia,
solo da me stesso, al di là della politica, della nazionalità, della religione e della pelle.”              Faber & Faber, London 1991
                                                                                                            Il Buddah di Periferia
                                                                                                            Mondadori, 1995

                                                                                                            The Black Album,
                                                                                                            Faber & Faber, London 1995
                                                                                                            Love in a Blue Time,
                                                                                                            Faber & Faber, London 1997
                                                                                                            Amore in Blu
                                                                                                            Bompiani, 1999
                                                                                                            My Son the Fanatic,
                                                                                                            Faber & Faber, London 1997
                                                                                                            Intimacy,
                                                                                                            Faber & Faber, London 1998
                                                                                                            Nell'intimità
                                                                                                            Traduzione di Ivan Cotroneo,
                                                                                                            Bompiani 1998
                                                                                                            Midnight All Day,
                                                                                                            Faber & Faber, London 2000
                                                                                                            Mezzanotte Tutto il Giorno
                                                                                                            Bompiani 1999
                                                                                                            Gabriel's Gift,
                                                                                                            Faber & Faber, London 2001

                                                                                                            BIBLIOGRAFIA LAHIRI
                                                                                                            Interpreter of Maladies,
                                                                                                            Flamingo, USA 2000
                                                                                                            L'Interprete dei Malanni
                                                                                                            Marcos y Marcos 2000

                                                                lorenzo lanzi © marcos y marcos
INGEGNERE INFORMATICO
                               OFFRESI.
                   E' un ragazzo magro, con gli occhiali rotondi e la montatura sottile,
MAFFIA TRAVELLER




                   che mi avvicina mentre bevo una proibitissima birra la notte di
                   Capodanno a Mammallapuram, famoso centro culturale nel Sud dell'India.
                   Rupesh è di Madras, capitale del Tamil Nadu ora Chennai come prima
                   della colonizzazione Inglese. La sua città è immersa in una nebbia
                   permanente dovuta al congestionamento creato da mezzi inusuali per
                   l'occidente: camion Tata, risciò a motore, carri trainati da buoi, antiche
                   Ambassador bianche.
                   In questa città fioriscono, a fianco dei negozi di cotone e dei templi
                   Indù numerose scuole di informatica di ogni livello.
                   Appena iniziamo a parlare avverto che la nostra non è una conversazione
                   disinteressata: "Fra qualche mese sarò ingegnere informatico, puoi
                   trovarmi un lavoro in Italia? Mi lasci un numero di telefono?"
                   La richiesta mi coglie un po’ di sorpresa, nella nostra società un
                   ingegnere non ha bisogno di chiedere un posto di lavoro ad uno straniero
                   conosciuto durante i festeggiamenti per l'anno nuovo.
                   Per Rupesh questo è assolutamente naturale, se non necessario.
                   L'India è forse il più interessante serbatoio di cervelli informatici che
                   rifornisce le strutture della new economy occidentale e asiatica, data
                   la grande disponibilità al lavoro di questi professionisti e le minor
                   richieste economiche che pongono rispetto ai pari livello americani
                   o giapponesi.
                   Questa interessante opportunità ha creato un immenso numero di
                   specializzati in questo settore che non può essere totalmente assorbito
                   dall'offerta esterna al paese ma che necessita di una richiesta interna.
                   E' stato imbarazzante dire a Rupesh di cercare su internet opportunità
                   di lavoro, spedendo curriculum, informandosi sulle necessità del
                   mercato e sulle caratteristiche delle società potenziali assuntrici
                   sapendo quali difficoltà esistono per la connettività.
                   I molti e diffusi internet point che si trovano nei centri urbani sono
                   pieni di studenti in fila che per 50 rupie all'ora si collegano nel tentativo
                   di rendere materiale una teoria studiata spesso su supporti cartacei.           edwin ferrari
                   Le facoltà di Informatica spesso non hanno le attrezzature necessarie
                   e lo studio sul computer avviene in modo discontinuo e faticoso; si
                   avverte un netto distacco dalla preparazione teorica di questi ragazzi
                   e l'uso domestico ed empirico delle tecnologie che può sviluppare solo
                   chi ha accesso quotidiano alla rete.
                   Seppure Bangalore, Mumbay, Madras sono sempre di più i centri della
                   economia tecnologica indiana, la sensazione e che siano colonizzate
                   dai grandi interessi internazionali che guardano all'India più come ad
                   un miliardo di nuovi interessanti consumatori che ad un continente
                   che potrebbe risolvere i propri problemi di sviluppo grazie alle tecnologie
                   più accessibili.
                   Rupesh più che di un lavoro che lo porterà negli USA o in Inghilterra
                   ha bisogno di conoscere esempi di imprenditorialità che possano far
                   perno sulle sue conoscenze e sulla sua cultura.
                   Gli esempi non mancano: sfogliando la rete si possono scoprire migliaia
                   di piccoli e-business indiani legati al turismo, alla musica, alla cultura
                   e alla grande curiosità che questo paese riesce a suscitare negli
                   occidentali.
                   Come per altri paesi del mondo la sfida dell'India sta proprio in questo:
                   costruire una via indiana allo sviluppo globale o diventare l'ennesima
                   fonte di energia utile allo sviluppo occidentale.
Modulations
                  Lara Lee, Peter Shapiro, Simon Reynolds
                  A History of Electronic Music: Throbbing Words on Sound
                  Art Publishers 264 pagine $29.95 Ottobre 2000 (USA)




                        Pubblicato lo scorso ottobre negli Stati Uniti,
                     Modulations ricostruisce la genesi e l'evoluzione
                     della musica elettronica dal novecento ad oggi.
                     Nato come spin-off dell'omonimo documentario
                     pubblicato nel '98 da Lara Lee, Modulations è
                     un'opera di largo respiro che supera i limiti
                     strutturali dei volumi della collana inglese Rough
matteo bittanti




                     Guide.
                        Impreziosito da una selezione di saggi scritti da
                     musicisti, giornalisti e critici musicali del calibro
                     di David Toop, Peter Shapiro, Rob Young, Kodwo
                     Eshun, Chris Sharp, Tony Marcus, Kurt Reighley e
                     Michael Berk, Modulations delinea in modo preciso
                     i contorni di generi come hip-hop, disco, jungle,
                     drum 'n' bass, ambient, downtempo, house, techno.
                     Generi le cui origini vengono ricondotte a matrici
                     comuni come la sperimentazione dell'avanguardia
                     futuristica italiana e le invenzioni di Pierre Henry
                     e Pierre Schaeffer.
                        Modulations racconta in modo puntuale e preciso
                     i primordi della musica elettronica attraverso una
                     serie di profili di autori come Kraftwerk, Xenakis,
                     Morader, Moog e Cage. Il volume è arricchito da
                     un ampio glossario, una cronologia, una serie di
                     schede degli autori trattati, un'articolata discografia
                     e numerose interviste (Squarespusher, Moroder,
                     Macero, Genesis e P-Orridge, tra gli altri). Chiude
                     il volume una chiacchierata con il futurologo di
                     professione Alvin Toffler.
                        E per chi è alla ricerca dell'esperienza
                     multimediale totale consigliamo anche il
                     documentario originale (Modulations: Cinema For
                     The Ear, una serie di interviste ai padri
                     dell'elettronica, da Karlheinz Stockhausen a Roni
                     Size) ed il soundtrack che include chicche come
                     "Planet Rock" di Afrikaa Bambaataa, "Amazon 2-
                     King Of The Beats" di Aphrodite, "The Shadow" di
                     Goldie & Rob Playford nonché il remake di Moroder
                     di "I Feel Love" targato Donna Summer.

                     da sanfrancisco, matteobittanti (mbittan@tin.it)
IL SUONO MIGRANTE DI NITIN SAWHNEY
Il concerto è sold out da parecchi giorni. L’attesa è enorme. Nitin non suona a Londra da mesi, da quando è partito per un lunghissimo
tour internazionale che ha toccato tutti i continenti. Ora si ripresenta al proprio pubblico grazie alla nomination di Beyond Skin,
il suo ultimo album, al Mercury Prize anno 2000.
A Londra tutti mormoravano che il premio sarebbe dovuto andare a lui e non a qualche esangue rocker bianco, ma per motivi di
“politica” industriale non sarebbe stato un “asiatico” a vincere per due volte di seguito l’ambito premio. Così mormorava la città,
così è stato. Dopo Talvin Singh, non passa lo straniero!!

Corpi che si muovono silenti. Corpi minuti, esili. Sui corpi, vestiti laceri, tessuti strappati. Una umanità offesa eppure nobile nei
suoi sguardi. Le strade sono polverose. Vissute. Biciclette, risciò, macchine russe e americane. Mucche e poi topi. E poi ancora
corpi che camminano. Dettagli in movimento. Uomini che non hanno meta, camminano con i loro poveri averi. Parte “Tides” e il
boato della folla è esplosivo.....
Lo schermo è gigantesco, proprio alle spalle del
gruppo. I visuals sono dei light-jays Yeast, famosi
qui a Londra per la bellezza delle loro immagini.
Ora l’intera band si è sistemata sul palco. E
s’intravvedono i primi cambiamenti. Non c’è più
l’incredibile batterista “jungle” Marque Gilmore,
chiamato alla corte di Madonna, la pop star ora
residente a Londra. A compensare la delusione
per l’assenza di Innamost Gilmore, c’è il gruppo
al completo, con tutte le voci di “Beyond Skin”.
 Il colpo d’occhio sul palco è bellissimo. C’è la
chanteuse degli Smoke City, Nina Miranda, al
centro con la soul diva Sanchita Farruque e ai
lati Jayanta Bose e il bravissimo mc, JC001. Poi
a semi arco, tablas (Aref Durvesh), batteria (Jamie
Larmott) e basso (Eric Appapoulay). Sawhney alle
tastiere chiude il lato sinistro del palco. Dietro
al tablista, spettacolo nello spettacolo, il quartetto
d’archi che ha collaborato con Nitin Sawhney e i 4 Hero, gli Instrumentals
Il primo sussulto arriva dopo una folgorante versione della flamenca “Herecica Latino”, con un brano inedito, annunciato come frutto
del tour italiano. “Trip Blues” sembra il titolo del pezzo ed è un suadente groove-blues dalle cadenze equatoriali, con Tina Grace
alla voce. Alla fine del concerto saranno tre i brani inediti presentati e tutti all’altezza di “Beyond Skin”. Il quinto album di Nitin
sembra essere alle porte e qualcuno intorno a noi dice che Sawhney ha firmato per la V2 e l’album uscirà a giugno. Ci guardiamo
tra noi: sarà vero? Speriamo di sì, è la nostra veloce risposta....
Il concerto volge al termine. Nitin gioca in casa. Nel pubblico c’è la stessa passione dei derby calcistici, ogni brano viene salutato
da ovazioni. E il pubblico è ampiamente ripagato da un concerto torrenziale, oltre due ore di immagini e musiche bellissime,
coinvolgenti e raffinate. L’interazione è totale. Il terzo bis si chiude a sorpresa con l’ancient funk di “Black Gold of the Sun” (ve
la ricordate remixata dai 4 Hero?) cantata coralmente da pubblico e gruppo. Cala il sipario di una serata tra le più clamorose e
memorabili. Mille di questi concerti, Mister Nitin Sawhney!!




                                                                                                                            paolo davoli
Orchestral World Groove feat. Raiss
                                                                                                                 C’è grande attesa nei vicoli notturni




                                                                                                                                                               LIVE@NOTTING HILL Napoli
                                                                                                                 della città per vedere all’opera il figliol
press office




                                                                                                                 prodigo Rino della Volpe aka Raiz, Raiss
                                                                                                                 o come meglio credete. Tra le mini-
                                                                                                                 popstar napoletane, del resto, è uno
                                                                                                                 dei pochi a mettersi continuamente in
                                                                                                                 discussione.
                                                                                                                 Ad accoglierci però non c’è solo lui: la
                                                                                                                 calda voce è piuttosto ospite del combo
DJ PATHAAN, originario del Pakistan, cresce nella scena post-acid house dei primi anni ’90 e collabora
                                                                                                                 Orchestral World Groove, ovvero
alle serate Anokha di Talvin Singh al Blue Note di Londra. Si impone come dj di punta in grado di miscelare
i suoni orientali con quelli occidentali. Notato da David Bowie, Pathaan, diviene il dj di supporto del suo      Pathaan e Gaudì, due pionieri della
tour europeo del ’97. Promotore delle serate Swaraj, Audio Sutra e Stoned Asia, di cui cura le tre compilation   scena world groove non solo inglese,
per la Kickin Records, Pathaan viene premiato ad Ibiza con gli MTV Awards. Il suo set sorprende con elementi     che aprono la sessione.
spirituali e pulsa di energia positiva intrecciando ritmi dub, breaks hip hop, house, drum and bass e asian      Pathaan ai piatti e Gaudì al moog, echi
breakbeat.                                                                                                       a nastro e theremin macchina che crea
Nell’attuale formazione che porta il nome di Orchestral World Groove, Pathaan incontra GAUDI’,famoso
                                                                                                                 un campo magnetico all’interno del
produttore e maestro di dub napoletano, ora residente a Londra e di cui quest’anno è uscito il terzo lp
“Earthbound”. Insieme iniziano a Londra un’interessante collaborazione che vede come base per i loro
                                                                                                                 quale il movimento delle mani via synth
dj set dubbati le serate al Mass di Brixton. In Italia arrichiscono la loro performance con la voce e la         produce splendidi effetti acustico-visivi




                                                                                                                                                                      29.12.00
                                                                                                                  danno inizio ad un set che vedrà la fine
                                                                                                                 cinque ore dopo.
                                                                                                                 C’è tanta Asia, ma non solo: nei suoni,
                                                                                                                 negli odori, nelle immagini, confluiscono
                                                                                                                 culture inaspettatamente omogenee; si
                                                                                                                 avverte, forte, il segno di Guadì. Ne
                                                                                                                 vien fuori un etno-dub dalle improvvise
                                                                                                                 accelerazioni che i presenti dimostrano
                                                                                                                 di apprezzare.

                                                                                                                 E’ il momento di Raiz: un altro colore
                                                                                                                 che si aggiunge, ancora più calore in
                                                                                                                 scena. Si chiude il cerchio: lamenti arabi
                                                                                                                                                                      peppe di gangi




                                                                                                                 si intrecciano alla sua voce e il concerto
                                                                                                                 decolla.
                                                                                                                 Il pubblico dimostra di apprezzare le
                                                                                                                 performance di Gaudì al theremin.
                                                                                                                 Pathaan tiene sotto controllo il ritmo.
                                                                                                                 Raiz ci mette anche un po’ di
Un lustro di funk fuoricasta e breakbeat asiatico
L’Outcaste records compie 5 anni. Fu fondata da Shabs della Media Village nel 1995. L’obiettivo era
quello di documentare il nascente movimento artistico-musicale dei British Asians che in quegli
anni stava iniziando la sua ascesa. Ed è proprio il fiancheggiamento al cosiddetto Asian Underground
che ha permesso all’etichetta di Leicester Square di valicare i confini britannici e di diventare un
punto di riferimento a livello mondiale della scena dance. Questo risultato è da attribuire in primis
al loro artista di punta, Nitin Sawhney. E’ grazie al suo successo internazionale che l’etichetta ha
portato il proprio suono in tutti i clubs del mondo. Albums di Sawhney come “Migration” del 1995,
“Displacing the priest” del 1996 e “Beyond Skin” del 1999 hanno propagato in tutto il mondo il
particolare blend di funk, drum and bass, dub, musica indiana, London beats e jazz che è il marchio
di fabbrica dell’Outcaste. E infatti lo ritroviamo per intero nell’ottimo nuovo lp di Badmarsh & Shri
“Signs”. Teoria e prassi confermata in toto nell’albo celebrativo “The first five years” dove la
galassia Outcaste viene allargata con massimo zelo ad altri pari: Thievery Corporation, Up, Bustle




& Out, Bonobo tra gli etrangeres e i nuovi virgulti del Verbo, Niraj Chag e Sutrasonic.




                                                                                                                                    courtesy of outcaste
                                                                                                             www.outcaste.com
Spiccano tra le altre, le riletture di brani di Sawhney proposte da Rainer Truby e Joe Claussel e le
vecchie pepite di suono indopop speziate sixties come “Mathar” e la “Light my fire” doorsiana riletta
dal guru Ananda Shankar. Godibilissima, l’opera si fa apprezzare per la coesione d’intenti e di
realizzazione, creando un universo sonoro compatto, raffinato e unico.
L’elemento decorativo di tabla e sitar riemerge prepotentemente nelle altre due raccolte uscite dalle
Outcaste Industries. Qui il discorso diventa un po’ più deviante, sia dal punto di vista filologico sia
dal punto di vista musicale-estetico. Ambedue le compilation pescano nel torbido pozzo delle colonne
sonore bollywoodiane, l’industria cinematografica indiana, il cui centro maggiore è a Bombay. E’ chiaro
che l’operazione nel caso di “Bollywood Funk” rasenta la nostalgia e ha lo scopo tutto voyeuristico
di ritrovare le proprie radici indiane, specie quelle meno colte e più legate al glamour bollywoodiano.
                                                                                                                                    paolo davoli


Troviamo infatti la stessa estetica cosmopolita delle nostre colonne sonore cinematografiche anni
sessanta e settanta: speed groove-jazz e patine orchestrali su disimpegnate versioni di gusto estetizzante   Album:
funk pop. In realtà si celano dietro a nomi coperti da polvere e Storia, prodigiosi compositori che per
sbarcare il famoso lunario, ebbero a compromettersi con il kitch indiano dell’epoca. Trovare similitudini    AAVV
con le raccolte che da quasi un decennio ammorbano il mercato italiano ed europeo non è sbagliato.           The First Five Years
I Morricone dalla pelle scura hanno i nomi esotici di Laxmikant Pyarelal o R.D. Burman e i brani             Outcaste Uk 2000
suggeriscono il rare groove orientale come “Hare Rama Hare Krishna” o “Johnny Mera Naam” o
“Shalimar”. Inutile dire che il fascino retrò di un’operazione del genere può conquistare solo coloro        AAVV
                                                                                                             Bollywood Funk
che già furono affascinati dai rare groove occidentali....
                                                                                                             Outcaste Uk 2000
Più in sintonia con il nostro spirito UT-futurista è la raccolta successiva “Bollywood Breaks”, sempre
curata dai Sutrasonic, che una volta attinta la malapianta jazzfunk bollywoodiana, la vitaminizzano          AAVV
con una potente dose di grooves e breaks moderni. Qui il gioco si fa più sporco e orientato alla pista.      Bollywood Breaks
Il glamourama indotto dall’operazione è suadente e folle quanto basta per spedire in orbite piacevoli        Outcaste Uk 2001
gli anabolizzati breaks della cinematografia indiana.
PRESSURE DROP ARE BACK!




               Dopo tre lunghi anni d’attesa, i leggendari Blood Brothers, alias Justin Langlands e Dave Henley,
               meglio conosciuti come Pressure Drop, ritornano con la musica “per stare bene”. Il loro nuovo
               album, “Tread”, con MC Skibadee e la soul spiritual diva Vanessa Freeman, è il necessario
               appuntamento per capire lo stato della musica del nuovo millennio. Hip hop, reggae, breakbeat,
               colonne sonore, funky, jungle, disco, house e cultura dei bassi, sono gli elementi racchiusi nella
               musica dei PD, non in un frullato disomogeneo, ma dal loro personale e autorevole “point of
               view”. L’elaborazione degli elementi musicali di riferimento, traspare nel loro stile, ma quello
               che l’orecchio percepisce è vera e propria materia esclusiva d’alta espressione musicale. Il
               tributo all’hip hop, con “Funkee joint” ed “Hip hop fanatic”, diventa nelle loro mani un nuovo
               stile dancehall breakbeat ragga-jungle. Il solenne e toccante ”Spirit Shine” potrebbe essere la
               moderna colonna sonora di un colossal anni ’50 prodotto da Spielberg. “Rudeboy rhapsody”, è
               un’epico poema in musica, dedicato a Mikey Dread, ai sound system reggae, e alle origini black
               roots di tutta la musica odierna. Cantato dalla nuova soul lady del movimento “West London”,
               quella Vanessa Freeman, che c’incanta anche con la ballata soul jazz “Promises”.
               Il singolo “Warrior”, con l’armoniosa voce di Martin Fisher e le rime di MC Skibadee è in bilico
               tra la nuova UK Garage, il breakbeat d’ultima generazione, e la tradizione dei toaster giamaicani.
               Il frutto del lavoro degli ultimi tre anni di Dave e Justin, è veramente all’altezza delle aspettative.
               Dopo il cupo e profondo, ma bellissimo album del 1997 “Elusive”, Dave e Justin sono veramente
               provati dal logorio che sono costretti a subire per esprimere il loro estro creativo, sia come DJ
               che produttori. Freschi di contratto con la Sony/Higher Ground prendono armi e bagagli e si
               trasferiscono in quel paradiso brightoniano che li porterà tre anni dopo ad una depurazione
               completa di tutte le tossine.
Press Office




               Tre anni di ricerca interiore, di libertà d’espressione, di completo abbandono al proprio profondo
               istinto creativo porta J&D a scegliere il materiale perfetto per confezionare un album che li
               appaghi appieno.Infinite session in studio a scegliere campioni, a programmare batterie, a
               mettere a sano confronto le due anime oppost, ma convergenti dei due amici di sangue, a cantare
                                                                                                                         luca roccatagliati
insieme a Martin, Vanessa e Skibadee, per ottenere quel           MARCUS INTALEX & ST FILES: Drum’n’Bass come House.
giusto feeling che amalgami il suono, ha prodotto quella
gemma di album, il quinto, che porta il nome di “Tread”.          La scena drum’n’bass è entrata definitivamente nel nuovo millennio. A dispetto degli
Il quinto album, in ben dieci anni di onorata attività            iettatori, gode d’ottima salute. Il cuore del movimento è sempre stato nella mitica
discografica. Dagli esordi su singolo nel 1990, con “Feelin       Londra dei club, dei negozi di dischi e delle radio; solo Bristol, può vantare un’alternativa
Good” e “Back2Back”, che li porterà a pubblicare il loro          veramente valida al monopolio della capitale. La situazione, ora, si è evoluta, la
primo album “UpSet” nel 1991. “Upset” è un album che              geografia del drum’n’bass, dentro e fuori dell’Inghilterra si è allargata, generando
                                                                  nuova linfa, nuovi talenti e nuovi suoni. Essere periferici al cuore del business comporta
anticipa la musica che renderà famosi gruppi come Massive
                                                                  una fatica maggiore nel fare musica, tessere contatti, reperire dischi, ma questo
Attack o Morcheeba anni dopo. Troppo anti-commerciale             sforzo spinge l’artista ad una dedizione ed una competizione superiore. Sono nati in
per ciò che si ascoltava allora in Inghilterra, vide la luce,     questo modo alcuni outsiders del drum’n’bass come Source Direct, Hidden Agenda,
come il seguente album “Front Row” del 1993, solo in              TeeBee e Polar, capaci di avere uno stile personale, grazie al metabolismo soggettivo
Germania per l’etichetta Marlboro Music. La loro vena da          della sintassi. Nel corso del 2000, due tra i migliori talenti sono spuntati dalla parte
DJ’s eclettici, comprende musica brasiliana, dub, reggae,         nord occidentale dell’Inghilterra, più precisamente da Manchester, e sono i Future
                                                                  Cut e Marcus Intalex & ST Files.

                                                                  Marcus Intalex (Marcus Kaye), 28 anni e ST Files (Lee Davenport) 27, sono cresciuti
                                                                  con la cultura dell’house music e dell’hip hop, grazie al mitico club di Manchester
                                                                  “The Hacienda”. Marcus lavorava in un negozio di dischi e Lee era un suo cliente.
                                                                  Insieme ebbero la folgorazione allo storico Rage di Londra dopo un set di sei ore di
                                                                  Fabio e Grooverider. Insieme comprarono le macchine e si misero ad emulare i loro
                                                                  beniamini, grazie ai dischi reperiti da Marcus, ed insieme produssero a metà degli
                                                                  anni 90 un remix per l’etichetta di L Double (Flex), il seminale “I like it”, già con il
                                                                  caratteristico suono melodico, ma fuso con i beats potenti e rolling. La loro crescita
                                                                  artistica, procede lentamente e li porta ad assimilare sempre più tecnica e ispirazione,
                                                                  grazie all’innamoramento per la perfezione di Photek e Dillinja. Il lungo periodo di
                                                                  ricerca li spinge a sfruttare la passione per le atmosfere deep house, per creare uno
                                                                  stile che li potesse differenziare dagli allora drum’n’bass terrorists cupi e techno. A
                                                                  conferma della loro abilità, Doc Scott, propone a Marcus e Lee, di pubblicare per la
                                                                  31 Records due loro brani.
                                                                  Per chi non conoscesse questa etichetta culto, basti ricordare che pubblica solo due,
                                                                  massimo tre singoli ogni anno, da ormai quattro anni, con un catalogo solo di brani
                                                                  classici, se non fondamentali. Ogni singolo della 31 Records è atteso da tutta la scena,
                                                                  come un vero e proprio manifesto di ciò che sarà il suono del drum’n’bass per i seguenti
                                                                  mesi.

                                                                  Esce, quindi, alla fine del ’99 “The way you Make me feel”, ed il nome di Marcus
                                                                  Intalex & ST Files diventa familiare a Fabio, Grooverider, Goldie, Hype, Roni Size,
                                                                  Bryan Gee…Nessun DJ di drum’n’bass riesce a rimanere indifferente a questo suono
                                                                  misto d’atmosfere melodiche old school, felicemente misurate e miscelate al potente
                                                                  drum programming in bilico tra il moderno ed il classico. Nel corso dell’anno 2000, i
                                                                  due si sono concentrati sulla loro ricerca del suono soul, deep e musicale che ha
                                                                  regalato gemme a tutte le migliori etichette di drum’n’bass, e non solo. Il bellissimo
                                                                  remix dei nu school breakbeaters 2nd Thoughts, su Mechanoise, splendido cantato
rare groove e hip hop, policultura musicale, che li ha fatti      garage sui perfetti beats alla Digital, o il remix di “Just a vision” dei Solid State su
arrivare a comporre brani come “Unify” che anticiperanno          Renegade, altro incantevole esempio di come il soul si possa ballare a 180 bpm. A
la scena acid jazz e nu jazz degli anni a venire. Finalmente,     dimostrazione della loro attitudine melodica, esce per la Hospital un brano break-
gli amici e “fratelli” Leftfield fondano un etichetta, l’Hard     house, “Taking over me”, caldo ed atmosferico, molto vicino alla scena nu-jazz. Non
Hands che li accoglie per un altro fondamentale album             poteva mancare la grande offerta da parte di una major, come la Talking Loud, che
che porterà nuova linfa nella scena dance underground             affida a Marcus e Lee il remix di “Sincere” del nuovo astro 2 step MJ Cole: grande
inglese della metà anni 90: “Tearing the silence”, datato         remix in vetta alle classifiche per i singoli dell’anno di tutti i Dj’s di drum’n’bass del
                                                                  globo. Ormai, lo stile deep soul, di matrice house coniato da Marcus Intalex & ST Files,
1995. Comicia la loro discesa agli inferi, nel periodo di
                                                                  rappresenta la corrente principale nella quale si buttano a capofitto le migliori e
massimo fulgore del big beat e drum’n’bass, scoppiato in          storicamente più “cattive” etichette D&B, esce così “Moonwalk” per la Renegade
maniera fragorosa in tutto il mondo: la Sony assorbe i            Hardware e “Universe” per la
Leftfield e la loro etichetta con tutti gli artisti. Colpiti al   Metalheadz di Goldie. Come disse
cuore dal suicidio di un loro carissimo amico, Dave e Justin      Peshay, abbiamo bisogno di queste
realizzano quel capolavoro di malinconia e pathos che             atmosfere nel drum’n’bass, dobbiamo
porta il nome di “Elusive”. Il business li schiaccia, la          riportare la felicità nel dancefloor,
Londra dei clubs e della nuova musica di fine millennio           occorrono le melodie, e non solamente
diventa troppo scomoda per l’anima artistica e sensibile          suoni elettronici cupi e deraglianti.
                                                                  La lezione è oramai appresa da tutta
dei due.
                                                                  la scena (vedi J Majik con “Love is
La fuga sulla costa e la rinascita fino al nuovo e maturo         not a game”), che in modo molto
“Tread”.                                                          maturo cerca di incontrare la gente
Tread, significa percorrere, camminare, danzare,                  con il pop delle canzoni usando la
accoppiarsi con; significa ciò che veramente cercavano i          moderna sintassi del basso e della
                                                                                                                                                                  knowledge




Nostri due eroi, cioè la vita, la loro vita vera, che va          batteria programmati; citando lo
percorsa cercando di coglierne gli aspetti migliori.              stesso Marcus Kaye “try and find your
                                                                  groove that will make people move”.
PRESSURE DROP
“tread” (higher ground-2001)
                                                                       luca roccatagliati
Requiem for a Dream
Diretto da Darren Aronofsky
Scritto da Aronofsky e Hubert Selby Jr.
Distribuito da Artisan (2000).
Interpreti: Ellen Burstyn (Sara Goldfarb), Jared
Leto (Harry Goldfarb), Jennifer Connelly (Marion
Silver).




 Marcio, marcio fino al midollo. Un pugno nello
 stomaco, un gancio sulla mascella, una colpo di
 spranga sulla nuca. Aronofsky non chiede scusa.
 Ne’ permesso. Viaggio allucinante nei bassifondi di
 una societa’ drogata. Il sogno del titolo sinonimo
 di follia. Incubi, maledizione, altro che l’innocua
 narcolessi di River Phoenix in My Own Private Idaho.
 Allucinazione perversa e pervertita. Delirio di
 immagini suoni. Esperienza cinematografica che
 lascia il segno[sogno]. Viscerale videoclip – split
 screen multipli, fast motion, slow motion, stop
 motion, zoom – che accompagna il musical score
 di Clint Mansell barra Kronos Quartet. Intenso come
 il lavoro di Dust Brothers per Fight Club. Dunque,
 tour de force audio-visuale. A differenza di Snatch,
 qui c’e’ polpa. E che polpa. Secondo adattamento
 di un romanzo di Hubert Selby Jr. dopo l’altrettanto
 angosciante Last Exit To Brooklyn (Ulrich Edel,
 1989), l’opera seconda del wunderkin Darren
 Aronofsky (Pigreco. Il Teorema del Delirio, 1999)
 impone una visione. Ipnotizza. Mesmerizza.
 Trainspotting piu’ Christiane F. con qualche petalo
 di Magnolia sparati nelle vene. Insano. Malsano.
 Siamo a Brighton Beach, New York. Jared Leto, ex-
 modello di Calvin Klein, gia’ massacrato da David
 Fincher in cantina, e’ Harry Goldfarb (non
 Goldfrapp), sottile e fragile come un’ago. E poi
 c’e’ Marion (Jennifer Connelly), la fidanzata, vuole
 aprire una big boutique, ma non ha soldi. E poi c’e’
 la madre Sara che ingolla pasticche. Vuole dimagrire
 per partecipare a Month of Fury, la televendita di
 Tappy Tibbons (Christopher McDonald). “Be! Excited!
 B! E! Excited!". E poi c’e’ il compagno di merenda
 Tyrone (Marlon Wayans). Vorrebbe impossessarsi
 del mercato della droga, ma fara’ la fine di Kitano
 (Brother). La’ Los Angeles, qui New York: cambiando
 l’ordine degli addendi, il risultato non cambia. Gia’
 perche’ nessuno e’ piu’ in controllo. Il telecomando
 non funziona. Requiem for a Dream Precipitare
 nell’abisso. Requiem for a Dream Meno di zero,
 Ellis Easton Bret insegna. Requiem for a Dream Non
 digrignare i denti, per favore. Le pupille si dilatano.
 Le pupille si restringono. Requiem for a Dream
 Cocaina uguale pastiglie uguale televisione: la via
 che conduce alla distruzione. Requiem for a Dream
 Biglietto di sola andata. Ultima uscita l’inferno.
 Requiem for a Dream Malati di immagini. Nella
 societa’ dello spettacolo siamo tutti attori
 goffmaniani. Requiem for a Dream La televendita
 e’ l’unica dimensione ontologica possibile. Requiem
 for a Dream Sotto pressione per centodue minuti.
 Solitudine. Iperventilazione. Caos. Entropia. Agonia.
 Requiem for a Dream L’incubo americano, smerciato
 per pochi centesimi nelle bancarelle. Finire sbranati
 da un frigorifero. Requiem for a Dream violenta
 l’occhio dello spettatore con un vibratore di mezzo
 metro. Aberrante. Amfetaminico. Aronofsky.
 “Be! Excited! B! E! Excited!"

 links: www.requiemforadream.com (merita)


      matteo bittanti
Al centro della riflessione sigismondiana
                                                                                                                                                                                             troviamo la dimensione onirica, il gusto
                                                                                                                                                                                             per il macabro, la morte e l’eccesso.
                                                                                                                                                                                             L’elemento liquido – vasche da bagno,
                                                                                                                                                                                             acqua, piscine - ricorre ossessivamente: e’
                                                                                                                                                                                             il modo attraverso il quale Sigismondi, che
                                                                                                                                                                                             ha rischiato di morire annegata in gioventu’
                                                                                                                                                                                             , esorcizza il suo demone-trauma. Un altro
                                                                                                                                                                                             leit-motiv e’ la religione, riconducibile alla
                                                                                                                                                                                             rigida educazione cattolica ricevuta. Nelle
                                                                                                                                                                                             sue produzioni iconografiche compaiono
                                                                                                                                                                                             crocifissi, martiri, suore e preti. Dall’unione
                                                                                                                                                                                             delle categorie del sacro (rappresentata
                                                                                                                                                                                             dalla madre cattolica) e del profano (il
                                  Androgini, alieni, creature sintetiche popolano i video di Sigismondi.                                                                                     padre ateo) scaturisce un’estetica a meta’
                                                                                                                                                                                             tra il blasfemo e il sadomaso. Sessualita’
                                                                                                                                                                                             malata, perversa, patologica, quasi
                                                                                                                                                                                             barkeriana. Nei video di Sigismondi
FLORIA SIGISMONDI                                                                                                                                                                            confluiscono stili e soluzioni riconducibili
                                                                                                                                                                                             ad artisti come Francis Bacon, Hans Belmer,
L’orrore... L’orrore                                                                                       Floria Sigismondi nasce a Pescara        Plant, Page e Sheryl Crow. Nella
                                                                                                                                                                                             David Lynch, Joel-Peter Wilkin, Tim Burton,
                                                                                                                                                                                             Roman Polanski, David Cronenberg, e
                                                                                                           nel 1965 da una coppia di cantanti       seconda meta’ degli anni novanta,        Federico Fellini, Robert Wiene (Il Gabinetto
                                                                                                           lirici, ma all’eta’ di due anni lascia   si dedica anche alla pubblicita’ e       del Dr. Caligari, 1919). Seguendo l’esempio
                                                                                                           l’Europa per Hamilton, Canada.           dirige una serie di spot per agenzie     di Dario Argento, la Sigismondi dorme poco:
“Il corpo in decadimento e’ cio’ che ognuno sente quando e’ vivo”                                          Studia disegno ed arti illustrative      come TBWA/Chiat/Day, The                 l’artista ha piu’ volte dichiarato di privarsi
(FLORIA SIGISMONDI)                                                                                        presso l’OCA (Ontario College of         Partners' Film Company (Canada) e        volontariamente del sonno al fine di
                                                                                                           Art and Design) di Toronto. La           British Believe Media (Stati Uniti).     raggiungere uno stato mentale simile al
Corpi amputati. Smembrati. Putrefatti. Deformi. Sfigurati. Grotteschi. Mutanti. Mostri.                    passione per la fotografia la spinge     Tra i piu’ celebri segnaliamo quelli     nirvana.                                                      Corpi violati, corpi-oggetto, terreno di sperimentazione
Sigismondi – come Chris Cunningham, piu’ di Chris Cunningham - mette in scena una corporeita’              ad abbandonare la tela per la            per Shopper's Drug Mart (Opera           Un nirvana da incubo.                                         e di tortura, luoghi della contraddizione
mostruosa. Una poetica che e’ allo stesso tempo post-umana e anti-umana.                                   pellicola. Ancora fresca di laurea,      Singer), Adidas (Cynics), 3DFX ed
La pruduzione dell’artista canadese si colloca al punto di intersezione tra due culture profondamente      la ventiquattrenne Sigismondi si         Eaton. In Cynics, il giocatore dei
differenti: quella classica – evidente nei suoi costanti riferimenti alla mitologia greca e alla                                                                                                                                                           redenzione
                                                                                                           aggiudica il prestigioso National        Lakers Kobe Bryant viene attaccato                                                                     Nel 1999, Die Gestalten Verlag pubblica Redemption,
tragedia – e quella post-moderna, contraddistinta dal rifiuto per l’armonia, il che si traduce,
                                                                                                           Magazine Award. Realizza                 da orde di insetti di kafkiana                                                                         una raccolta di immagini – fotografie e still tratti dai
narrativamente, nel rifiuto per una diegesi tradizionale, innocua e lineare. Ne risulta un maesltrom                                                                                                                                                       video – realizzate da Floria Sigismondi. In copertina
                                                                                                           copertine degli album di band            memoria.
di immagini deliranti dal quale emerge una fascinazione perversa per i mostri generati dal sonno                                                                                                                                                           David Bowie, il volto coperto da una calza color carne,
                                                                                                           alternative, pubblicita’ per Coca        Sigismondi incarna l’archetipo                                                                         una smorfia al posto della bocca. Duecento pagine
della ragione. Come Medusa, Sigismondi possiede uno sguardo che impietrisce lo spettatore.
Partorisce personaggi a meta’ tra l’umano il diabolico: angeli sterminatori, dittatori fascisti,           Cola e Converse. Quindi, dietro          dell’artista completa: cantante di                                                                     permeate da un oppressivo senso di putrefazione e
                                                                                                           richiesta Don Allan della casa di        musica lirica, fotografa, scultrice,                                                                   decomposizione, vecchiaia e morte, vivisezioni e
anime tormentate, angosciate e angoscianti. Visioni bizzarre e raccapriccianti, simili a quelle                                                                                                                                                            squartamenti. L’estetica dell’aberrante. Fotografie
del serial killer di The Cell (diretto, non a caso, da un altro grande regista di video musicali,          produzione Revolver Films,               regista di video musicali e web                                                                        angoscianti marcate da contrasti cromatici che
Tarsen Singh). Immagini che corrodono le pupille.                                                          comincia a cimentarsi con video          designer. I suoi lavori sono stati                                                                     ritraggono bambole impiccate, mani che spuntano dal
Sigismondi sta a Marylin Manson come Mills sta ad Air e Cunningham ad Apex Twin: binomi i cui              musicali. Realizza clip per gruppi       esposti nelle gallerie piu’ importanti                                                                 volto di una donna, teste sospese nella formaldeide.
                                                                                                                                                                                                                                                           Immagini che fanno “sensation”: siamo dalle parti di
termini si esaltano e si completano vicendevolmente. Il sodalizio tra l’artista canadese e il              canadesi come Pure, Victor, 13           del mondo, tra cui la John Gibson                                                                      Damien Hirst e Hermann Nirsch.
principe del gotico americano ha prodotto frutti dal sapore gustosamente rancido. Hubris e                 Engines, Harem Scarem e The Tea          Gallery di Manhattan e Institute of
pathos, eros e thanatos. In the Beautiful People (1997), Manson e’ una sorta di gerarca nazista            Party (Certain Saint of Light, Save      Contemporary Arts di Londra. Nel               matteo bittanti
circondato da demoni decaduti che si muove in uno scenario allucinante, popolato da vermi e                Me, The River). Rimane                   settembre del 2000, la svolta
apparecchi di tortura. Vasche come feretri, bulbi oculari che galleggiano nelle tazzine del caffe’,        impressionato dal suo gusto per il       digitale: Sigismondi “dirige” I’ve
protesi a meta’ tra il meccanico e l’organico. Il gusto per il disgusto e’ evidente anche nel secondo      gotico nientemeno che Marylin            Seen it All di Björk, uno dei primi      videografiaessenziale
video di Manson, Tourniquet, nel quale il controverso artista si produce in una (in)dimenticabile          Manson, che le commissiona due           webeo (leggi: video interattivo) per
depilazione dell’ascella. Il modus operandi sigismondiano prevede l’inserimento - spesso nel               video, The Beautiful People e            il sito di MTV. A questo va ad           Our Lady Peace “The birdman”                          1994
background - di un personaggio che si muove in modo disarticolato, inumano, come fosse in preda            Torniquet. Anche grazie alla             aggiungersi la collaborazione con        Marilyn Manson- "Tourniquet"                          1996
di un devastante attacco epilettico. La stessa tecnica usata da Lyne nel sottovalutato Allucinazione       splendida fotografia di Chris Soos,      artisti come Amon Tobin e God            Marilyn Manson- "Beatiful People"                     1996
Perversa.
                                                                                                           le sue creazioni ottengono               Speed You Black Emperor, che si e’       Catherine-"Four Leaf Clover"                          1996
Mostri, dicevamo: in She Makes Me Wanna Die, Tricky – il cui volto gia’ di per se’ inquietante
                                                                                                           immediatamente una serie di              tradotta in produzioni video
viene ulteriormente deformato dal make-up – e’ un demone dalla lingua biforcuta. Nel video,                                                                                                  Pure "Anna"                                           1996
                                                                                                           riconoscimenti. E’ la                    interamente digitali. L’artista
Martina e’ sdraiata in una vasca piena di serpenti. In un’altra scena, il suo                                                                                                                Filter feat. Crystal Method - "Can You Trip Like I Do" 1997
volto e’ coperto da un velo nero. Alla fine, la vediamo trasformata in un                                  consacrazione. Sigismondi lavora         canadese sta attualmente lavorando
                                                                                                                                                                                             Tricky- "She Makes Me Wanna Die"                      1997
Medusa.                                                                                                    in seguito con artisti come Dawid        alla sceneggiatura di un film sulla
                                                                                                           Bowie, Barry Adamson, Tricky,            Dalia Nera, le cui riprese               Fluffy “Black Eye”                                    1997
Mostri, dicevamo: In una sequenza del clip di Dead Man Walking, un Bowie
                                                                                                                                                    cominceranno quest’anno. Floria          David Bowie "Dead Man Walking"                        1997
caduto sulla terra, invecchiato, imbruttito, malato, sordo e cieco, grida
il suo dolore straziante con la stessa intensita’ dell’Urlo munchiano. Il                                                                           Sigismondi vive tra New York e           David Bowie "Little Wonder"                           1997
Little Wonder e’ una sorta di manichino post-espressionista che si muove                                                                            Toronto.                                 Sarah McLachlan “Sweet Surrender”                     1998
in una New York da incubo, le cui stazioni della metropolitana sono infestate                                                                                                                Page and Plant “Most High”                            1998             nota: Le immagini di queste pagine sono tratte
da creature grottesche.                                                                                                                                                                      Barry Admason “Can’t Get Loose”                       1999             dal libro Redemption (Die Gestalten Verlag ,1999)
Mostri visibili e invisibili, per parafrasare Chuck Palaniuk.                                                                                                                                Sheryl Crow “Anything But Down”                       1999             e dal sito www.floriasigismondi.com
                                                                                                                                                                                             Amel Larrieux “Get Up”                                1999             © all rights reserved
SPACER
 2001 ODISSEA NELLO SPAZIO                                                                             www.pussyfoot.co.uk



L’uomo dello spazio, l’astronauta esploratore perennemente          dichiarato è quello di contribuire, in prima persona,
in viaggio tra le galassie più lontane e recondite dell’universo    all’evoluzione del suono downtempo della Pussyfoot, di
è finalmente atterrato, con la sua astronave, sul nostro            diretta derivazione dall’hip hop astratto e strumentale.
pianeta.                                                            Quando, nel 1997, uscì il suo secondo album, Sensory
Scherzi a parte, per certi versi, la musica di Spacer sembra        Man, Straight No Chaser definì la musica di Spacer come
veramente provenire da un altro mondo, da una dimensione            una suggestiva fusione di free jazz ed electro, con tanto
parallela difficile da penetrare. Non è un’impresa facile,          di bassi esplosivi e scrosci di pianoforte e vibrafono, capace
infatti, avvicinarsi alle sue sonorità, all’apparenza scontrose     di suscitare forti tensioni emotive, grazie anche agli
e inquietanti, ed è necessario più di un ascolto prima di           arrangiamenti orchestrali, comprendenti linee melodiche
lasciarsi, definitivamente, conquistare dalle sue ingegnose         di violino di Bernard Hermann.
architetture sonore.                                                Stregato da un pezzo storico di Herbie Hancock, Rock It,
Tra tutte le giovani promesse cresciute all’interno di quella       grazie al quale percepì, per la prima volta, il potere della
preziosa fucina di talenti che è la Pussyfoot, Luke Gordon          musica elettronica, dopo avere preso qualche lezione di
(aka Spacer) è una delle più interessanti. Su di lui, Howie B,      basso, Luke Gordon cominciò la sua carriera musicale
che - insieme a Ian Simmonds - l’ha praticamente tenuto a           come ingegnere del suono dei Sandals, la band acid jazz
battesimo, ripone floride speranze. Per questo motivo, quando       di Ian Simmonds.
si è trattato di selezionare un compagno per la sua lunga           Con lo pseudonimo di Fat, nel 1993, insieme al collega
tournée italiana, svoltasi pochi mesi fa, il dj produttore          Pete Hofmann, pubblicò Dew in June che, in realtà con
scozzese non ha avuto dubbi e lo ha convocato senza esitare         il numero di catalogo 001, costituisce anche il debutto
un solo secondo.                                                    discografico della Pussyfoot.
Recentemente, inoltre, Spacer è stato scelto anche                  Al suo primo disco Atlas Earth, uscito poco tempo dopo,
dall’emittente satellitare Channel 4, come protagonista di          una suggestiva combinazione di complessi tappeti ritmici
un documentario, dal titolo Next Generation, comprendente           elettronici con avanzate sperimentazioni sonore, partecipò
più episodi, tutti quanti dedicati ai giovani talenti britannici.   il fedele compagno Juryman. I due si spinsero, però,
Una troupe televisiva lo ha così pedinato, senza sosta, per         oltre. La collaborazione con Simmonds, infatti, si trasformò
più di due mesi, riprendendo i sui dj set, i suoi live e le fasi    ben presto in un vero e proprio laboratorio musicale, dal
di registrazione del suo terzo album, The Beamer, la cui            quale fuoriuscì un album firmato da entrambi: Mail Order
uscita è programmata per la fine di febbraio.                       Justice.
Come se non bastasse, in novembre, ha partecipato al Racing         A Sensory Man, datato 1997, parteciparono Alison Goldfrapp
Green London Jazz Festival, nel corso di una serata, chiamata       alla voce, Chris Bowden al sassofono, Max Moore alle
The State Of The World, a cui hanno preso parte anche               tastiere, Tim Weller alla batteria e, ancora una volta,
Badmarsh & Shri ed il sassofonista Andy Sheppard. In                Ian Simmonds al basso.
quell’occasione Spacer è salito sul palcoscenico della Royal
Festival Hall, di Londra, addirittura insieme ad un orchestra
di 18 elementi, diretta da Andrew Skeet. Iniziata con Houston,
brano dalle suggestioni orientaleggianti, uno degli episodi
migliori del suo ultimo disco, la performance ha preso
definitivamente il volo con Contrazoom, Atlas Earth (dal
suo omonimo primo album) e Smile, ouverture di The Beamer.
Pochi mesi prima, Luke Gordon aveva dato vita alle prove
generali dello stesso progetto, Spacer vs. The Orchestra,
sulla coperta di un battello sul fiume Tamigi.
La caratteristica estetica di Spacer è proprio quella di
sovrapporre, ad un drum programming spezzato, solenni
interventi orchestrali, che contribuiscono ad aumentare la
tensione drammatica della sua musica. Tutto è cominciato
quasi per gioco, campionando estratti sonori provenienti dai
dischi dei genitori, appassionati di opera e musica classica,
sovrapponendoli, poi, a beat e loop elettronici. L’obbiettivo       SPACER
                                                                    “the beamer” (pussyfoot-2001)



                                                                        Michele Sotgiu                       stefano camellini
BILL LASWELL & TALVIN SINGH: TABLA BEAT SCIENCE

 Scienza del ritmo
 e tecnica della cedevolezza                                                                                                 fabrizio tavernelli




Ascolto questo ennesimo progetto concepito ed organizzato dall’ubiquo Bill Laswell in
compagnia di vecchie e nuove conoscenze asiatiche: Zakir Hussain, Ustad Sultan Khan, Talvin
Singh, Trilok Gurtu, Karsh Kale. Assimilo e mi appresto a scrivere. Batto il primo tasto
della tastiera del computer ed ecco materializzarsi una serie di immagini apparentemente
casuali pescate qua e là dai miei neuro-recettori.
Prima apparizione: pachidermi in lento movimento tra il caos organizzato di una
metropoli asiatica. Elefanti urbani che non vengono più impiegati nel trasporto di
legname (le foreste scompaiono) ed ora si ritrovano a vivere ai margini delle città.
Confusi tra il debole richiamo alla selvaticità e l’abitudine agli umani. Stacco.
Controtempo.
Sequenze sospese dal film Matrix, quando per un attimo eterno si può fermare
il tempo ed osservare la vera realtà delle cose. Mentre tutt’intorno la vita
scorre frenetica e senza senso, la concentrazione permette di captare le
microframmentazioni quantiche di energia. Stacco. Nutrimento per il cervello.
Pak Indian Store, a Correggio come altrove. Lo spirito di adattamento e
intraprendenza degli asiatici è allo stesso tempo discreto e stupefacente.
Una contaminazione che parte dal gusto, dall’aroma per giungere a concetti
filosofici. Stacco. Altra immagine. Migliaia di pellegrini si bagnano nel fiume
sacro: il Gange. Il senso mistico-religioso convive con la modernità ed instaura
un rapporto simbiotico perfettamente funzionante. Alla figura del Guru si
sovrappone quella di un tecnico informatico o di un manipolatore di files musicali.

Scienza della conoscenza, scienza dei numeri, scienza del ritmo. I giovani indo-
pakistani sono i più capaci ed esperti conoscitori del linguaggio binario dei computers,
probabilmente il loro credere alla malleabilità li farà prosperare nei regni della new-
economy digitalizzata. Vincerà la “tecnica della cedevolezza” come sistema di autodifesa.
Perché l’armonia, la gentilezza e la morbidezza possono controllare la forza. Meglio controllare
la potenza di un assalitore sfruttando la sua stessa forza a proprio vantaggio. La vera forza
è nella cedevolezza di fronte all’attacco e successivamente la propria armonia e scioltezza
nella forza di reazione.
Un medico giapponese, tal Shirobei Akiyama, intuì l’efficacia della tecnica della cedevolezza
osservando dei salici. Un salice nelle abbondanti nevicate flette i rami a tal punto da scaricare
il peso della neve , a differenza di altri alberi dritti e rigidi che finiscono spezzati sotto il
peso di questa. C’è poi un concetto Zen che dice di non aggrapparsi, di non resistere, ma di
lasciarsi scorrere e farsi trascinare dalla corrente della vita. Ed ecco la cedevolezza, l’elasticità
delle tablas, percussione basilare della musica indiana, che trae il suo suono dalle pressioni
e sollecitazioni delle dita e del palmo della mano su pelli accordate . La tabla-basso in
particolare si flette sino a raggiungere tonalità così basse da competere con gli infrabassi
elettronici. Ma come già detto non si tratta di una sfida, ma di una botta e risposta, di un
colloquio tra le sincopi dei virtuosi maestri tablisti e il continuo spezzarsi e ricomporsi dei
breakbeat.
Tabla’n’bass: sfruttare la potenza digitale a proprio favore. I tablisti Zakir Hussain e Trilok
Gurtu grazie alla loro tecnica hanno nel tempo trovato una nuova armonia con i suoni generati
dai circuiti elettronici, l’evoluzione di questo connubbio è oggi incarnata da un personaggio
come Talvin Singh. Il beat si trasforma in bit.
Il suono è in perenne trasformazione e gli uomini del suono delle nuove generazioni asiatiche
sono quelli più preparati ad accogliere la nuova ondata. Bill Laswell, come altri musicisti
occidentali che hanno fatto propria la filosofia del nomadismo musicale, ha quindi indirizzato
i suoi interessi verso quella parte di mondo che ha come nuovi centri di energia Bombay,
Delhi, Madras, Mumbai ed ha alimentato il cortocircuito tra la tradizione musicale indiana
e la new asian breakbeat nata in metropoli multirazziali come Londra. Spostare continuamente
la propria visione, il punto di vista, cambiare tempo e cadenza, applicare la tecnica della             TABLA BEAT SCIENCE
cedevolezza. Adventures in electro-acoustic hypercussion. La scienza del ritmo è in buone               TALA MATRIX (Axiom - uk 2000)
mani.
TALA MATRIX
Mio padre era un fanatico delle tablas. Diceva
sempre a mia madre che andava di sotto a lavorare.
Ed io appiccicavo l’orecchio allo scivolo della
biancheria sporca che finiva giù nella lavanderia




                                                                                                                                                              traduzione di letizia rustichelli
ed ascoltavo i suoni prodotti dai tapperware che
usava come tabla e banja, modificati dal metallo
dello scivolo. Questa è stata la mia prima esperienza
da ragazzo americano sui ritmi della mia terra
natia. Ho finito per credere che tutti gli uomini
indiani in un modo o in un altro suonassero le
tablas. Questo perché se sei indiano e capisci la
storia profonda di questo strumento sai che stai
ascoltando il suono del tuo cuore, e non puoi fare
a meno di tamburellare con le dita. Hazrat Amir
Kushro nemmeno nei suoi sogni più selvaggi, poteva
immaginarsi (mentre tirava la pelle di capra sui
tamburi) che avrebbe dato vita ad una discendenza
tanto potente.
Molti di noi, in America o in altri posti lontani
dall’India, hanno sperimentato una grande varietà
                                                           mondiale. La scienza musicale degli indù segue un ritmo di 16 battute e si congiunge con le
di situazioni partendo dall’ascolto delle tablas (…)
                                                           onnipresenti basse frequenze ambientali fino a creare con tale combinazione la musica jungle
non importa dove si trovassero, restava comunque
                                                           nella sua più profonda essenza per poi estendersi fino all’hardcore. Il suono delle tablas,
la consapevolezza che quello era il suono del
                                                           anche inserito nella musica elettronica, ricorda ai nostri giovani chi sono e da dove provengono
battito del cuore.
                                                           culturalmente, in un modo che è allo stesso tempo semplice e complesso – proprio come essi
E’ generalmente noto tra i suonatori di tablas che
                                                           percepiscono la loro natura (…).
ci sono alcune persone che (più per grazia divina
che per un forsennato allenamento) sanno suonare
                                                           Tradizionalmente le tablas sono per solo accompagnamento. Ma… all’interno del ciclo delle
meglio di altre, ma questo non crea rotture tra
                                                           16 battute (al quale si deve aderire con assoluta precisione) si crea lo spazio per 4 note
loro. Con nessun altro strumento in India esiste
                                                           aperte e libere. Ed è proprio in quell’area che il suonatore di tablas può rivelare tutta la sua
una tale fratellanza tra gli artisti. Ogni suonatore
                                                           capacità artistica – una finestra dalla quale può volare via, ammesso che sia poi in grado di
ha una sua storia personale su cosa gli ha permesso
                                                           rientrare con perfetta chiarezza, precisione e puntualità. Questo “spazio” è anche il luogo
di ascendere dall’essere un “musicista medio” ad
                                                           in cui l’ascoltatore si apre allo “spazio di mezzo” del mondo, dove si è in grado di incontrare
un “ustad” o maestro d’arte in crescita. Dico “in
                                                           coscienza e cultura. A questo punto entriamo in contatto con i nostri sentimenti più oceanici
crescita” perché nessun musicista di tablas si
                                                           e ci ricordiamo che esistiamo non solo a Bombay,
considera un vero maestro - c’è troppa fratellanza
e rispetto per tutti gli altri. Ogni suonatore ha il
suo proprio “gharana” o tecnica etnografica. Queste
diverse tecniche sono fieramente salvaguardate,
come la riverita “punjab gharana” che usa il terzo
dito (il medio) in maniera differente per creare
note speciali, o il rituale esoterico e mistico “chilla”
che richiede di suonare per 40 giorni consecutivi
per irrompere tramite la tecnica in una dimensione
divina, o infine, il “Brooklyn gharana” che si impara
da soli a New York, e lo si suona maledettamente
bene!

Ci sono molte definizioni su come il suono delle
                                                                                                                                                                         foto di stefano camellini




tablas debba essere interpretato e letto (per
esempio potrebbe rappresentare il dialogo tra
uomo e donna o il sopracitato battito cardiaco).
In ogni caso uno degli effetti più profondi che il
suono delle tablas ha prodotto è di aver messo
sotto il riflettore la musica giovanile del sud
dell’Asia ed averla integrata alla musica elettronica
Il giornalista inglese David Toop, in un suo
                                             intervento in Internet, si riferisce alla tua figura
                                             d’artista come l’archetipo del musicista del 21
                                             secolo. Ti senti tale? Quanta consapevolezza c’è
                                             nella tua arte del “futuro venturo”?
                                             Ringrazio David Toop per la definizione. E’ un
                                             giornalista che stimo molto. Archetipo del musicista
                                             del 21 secolo? Bisogna capire cosa sarà la musica
                                             del nuovo secolo e quali saranno i suoi sviluppi.
                                             La Musica è Potenza. Dialoga direttamente con
                                             l’individuo, saltando intermediazioni frivole ma
                                             pure altre Potenze. Razza, ideologie, religioni,
                                             nazioni: la Musica può unire perché è
                                             comunicazione. Dobbiamo pensare la musica come
                                             un sistema aperto. I musicisti del XXI secolo mi
                                             piace definirli “identità non identificabili” perché
                                             costretti a ridefinirsi rispetto alle determinazioni
                                             in essere. Quando studiavo tabla in India ero
                                             considerato straniero, un inglese. In Inghilterra
                                             sono considerato indiano. A quale paese appartengo?
                                             E’ stato a questo punto che ho accettato la mia
                                             non identificabilità. Non è stato facile. Ora vivo
                                             metà dell’anno a Bombay, l’altra a Londra. Come
                                             musicista penso l’attualità, non il futuro. Cerco
                                             di decodificare l’attualità e la società nella quale
                                             vivo attraverso la continua ridefinizione di me
                                             stesso. Ecco una caratteristica del musicista




        TALVIN SINGH: spirito asiatico




        Intervista di
        Letizia Rustichelli e Paolo Davoli
        Reggio Emilia 18 Settembre 2000

        foto di stefano camellini


0   1
moderno: abitare la ridefinizione, essere capaci di rigenerarsi…
Ti ritieni avvantaggiato rispetto ai tuoi coetanei, grazie alla bidimensionalità culturale che ti appartiene?
No, non particolarmente perché ci sono periodi storici responsabili di ciò che io chiamo “terribile energia”.
Periodi fecondi dal punto di vista artistico in cui il musicista deve posizionarsi rispetto alla brusca accelerazione
storica. Ora viviamo questo tempo, di terribile energia. Il mio primo lp, “Calcutta Cyber Cafè” del 1996
registra appunto questa densità energetica sprigionatasi nei club londinesi. E’ un album che suona molto drum
and bass, una forza esplosa proprio in quel periodo. Nel mio secondo lp, “Ok”, c’è una foto interna del mio
studio, il Calcutta Cyber Studio. Pensavo di replicare alla truce iconografia del rock, con le loro pose “macho”
con giubbotti di pelle e capelli lunghi. La foto del mio studio, con computer, cavi, jack, campionatori, prese
e floppy e dat significa questo: ecco la mia band. Ogni jack, ogni cavo rappresenta l’innesto di una cultura
nell’altra. Ogni interfaccia midi significa che io posso navigare attraverso le culture, rompendo tutte le
barriere, anche spaziali, che ci dividono.

Riesci meglio di altri a proporre un meta racconto del presente.....
Frequento una linea, la “linea di sorpresa”. E’ oltre la prima linea. Una linea, quella di sorpresa, sempre in
movimento. La sposto di volta in volta. Per
questo vengo continuamente attaccato. Per
la mia vittoria al Mercury Prize, sono stato
accusato di aver comprato la giuria. Sulla
stampa inglese sono stato attaccato
frontalmente. Se un asiatico vince è perché
bara. Ci sono ancora molte barriere che
dobbiamo oltrepassare per farci accettare.
Cerco di resistere al potere, di sottrarmi.
Possibilità d’esistenze diverse, questo è il
mio metaracconto. Quando ho presentato
un primo master del mio lavoro, un
presidente della casa discografica mi ha
detto “Ma dov’è la strategia?” Ed io, ingenuo,
che credevo che gli interessasse la musica!
Quindi all’appuntamento successivo con Chris
Blackwell della Island, ora Palm Pictures,
sono entrato dicendo: “Eccomi qui ho il plot,
la strategia” e Chris guardandomi sorpreso:
“ Ah, credevo mi avessi portato della
musica…” Firmai immediatamente con lui.
Ecco non bisogna mai arrendersi al presente
e lasciarsi sempre una linea di fuga, la mia
linea di sorpresa.
Dei tempi di Anokha, nel 1997, cosa è rimasto
nella clubland londinese?
                                                                                                                        WWW.TALVINSINGH.CO.UK
Anokha è sempre stata unica. Una serata affascinante ed indimenticabile. Ancora oggi riscuote gran successo:
al Fabric all’ultima residenza c’erano 3000 persone... e questo significa molto per me e per tutti quelli che
ci hanno creduto dall’inizio, quando era una piccola serata al Blue Note di lunedì sera. L’ho voluta di lunedì,
perché è la sera più difficile. Non per sfida bensì perché volevo che la gente uscisse per vedersi e socializzare
al di là della musica. A Londra, in questo periodo, tutti i club cercano di capitalizzare dal punto di vista
economico. A me non interessa, cerco viceversa di ritrovare l’atmosfera delle prime serate Anokha, quella
“terribile energia” di cui parlavo prima.

Alcuni artisti anglo indiani hanno contestato la definizione “Asian Underground”… la nuova raccolta di
Anokha 2001 che dovrebbe vedere la luce entro fine anno, propone ancora tale definizione?
Non so se la conterrà ancora ma preferisco non commentare questo atteggiamento. Non volevo creare nulla
che potesse o che dovesse poi essere capitalizzato, semplicemente volevo far interagire la nostra cultura e
la nostra musica con quella della società in cui viviamo. Un’atto di contaminazione consapevole e una sfida
alla passività della comunità indiana, dopo anni di “underground”.....Credo che aver convinto dei ragazzi a
suonare, ad esporsi in prima persona, a produrre musica, a fare i dj, ad essere degli artisti, sia stato un atto
importante e fondamentale nella loro vita. “Asian Underground” era una definizione, ecco tutto!! Mal che
vada sarà solo un’altra sezione nei negozi di dischi....
www.talvinsingh.co.uk




Arretriamo di fronte a tale altezza. Scriviamo una sola parola: capolavoro.
Decifrare, spiegare significa soprattutto diluire il significato in un mare di parole, spesso
inutili. Come spiegare la magia sprigionata dal secondo album di Talvin Singh?
Ciò che di buono potevamo aspettarci dalla nuova opera dell’anglo-indiano, qui viene
riconfermata e anzi ingigantita. Il precedente album “Ok” ha vinto il Mercury Prize: questo
dovrebbe vincerne due!
Questo è un album dalla Contemporaneità imprescindibile e mostra con chiarezza come
le frontiere della Modernità tout court abitino, per ora, a Bombay e non più a New York,
Parigi o Tokio. Non c’è che dire, un bella torsione prospettica....

Il Calcutta Cyber Studio di Talvin Singh vola sopra ai mondi, incurante di confini, epoche,
lingue, governi. Diviso tra Bombay e Londra il futuribile studio ingloba il meglio della
scienza del breakbeat londinese – il drum and bass e tutta la nu school breaks innanzitutto
– per ibridarla con la millenaria tabla beat science, stupendamente illustrata anche nel
recentissimo albo della Axiom di Bill Laswell, intitolato appunto “Tala Matrix”. Il nuovo
“HA” mostra un ulteriore passo in avanti nella fusione di Oriente e Occidente, Tecnologia
e Spirito, Digitale ed Acustico, Organico ed Inorganico. A proprio agio nei club come
negli ascolti confidenziali domestici. Non si tratta di pop, ma di avanguardia popolare,
alla portata di tutti, tanto il suo linguaggio è universale e decrittabile in ogni angolo del
pianeta.

Con l’ultimo album “Ha” e il suo precedente “Ok” e contando pure l’altro capolavoro nu-
asian di Nitin Sawhney, “Beyond Skin”, si va componendo un puzzle vitale di musiche
pop non più etnocentriche che, saltando a piè pari il monopolio anglosassone degli
ultimi quaranta anni, rende tutti noi più liberi. Vi pare poco?



TALVIN SINGH: HA (UNIVERSAL RECORDS - UK 2001)




     paolo davoli
Transglobal Underground
                                             musiche apolidi e senza margini




Ci sono mille modi per viaggiare. Uno di questi modi è il viaggio attraverso i           paladini dell’etichetta “multi” Nation.
suoni, anzi meglio, dentro i suoni... Transglobal Underground raccoglie da anni,         Il loro primo LP, datato 1993 e intitolato “Dream of
quasi undici, meravigliosi musicisti di un circo immaginario che varca qualsiasi         100 Nations” rimane forse uno dei capolavori insuperati
frontiera...                                                                             del nuovo breakbeat “mondiale”. Fu in quel momento
La domanda dell’operazione Transglobal Underground è questa: possono gli                 che le loro musiche apolidi, senza margini, con suoni
oggetti migrare? Sulle persone, naturalmente non ci sono dubbi. Ma gli oggetti?          estrapolati dalle frontiere dilatate del mondo pop,
Possono transglobalizzarsi le tablas, i djambè, i dhol, le congas, i tamburi di          divennero paradigmatiche della nuova stagione oltre
ogni latitudine e longitudine? Possono i sitar e gli strumenti a corda di tutti i         il rock. D’altra parte, il deposito dove i Nostri allocano
continenti ambientarsi in ogni paese? E una volta globalizzati gli strumenti e i         i loro attrezzi musicali sono dei santuari
suoni possono questi dialogare fecondamente con l’elettronica? La risposta è             dell’Internazionale dell’Immaginario, dove tale è il
sferica. Se il nostro mondo è caratterizzato per le assenze, i TGU organizzano           luogo in cui esplodono tutte le fantasie e s’intersecano,
un capovolgimento: qualsiasi campione, suono, strumento proveniente al di fuori          da prospettive escheriane, tutte le melodie dell’outer
del flat field anglosassone viene aggiunto, stipato, stratificato. Melodie levantine,    world.
dub delle Indie Occidentali, violini in salsa Bollywood, polifonie africane, multitoni   Anche questo “Ya Boss Food Corner” non sfigura di
mediorientali, insomma l’intera gamma delle musiche della Torre di Babele.               fronte al catalogo degli anni migliori dei TGU.
Lontani dal sacro fuoco delle terre d’origine, i TGU organizzano una liquida             Segnaliamo tra le altre, l’iniziale ed indispensabile
ancella di suoni funk, dance, hip hop che qualcuno ebbe a chiamare “global               “The Drums of Navarone”, l’essenziale afro-funk
techno”. In passato, parte della fama insperata dei Transglobal, fu dovuta alla          sintetico di “Step across the Edge” oppure la pittorica
primieva vocalist, la magica Natacha Atlas. Mondati dal temperamento della               “Pomegranite” in bilico tra Instanbul e Il Cairo.
yemenita musa, ora il gruppo anglo-internazionalista si affida a una pletora di          L’offerta caleidoscopica di suoni liberatori, luoghi
vocalisti “etnici”. E la tela dei TGU ne ha beneficiato: le canzoni, alla fine di        nascosti e segreti, d’estetiche gioiose, d’illimitate e
questo si tratta, sono disegni con forma compiuta, ben liberi di librarsi oltre il       folli rotte, di scarti improvvisi e fantasiosi ci indicano
sentito. Un mondo, il loro, che non si ferma a Londra o Parigi, le due capitali          una sola cosa: la terribile bellezza della musica dei
europee responsabili dell’affermarsi di questo “World Groove”, ma si aizza da            Transglobal Underground!
Marsiglia in giù, da Algeri a Damasco, da Bombay ad Addis Abeba, da S’ana a
Timbouctou. Nel bello spazio creato dal sincretismo Transglobal si odono gli echi        Dream of 100 Nations
del miglior nu asian sound per attraversare tutti i territori possibili, dialogare       (Nation – uk 1993)
con tutti gli strumenti, i suoni, le voci, di ogni contrada mondiale. E di questo
                                                                                         Yes Boss Food Corner
feeling “transglobale” ne sono stati tra i primi portatori sani, assieme ad altri        (Ark21 – uk 2001)


                                                                                             paolo davoli                     courtesy of ark 21
VIKRAM CHANDRA
          LE MILLE E UNA NOTTE ALL’OMBRA DELL’OCEANO INDIAN0

    Nato a New Delhi nel 1961, cresciuto nel leggendario Rajasthan, poi esposto
    alla cultura americana negli anni universitari, Vikram Chandra è scrittore a
    suo agio fra gli dèi del pantheon induista come fra i divi di Mtv, amante della
    letteratura ma anche programmatore di computer, abituato a trascorrere metà
    dell’anno nella sua nativa India e l’altra metà a Washington. Ed è proprio nei
    meandri di una biblioteca statunitense che alcuni anni fa s’imbattè nelle
    memorie di un’oscuro colonnello inglese dell’Ottocento, primo spunto per
    quello che doveva diventare il suo romanzo d’esordio “Terra rossa e pioggia
    scrosciante”, immediatamente accolto con entusiasmo tanto in patria quanto
    a Londra e New York, vincitore nel 1995 di due prestigiosi premi letterari, il
    David Higham Prize e il Commonwealth Writers Prize, e già tradotto in
    innumerevoli lingue. Dopo aver attinto alle scaturigini del mito, la sua arte
    narrativa si è ora calata nel caos metropolitano della Bombay di oggi, con il
    fortunato libro di racconti brevi intitolato “Amore e nostalgia a Bombay”. Ed
    è qui, nel racconto Kama o del desiderio, che viene presentato il prossimo
    protagonista della saga Chandra: l’ispettore della Zona 13 di Mumbai, Sartaj
    Singh. Sarà quindi un noir orientale il prossimo libro di Vikram? Leggete e
    ascoltate perchè, come scrisse Borges, scoprire ogni tanto l’Oriente fa parte
    delle tradizioni d’Europa.......
    (liberamente tratto da Instar Libri – Torino)



    La letteratura orientale è nota presso il grande pubblico occidentale per il
    Libro delle Mille e Una Notte, collettiva antologia di racconti, distici, canzoni,
    aforismi che furono elaborati nella notte dei tempi da moltitudini di scrittori
    levantini. La formula di quei magici racconti è ripresa dal giovane Vikram
    Chandra nel suo romanzo d’esordio “Terra rossa e pioggia scrosciante” dove,
    a prendere le sembianze affabulanti di Sheherazad, è la scimmia Parasher e
    una miriade di personaggi tra il divino e l’umano. Come Sheherazad la scimmia
    Parasher (quasi un’anagramma della notturna concubina...), parte animale
    parte uomo, è obbligata alla fabula per procrastinare l’incontro fatale con
    Yama, il terribile Signore della Morte.
    Ed è questo disinvolto luneggiare tra tradizione e modernità che rende eccitante
    la lettura di Vikram Chandra. In lui v’è la sensualità indiana, la ricchezza delle
    cosmogonie asiatiche, lo stile asciutto e minimale caro a certi scrittori euro-
    americani e una capacità affabulatoria tutta orientale. I suoi antenati, gli
    scribi innumerevoli delle originarie Mille Notti e Una Notte sarebbero felici
    di questo loro discendente indostano.
    Terra Rossa, anch’esso libro lungo - e proprio non v’è peccato in questo - è
    un’essenza da cui si sprigiona continuamente fantasia e intelligenza: ogni
    narrato viene affrontato con levità inusitata. Provate a leggere lo slittamento
    interiore nel fulmineo racconto “Una breve felicità” dove il giovane Abhay,
    “sottratto alla natia India dal miraggio del paradiso made in USA”, deambula




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“...all’edificazione delle Mille e Una Notte hanno collaborato i secoli e i regni. Si congettura che il nucleo primitivo della
raccolta provenga precisamente dall’Indostan, che dall’Indostan sia passata in Persia, dalla Persia all’Arabia e dall’Arabia
all’Egitto, crescendo e moltiplicandosi. La redazione definitiva spetterebbe al XIV secolo e all’Egitto...” (Jorge L. Borges)



                                                               in una New York al crepuscolo tra amori di vetro e polveri di droghe, notti
                                                               abuliche in locali punk e goliardie da campus yankee. Tra Mahabharata
                                                               e Mille e una Notte, Francis Burton e Antoine Galland, il contemporaneo
                                                               Terra Rossa è un libro indimenticabile e celebra Vikram Chandra il migliore,
                                                               forse, fra gli scrittori dell’ultima generazione indiana.

                                                               Il secondo libro chandriano, il languido Amore e nostalgia a Bombay,
                                                               narrato con una struttura simile al libro d’esordio, vede come collante
                                                               dei racconti il venerabile Subramaniam, il quale conduce il lettore
                                                               attraverso un turbine di personaggi con il cuore a pezzi e l’odore della
                                                               disperazione sotto le ascelle. Le situazioni esposte nel libro evocano
                                                               sapientemente odori, colori e sapori della giungla urbana indiana. Sullo
                                                               sfondo c’è “una Bombay inedita, regno del cinema (Bollywood!!) e
                                                               dell’informatica: una metropoli contemporanea, di sangue misto e ideologie
                                                               non meno mescidate, ma ancora e sempre più la Città dell’Oro, come
                                                               già era chiamata ai tempi del Raj”. Amore e nostalgia racconta l’India
                                                               attraverso i cinque precetti della filosofia hindi, Dharma, Sakti, Kama,
                                                               Artha, Santi: lo splendido libro si muove tra vividi personaggi come il
                                                               Maggior Generale Jago Antia e l’ispettore Sartaj Singh ed ha come presenza
                                                               assillante la colonna audiovisiva della variopinta greppia di star e attori
                                                               bollywoodiani quali i mitici Om Puri e Amitabh Bachchan oppure l’avvenente
                                                               Madhuri Dixit .
                                                               Sono solo storie d’amore, quelle narrate da Vikram Chandra, ma profumano
                                                               come fiori nella notte. Amori naufraghi, amori redenti, amori annegati
                                                               e disperati ma tutti capotes mèlancoliques, eternamente melodrammatici
                                                               come solo gli indiani sanno essere....




                                                                Books:

                                                                Red Earth and Pouring Rain
                                                                (London: Faber 1995 - Torino: Instar Libri 1998
                                                                trad. Anna Nadotti/Fausto Galuzzi)

                                                                Love and Longing in Bombay
                                                                (London: Faber 1997 - Torino: Instar Libri 1999
                                                                trad. Marina Manfredi)


                                                                     paolo davoli
LONDRA: UNA CITTÀ IN BILICO
TRA INDIE OCCIDENTALI E INDIE
ORIENTALI
“…Quando torni a casa (…) se senti qualcuno parlare dell’Oriente (…)
non emettere giudizi affrettati finchè non hai in mano tutti i fatti.
Perchè il paese che chiamano India ha mille nomi diversi ed è abitato
da milioni di persone, e se pensi di aver trovato due uomini uguali in
mezzo a quella moltitudine, allora ti sbagli. E’ stato semplicermente un
trucco del chiaro di luna.” (Samad Iqbal)

Zadie Smith è una presenza anomala in questa cartografia indiana
che andiamo tracciando. La ragione dell’ inserimento della icastica
venticiquenne londinese è l'uscita del suo primo romanzo, Denti
Bianchi. Il libro è un brillante esordio pieno di situazioni grottesche
al limite del tragico; l’intreccio regge bene l’urto delle quasi 550
pagine e si possono perdonare certe verbosità di troppo, data la
tenerissima età....

Gli eroi di Denti Bianchi sono giovani confusi e arrabbiati con identità
lacerate, rattrappite tra desiderio di fuga e volontà di resistenza. I
rancori e le incertezze sono causate da una società tentatrice e azzeratrice
di tutte le radici, ma come urla Shiva “…chi potrebbe strappargli da dentro
l’Occidente, ora che ci è entrato?” Un altro passaggio rivelatore dello stato
d'animo giovanile anni Novanta, è lo sfogo liberatorio di una delle mattatrici
femminili dell'opera, l’anglo giamaicana Irie, che rivolta ai propri genitori
sbotta: “... E ogni singolo giorno del cazzo non è un’enorme battaglia fra chi
sono e chi dovrebbero essere, ciò che erano e ciò che saranno.(...)Per quanto
li riguarda, è il passato. E’ così che va nelle altre famiglie. Non vivono
ripiegate su loro stesse. Non passano il tempo a tentare di trovare il modo
di rendere più complessa la loro vita. Si limitano a viverla.” I giovani
protagonisti di “Denti Bianchi” sono quindi il delicato termometro di un’avvenuta
rivoluzione demografica, sociale e culturale. Londra, da capitale dell’Impero
Britannico, è divenuta la città-simbolo dell’integrazione razziale grazie
all’immigrazione copiosa dalle sue ex-colonie, anticipando di trent’anni un
trend inarrestabile tutt’ora in atto nel nostro continente. Londra diventa
metafora spaziale dell’avvenuta migrazione del Sud del mondo nelle ricche
terre dell’Occidente industrializzato. E’ chiaro che i primi a subire l’urto di
questa mutazione sono i giovani, i più esposti alle intemperie della vita....
Che questi siano la coppia di gemelli Iqbal, la cui famiglia è di origine bengalese,
oppure la sopracitata Irie, frutto di un matrimonio misto anglo-giamaicano,
oppure il bianco di origine ebrea Joshua, nulla cambia: tutti sono attraversati
dall’angoscia identitaria e dal tramonto di appartenenze culturali che è insieme
liberatorio e devastante. E’ questo il risultato di una società multirazziale,
sembra suggerire Zadie Smith, giovane scrittrice il cui esordio, fatalmente
autobiografico, traccia le coordinate di questa adolescente Angst metropolitana.
Lei stessa peraltro porta le stigmate della “società aperta”, essendo nata da
padre inglese e madre giamaicana…




ZADIE SMITH: Denti Bianchi – Mondadori


     graham rounthwaite for Art Department
                                                                                       paolo davoli
     roderick field

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UT Numero 07

  • 1. ARUNDHATI ROY IL SECOLO DELLE PICCOLE COSE Un bellissimo esempio di laicismo nell’India moderna: Arundhati Roy. piccola combattente della libertà, con il Questa giovane donna indiana, cittadina cosmopolita come tanti altri della sua suo stile veloce e nitido. generazione — ha studiato Restauro a Firenze —, è una testimone preziosa della Ancora più stringente il saggio finale “Un vivacità della giovane democrazia asiatica e un notevole esempio di laicismo coniugato mondo senza immaginazione” dove viene al femminile. attaccata frontalmente la classe politica Star internazionale grazie al suo debutto letterario, “Il dio delle piccole cose” (edito indiana a causa del suo pericoloso riarmo da Guanda), la Roy si è distinta ultimamente per un “piccolo” libretto, “La fine delle nucleare, ora rivolto contro il Pakistan, il illusioni”, dove va al combattimento corpo a corpo con il gigantesco Governo Indiano, quale a sua volta si è dotato dell’arma accusato di riarmo nucleare e disastro ecologico. atomica due settimane dopo. La Roy non Il cuore d’uranio del breve saggio si trova a pag.20. Eccolo, tutto d’un fiato: usa perifrasi: “Se rifiutarsi di farsi “Dobbiamo combattere le guerre specifiche con mezzi specifici. Magari, chi lo sa, impiantare una bomba nucleare nel cervello è questo che il Ventunesimo secolo ha in serbo per noi. Lo smantellamento delle è anti-indù e anti-nazionale, allora dichiaro Grandi Cose. Grandi bombe, grandi dighe, grandi ideologie, grandi contraddizioni, la secessione. Mi proclamo una repubblica grandi Paesi, grandi guerre, grandi eroi, grandi sbagli. Magari sarà il Secolo delle indipendente e ambulante. Sono una Piccole Cose. Forse proprio adesso, in questo stesso istante, c’è una piccola dea, cittadina della Terra. Non possiedo territori. lassù in cielo, che si sta preparando per noi...”. Non ho bandiera.” E quando elenca le Il libro in questione, “La fine delle illusioni”, è un pamphlet al vetriolo, scritto con inconsistenti scuse dei media indiani per un brillante stile giornalistico, contro la politica delle grandi dighe dello Stato Indiano. giustificare l’utilizzo della bomba atomica In particolare viene presa di mira la costruzione della grande diga sul fiume Narmada, nei test del maggio 1998, è strepitosa nel nello stato indiano del Gujarat. Indicata dalla Roy come una immane catastrofe disinnescarle una dopo l’altra. ecologica, viene narrata dalla stessa come una avvicente battaglia ecologista e anche giudiziaria tra gli adivasi - una delle popolazioni originarie indiane antecedenti Siamo fortunati che, nel nostro piccolo addirittura agli indù - e lo stato del Gujarat, lo stesso Governo Indiano di New Delhi pianeta cinico, esista ancora qualcuno e la Banca Mondiale. In una serrata disamina la Roy narra le peripezie della più che capace di sdegno civile ed è di assoluto decennale battaglia di alcune migliaia di senzaterra e aborigeni indiani contro uno conforto che ci siano scrittori che non dei più pervicaci governi anti-ecologisti e pseudo-religiosi esistenti al mondo. esibiscano solo un volto paludato, ascetico Coniugando ostracismo religioso - il partito ora al governo in India è il BJP, destra ed eterno dell’India, ma mostrino invece la nazionalista-religiosa, con una fumosa “modernizzazione” da autoritarismo realtà viva e pulsante in bilico tra terzomondista, il governo dello stato indiano viene messo alla berlina da questa disperazione e redenzione, di una nazione sconvolta da feroci battaglie di civiltà. courtesy of thames and hudson ltd. © 2000 paolo davoli
  • 2. Asian dub foundation musica comunitaria Era il 1993 quando, all’interno di una organizzazione chiamata "Community Music", il bassista Dr Das pensò che potesse essere una buona idea quella di mettere su un sound system da usare come "arma contundente musicale" nelle manifestazioni anti-razziste o nei cortei contro quelli che erano i cascami del peggior thatcherismo (ad esempio il Criminal Justice Bill, pensato e creato per stroncare il fenomeno dei rave e più in generale ogni forma di raduno non benedetto e baciato dalle istituzioni). Attorno a lui si radunarono altri ragazzi di etnia indiana, di quella che allora era la sfigatissima etnia indiana che piano piano però stava alzando la testa e mostrava di avere molte, molte storie da raccontare, da Hanif Kureishi in poi… vennero a dargli una mano l’mc Deeder Zaman e il dj Pandit G, a cui poi nei due anni successivi si aggiunsero il chitarrista Chandrasonic e Sun-J: è così che nacque l’Asian Dub Foundation. L’unione di beat pesanti, bassi irresistibili e rime taglienti aveva trovato un nuovo luogo in cui prosperare. Un luogo con dentro le spezie orientali della comunità indiana anglosassone e la rabbia definitiva della jungle più cattiva, con crude chitarre a fare da collante. Non era più l’Asia da cartolina dei Transglobal Underground, per quanto affascinante, damir ivic era qualcosa di più "pericoloso". Il primo disco, "Facts And Fictions", uscito nel 1995, non ebbe poi un riscontro vastissimo in patria: l’India doveva ancora diventare "hip". Ma una idea buona è più forte dei trend, e anzi spesso li crea. rekha prashar Già nel 1997 "R.A.F.I." e il suo upgrade del 1998 "Rafi’s Revenge" diventano dei caposaldi della scena musicale inglese, con la band che nel frattempo si è fatta le ossa tramite molti ed infuocati concerti soprattutto nel vecchio continente. Arriva la nomination per il prestigioso Mercury Prize (quello che poi premierà un paio d’anni dopo Talvin Singh, altra punta di diamante della nuova consapevolezza asiatica in musica), e l’ADF COCO/visionary underground si trasforma agli occhi dei media e del pubblico in un punto di riferimento fondamentale di consapevolezza sia artistica che politca. "Community Music", uscito nel 2000, porta avanti con orgoglio le linee guida dell’ADF: rispetto per le proprie radici (e non a caso il nome dell’album è un omaggio all’organizzazione che li vide nascere), testi lucidi e taglienti, bassi che attingono in quella irresistibile tradizione giamaicana che si muove tra il reggae e la jungle, richiamo continuo di un forte senso della comunità che parta dalla propria, di comunità, per www.asiandubfoundation.com coinvolgere le altre (come recita il ritornello di "Collective Mode": "Can’t do it alone / You need to get into de collective mode"…). La ricerca musicale si fa più raffinata, le liriche continuano a non fare prigionieri (è una scelta coraggiosa quella di uscire con un primo singolo come "Your Great Britain" che denuncia la vacuità di certi proclami ottimistici della Cool Britannia blairiana). La Foundation insomma è più salda che mai, e nel frattempo si arricchisce con la istituzione di ADFED, quella che nel sito ufficiale del gruppo viene definita "The educational wing of Asian Dub Foundation", una realtà nata per promuovere tramite workshop e seminari pratici un uso consapevole della creazione musicale come un modo per respirare sì lo spirito dei tempi, ma facendolo con la volontà di agire concretamente nel sociale e nel culturale. The Foundation steps forward…
  • 3. B A D M A R S H & S H R I : Signs DOPO IL PASSAGGIO DI NITIN SAWHNEY ALLA V2 DI Ciò che maggiormente colpisce è la cresciuta vena compositiva di Badmarsh & Shri, arricchitasi in efficacia espressiva e profondità. Ad esempio, i suoni del sitar del padre BRANSON, IL GRUPPO DI PUNTA DELLA OUTCASTE di Shri che nel primo album erano samples decorativi, ora sono suoni organici che si compenetrano nei tessuti sonori. La maturità del progetto B&S si annuncia da “Bang”, una serafica escursione quasi RECORDS DIVENTA LA COPPIA BADMARSH & SHRI. orchestrale su un tempo tabla-boogiefunk–breakbeat. Non è più un suono definibile “asiatico” ma un livello superiore di evoluzione. La sorpresa è grande: è dance ma non DOPO IL DISCRETO DISCO D’ESORDIO “DANCING più dance, è superfunk ma non più black, è tablizzato ma non così nu asian sound, è orchestrale ma non così lounge nè orientato a Bollywood. Forse è semplicemente il suono DRUMS” DEL 1998 E DIVERSI TOUR LIVE DI SUCCESSO, Badmarsh & Shri. Altri brani confermano la felice sintesi: la movimentata “Swarm”, il celestiale ambient-jazzy-funk di “Mountain Path”, l’ingegnosa “Tribal”, scritta da IL DUO ANGLO-INDIANO GIUNGE ALLA SECONDA profondi prosatori di tablas e l’epico funk d’altitudine, “Get Up”. Poi c’è la mela nel petto di questo album: la triade di ballate dalle altezze siderali. Immaginate una colonna sonora dei cieli di mezzo, una rugiada di suoni calati sull’animo PROVA DISCOGRAFICA. ORA CHE È ARRIVATA, degli astanti. La delicata “Signs” – vero e proprio inno alla dolcezza – è la prima. Superba nella sua POSSIAMO FELICEMENTE DEFINIRLA UNA PROVA meraviglia, la seconda, “Sajanaa”, mentre “Soaring Beyond”, la terza ballata, è un sogno e come tutti i sogni, nel momento in cui realizziamo che è tale, è già svanito... SUPERBA, DI GRAN LUNGA SUPERIORE ALLA “The Last Mile” e “Appa” sono le gemme finali di questo viaggio, tenere come sete, agili come pantere. Anche qui i suoni ci girano nell’orecchio, mai esausti, ebbri come PRECEDENTE. vino, leggeri come fiocchi di neve che cadono nelle notti silenti..... Un sogno, questo album, che attira poesia. Una poesia dipinta alle pareti di un suono che non scolorisce facilmente… Dancing Drums (Outcaste records - Uk 1998) Signs (Outcaste records - Uk 2001) paolo davoli courtesy of outcaste
  • 4. IL CINEMA INDIANO L’India è il paese produttore del più alto numero di film in un anno, sempre oltre i 700 negli anni Ottanta e Novanta. In realtà, non si tratta di un cinema unico. La pluralità di lingue che corrispondono alle varie nazionalità che compongono l’immenso paese danno quasi tutte un loro cinema. Scarse sono le interferenze tra una regione e l’altra, e i film tendenzialmente non escono dalla propria area linguistica, tranne i film commerciali di successo che, per quanto non doppiati né sottotitolati, riescono in ogni caso a comunicare in forza di un linguaggio visivo costituito da elementari, forti tipizzazioni e conflitti. I poli egemoni di produzione cinematografica indiano sono costituiti da Bombay, in lingua hindi, da considerare il vero cinema nazionale anche se oggi quantitativamente minoritario, e poi da Calcutta, con una produzione in bengali in parte collegata a tutta una tradizione letteraria. Grazie ad aiuti statali e a capitali di indiani del Golfo Persico, un rapido sviluppo hanno conosciuto i centri del sud, sia quello tradizionale di Madras, in lingua tamil, sia quelli di Bangalore in kannada, di Trivandrun in malayalam e di Hyberabad in telugu. Ma sono soltanto alcuni dei centri di produzione esistenti in ventidue lingue diverse. Il cinema approda in India il 7 luglio 1896 quando un operatore, Lumiére, Nella stragrande maggioranza i film prodotti sono esclusivamente fa scalo a Bombay e organizza due serate di proiezione. A livello produttivo commerciali, basati sulla presenza di uno o più divi, su un’abile è il filone mitologico-agiografico il primo ad affermarsi; e a dargli avvio commistione di musica e danza e su un uso basso, spettacolare è Dhundiraj Govind Phalke che filma il primo lungometraggio del cinema di figure e motivi tradizionali. In ogni caso, quello indiano, è un indiano nel 1913: Raja Harishchandra (Il re Harishchandra), un episodio cinema che è stato capace di elaborare un suo immaginario del poema epico Mahabaratha. Mitologia e religione occupano sin dall’inizio “popolare” e autarchico, non realista ma di immediato impatto il 70% della produzione. Il primo dopoguerra vede il cinema statunitense e riconoscibilità presso il suo pubblico - le masse povere indiane dominare sull’esercizio cinematografico indiano. Dei 1268 lungometraggi ma anche quelle di gran parte delle comunità nelle metropoli prodotti in India tra il 1913 e il 1934, più di metà sono frettolosi calchi europee – e che continua ad affollare le sale nonostante tutte di soggetti polizieschi e d’avventura del coevo cinema di Hollywood. le carenze strutturali e la diffusione della televisione. Su circa Nascono generi ibridi, come i film di rajput che intessono narrazioni un miliardo di abitanti (un sesto dell’umanità), 13 milioni di cavalleresche indiane con spunti western. spettatori si affollano ogni giorno in 12.500 sale, un circuito L’avvento del sonoro negli anni Trenta è una tappa fondamentale per il largamente insoddisfacente rispetto alla crescita continua della cinema indiano che definisce le regole stilistiche che lo regolano perlopiù domanda (a Bombay, 8 milioni di abitanti, si contano solo 120 ancora: spesso si tratta di film più o meno rifiniti, lunghi due-tre ore sale; Delhi, 5 milioni di abitanti, non ne possiede che 63). com’è tradizione nello spettacolo indiano, mitologici o avventurosi o mistici o sociali o fantastici o comici o di uno straripante sentimentalismo. Alla base il policromo teatro popolare, fondato su canti e danze; più delle storie (quasi mai esiste una sceneggiatura) l’elemento chiave rimane la musica (almeno sei canzoni per film), sempre in playback e con le stesse voci di cantanti per tutti gli attori, musica lanciata dai dischi e dalla radio con mesi di anticipo e determinante per il successo del film, assieme alla presenza del divo, che assorbe sino al 50% del budget. Uno star system, quello indiano, prevalentemente maschile: le dive hanno un ruolo importante, ma sempre subalterno all’eroe maschile e dal punto di vista produttivo non si monta mai un film attorno a una di loro. La grande svolta e la nascita del nuovo cinema avviene nel 1956 con l’esordio di Satyajit Ray, grande cineasta (in Italia sono disponibili in vhs numerose sue opere), maestro indiscusso del cinema indiano e personificazione della migliore tradizione letteraria del Bengala. Dopo Ray altri registi si sono mossi in un senso di rottura rispetto alle convenzioni commerciali, esercitando un certo controllo sulla propria opera. sandra campanini La Tate Gallery di Londra celebra in una mostra le città d’arte del Novecento. Fra Parigi, Vienna, New York e Londra la sorpresa è Bombay, eletta metropoli simbolo degli anni Novanta. Un immenso cartellone pubblicitario come se ne vedono solo a Bombay. Un’architettura di tela, effimera come se ne fabbricano solo in India: ecco in mostra l’inconfondibile armamentario visuale di Bombay. Century City: Art and Culture in The Modern Metropolis Dal 1 febbraio al 29 aprile 2001, da lunedi a domenica ore 10-18 Alla Tate Gallery di Londra Informazioni: www.tate.org.uk 30 courtesy of thames and hudson ltd. © 2000
  • 5. Gli ultimi 40 anni di pop music hanno ormai conferma alla fusione operata da definitivamente consacrato l'India a pensatori come Heidegger (filosofia continente ove raccogliere batteri di un suono occidentale, sensibilità orientale). Ecco denso che porta il marchio di una cultura fiorire in questo humus struttural-mente millenaria. Ma a noi non interessa trattare propizio, le esperienze di Talvin Singh, qui un argomento così vasto e complesso, State of Bengal, Nitin Sawhney, ma al più segnalare una periferia di questa Badmarsh & Shri. Non ci interessa parlare vasta problematica. In particolare, ci preme di questi, ma registrare un profondo argomentare la tesi per cui, dalla fine degli cambiamento di cui parla il loro lavoro. anni 60 ad oggi, l'approccio alle sonorità della L'India, come luogo culturale, non è più terra di Tagore sia radicalmente mutato, il sito di stoffe colorate, elefanti, yogi, evidenziando a nostro parere, uno dei care al fricchetonismo folkloristico, ma protagonisti della modernità : il caos. Ma, si si è trasformata (proprio in virtù della badi bene, un caos birichino e fecondo. sua antica ed ancora poco esplorata Quando, risalendo all' epoca del quartetto potenza filosofica) in un impasto di Liverpool, monsignor George Harrison funzionale alle nuove tecnologie, al indirizza la sua ricerca spirituale verso Gange linguaggio delle macchine, alla veloce e dintorni, nascono dall'albero beatlesiano circolazione di informazioni, al bisogno pomi quali "Within You, Without You", che di nuovi strumenti culturali. Circolazione spandono dalle onde radio delle principali transnazionale. Ecco allora che s’incontra stazioni l'Indomania acuta. l'India in quei di Londra, nelle Anokha Ravi Shankar muove verso lidi occidentali nights....Ed allora il suono di questa terra, e grandinate di "sitarismi" avvampano qua e ora sì, sta divenendo veramente là nella musica occidentale, dal pop al jazz. funzionale ed organico al pop, alla ricerca Chi non ricorda gli esperimenti di Miles Davis, elettronica e musicale, in Oriente- con musicisti indiani, memorabili brani come Occidente. La Babele di linguaggi sta "Great Expectations" e "Little Blue Frog" o al trionfando, ma trionfa dietro alla porta suono della chitarra di John McLaughin (altro di casa, e questo, se permettete, è un ricercatore spirituale approdato all'induismo) dolce frutto del caos: il Maestro Spirituale nel mitico album "In a Silent Way", lo trovate magari a Bologna e non è caratterizzato da liquidità "shankariane"… nemmeno indiano, mentre il bravo musicista indiano lavora a Londra e magari Possiamo cercare un denominatore comune se gli va può anche abbandonare la in queste esperienze? Se sì, proviamo ad propria cultura, e riprenderla come esaminarle… metodo di lavoro subliminale "inudibile", DALL'ESOTISMO FREAK ALLE SINERGIE CONTEMPORANEE Primo: l'uomo bianco (o nero nel caso di niente più sitar a go go, ma piatti da dj Davis) rimane epidermicamente ammaliato da suonare anche a Reggio Emilia. Chi dal suono di tabla e sitar e complessivamente, vuol intendere intenda. costruisce una immagine esotica di una terra Frammenti per una riflessione inerente le promiscuità del pop occidentale con la tradizione musicale indiana Aumenta ormai smisuratamente la "altra". Il pop non raggiunge certo la complessità, ma si moltiplicano le opzioni profondità delle esperienze jazzistiche, ma e le possibilità. E più che di sfocia in un altrove un po' Alpitour, un po' contaminazione, pare ora più opportuno Nirvana. Questo altrove mistico-esotico è parlare di infezione totale ed organica, La new age fiorirà (purtroppo) a breve. Proprio, a mio parere, Heidegger costituisce fin dai contrapposto, nell’immaginario giovanile fra linguaggi e tradizioni culturali diverse. A quei tempi, un signore con un certo gusto per l'ironia primi decenni del ventesimo secolo un ponte fra cultura d’allora, ad un modulo culturale occidentale, ed il rischio, dotato anche di cervello fino (sembra si filosofica occidentale ed orientale. Infatti il suo "Essere che dopo il nichilismo, la fenomenologia e Ribellarsi in nome di identità minacciate chiamasse Zappa, Frank Zappa) produce il primo album e Tempo" corre su questa linea di demarcazione, che Martin Heidegger, è entrato in piena o purismi etnici da esposizione antiquaria, del violinista Shankar (non Ravi). Emerge una nuova diviene sempre più sfumata ed anzi con il trascorrere fibrillazione. In seconda battuta, e come suscita in noi un delicato ma immane attitudine, quella che più tardi sarà sviluppata dalla degli anni, si fonde in un grande fiume carsico. Gli diretta filiazione, il sound indiano è sovente sbadiglio. Ed anche il perdersi di molta casa discografica Real World di Mr. Gabriel. Alla fine incontri fra lo stesso Heidegger e D.T. Suzuki (il trapiantato su un corpo pop estraneo, per critica musicale nostrana, nel limitare degli anni 70 c’è quindi il punto di svolta: cambia la divulgatore dello zen in occidente) testimoniano con cui il fenomeno del rigetto è quasi questa realtà ad un filone (l'asian filosofia di approccio musicale alla contaminazione. chiarezza di un contatto fertile, profondo ed ormai istantaneo…. underground), mostra con evidenza la improcrastinabile. Sono gli anni dell'import-export di discipline scarsa comprensione di una rivoluzione Il primo, sconclusionato, album di Shankar parla un'acerba A conferma di ciò, nella seconda metà degli anni 80 orientali, che proprio per essere affrontate (si badi, non solo musicale) in continuo ma nuova lingua. Ora il musicista indiano approda e personaggi come Bill Laswell con i suoi Material, con filosofia da surfista californiano, portano divenire. Il fiume carsico è cresce in Occidente, inizia a pensare il proprio DNA navigano le acque di questo fiume. Quando nell'ultimo a tragici fraintendimenti, si pensi allo yoga definitivamente emerso alla luce del caos culturale in una prospettiva di infezione del molosso scorcio di millennio, le ritmiche sincopate generate per contro il mal di schiena, o peggio ancora, e richiede una sensibilità completamente occidentale. Ma l'infezione è un processo organico, ed via digitale bagnano prima i club underground e poi gli allo yoga finalizzato ad un generico benessere nuova. il caos è il virus pronto alla bisogna. album dello starsystem poppettaro, troviamo una tipo "volemose bbene". enrico marani pittura rajput (1740 circa) pittura rajput (1810) architettura indiana (edizione del parnaso)
  • 6. FULL CYCLE STORY Il collettivo di DJ/produttori di Bristol, noti ai più come Reprazent, nella mischia, così, sempre nello stesso anno arrivano sono Roni Size, Krust, Suv e Die. “string4string/Jungle love” di Flynn&Flora ed i primi brani Questi quattro ragazzotti, vincitori di un Mercury Award, e tra del futuro drum’n’bass soldier DJ Krust. Reduce dal successo i maggiori responsabili della diffusione nel mondo del drum’n’bass, di “Jazz Note” su V Recordings, Krust produce due singoli per sono, sia musicalmente sia strategicamente, tra i più moderni la ‘sua’ Full Cycle: “Daylight/touch” in compagnia di Roni, esempi d’organizzazione. Uniti o separati, creano e producono ed il fantascientifico “Quiz show/Future Talk” a proprio nome. musica, cercando di caratterizzarla diversamente, a secondo del tipo di pubblico che vogliono raggiungere. Reprazent e Breakbet Parallelamente impegnati a produrre più in vena ragga, per Era sono i “pop project”, mentre concentrano sulla loro etichetta l’etichetta Dope Dragon, i ragazzi coinvolgono un altro DJ privata, gli esperimenti d’innovazione nello stile. bianco nel collettivo: Bill Riley. Esce così un singolo in L’etichetta Full Cycle, nata e cresciuta a Bristol, insieme compagnia di DJ Die con lo pseudonimo DNA (“Dna/Nasty”) all’affiliata Dope Dragon, è la vera etichetta culto dei DJ di e il primo a proprio nome con il bellissimo “The Chill”. Altro drum’n’bass, insieme alle alleate naturali londinesi V recordings debutto personale per Die con “Hydrophonic/Live and direct”, e Chronic. Ripercorrerne la storia, è un po’ come rivivere gli ed il cupo “Priorities/Memories” per Krust, prima del giro di sviluppi degli ultimi cinque anni di drum’n’bass attraverso un boa con la compilation album, manifesto della Full Cycle, il catalogo di singoli fondamentali per tutti i drum&bass headz. maestoso “Music Box: a New Era in Drum and Bass”, anno 1996. Questo album essenziale, butta le basi per tutti i futuri Roni Size, dopo avere pubblicato per l’etichetta londinese di progetti di Roni Size e soci, con le radici sonore di Reprazent, Jumping J Frost e Bryan Gee (V Recordings) il monumentale “It’s e il debutto di Leonie alla voce, per quella futura hit che a jazz thing”, decide di usarne i proventi per aprire una propria sarà “Breakbeat Era”, qui in versione più scarna a nome di etichetta a Bristol. Nasce così nel 1995 la Full Cycle records. Il Scorpio (Roni+Die). Alle porte del 1997 esce un trittico di primo singolo è “Music Box/Register”, a nome di Roni stesso progetti solisti che spingono ancora più avanti lo stile Full insieme a DJ Die, ma in studio anche Krust, Suv e Dynamite Cycle ed il drum’n’bass in generale. Roni Size con “Brut collaborano. Immediatamente Die lo suona all’Universe, ed Force/Secrets” elabora un drum programming talmente ottiene un responso di pista folgorante. Entusiasti del lavoro originale da essere copiato da tutta la scena, Die con “Stoned fatto, fanno uscire a breve il singolo con il remix di “Music Box” Groove”, ed il suo bellissimo campione vocale e Krust con il e quello, sempre a nome Roni Size+DJ Die, con “11: 55”. Compagni doppio “Genetic manipulation”, manifesto dell’estro creativo di cordata, i fratelli Thompson (alias Flynn e Krust) si buttano personale, poi sfociato nell’album “Coded Language”.
  • 7. www.fullcycle.co.uk La Talking Loud incarica Roni Size di produrgli un’album, quel Alle soglie del 2000, restyling dell’etichetta, per ripartire in futuro successo che premierà l’intera scena del drum’n’bass, quarta con una serie di singoli che, ancora una volta, spingeranno quel “New Forms” che testimonia, come un collettivo di DJ il drum’n’bass un passo avanti. Tre killerfloor assoluti come produttori di musica dance, possa scalzare i supervalutati gruppi “Snapshot/26 Bass” di Roni Size, “Drop Bear” di Die e “Kloakin rock, vincendo l’ambitissimo Mercury Award. Il collettivo Full Device” di Krust, fanno capire l’altissimo livello a cui sono Cycle, così si allarga, inserendo nelle file un altro DJ, J Raq, arrivati in cinque anni i Nostri. Altro brand new soldier, il che esce con “Digitize”. bravissimo D Product, entra nella famiglia e realizza Per il 1998 esce il primo album della loro affiliata Dope Dragon, “Balance/Space Horn”. ma Roni ha troppi impegni, e lascia a Krust, Die e Suv, la E’ dell’inizio estate 2000 il secondo mastodontico album produzione e la ricerca per la loro etichetta. Esce così il remix compilation dell’etichetta “Through the eyes”, immediatamente di “Reincarnated” con le influenze asiatiche di “Achilles’ heel” preceduto da “Jittabug/running Out” di Die e “Parklands/Dark sul retro, per DJ Die, l’altro singolo, ormai un classico del Angel” di Suv. genere, “Soul in Motion” per Krust ed il fantastico debutto di Secondo manifesto rappresentativo per Roni e soci, con tutti Suv con il doppio “Freebeat”. inediti, tra cui, oltre D Product, anche un altro debuttante, Kamanchi, misterioso progetto già apparso su Planet V. Ormai star planetarie, i Full Cycle boys, girano il mondo a Altissima qualità negli arrangiamenti delle batterie, dei bassi proporre i loro dub plate ed il live show dei Reprazent, riscuotendo e delle armonie, ormai, la Full Cycle si è affermata nel panorama enormi successi dagli Stati Uniti all’Australia, calibrando le del drum’n’bass, come una delle etichette un passo avanti alle produzioni in maniera sempre più accurata. Il 1999 è l’anno altre. Le ultime produzioni vedono DJ Suv in pole position con della preparazione dell’album prodotto da Roni e Die in compagnia Reel Time “Mine”, il suo progetto cantato, e “Continuum”. della folk singer Leonie (Breakbeat Era), e dell’album di Krust per la Talking Loud. La Full Cycle, di conseguenza, spinge di più le nuove leve con un singolo per J Raq, “Waiting for the Bass/Molecule”, e l’ultimo per Bill Riley “Closing in”. DJ Die, ormai in sovraproduzione, fa uscire “Mankind/Music first” in compagnia di Suv, ed un’altra bomba di ritmo e stile che è “Clear Skyz”. Press Office luca roccatagliati
  • 8. RONI SIZE REPRAZENT E’ sempre complicata la posizione di chi porta a grandi numeri di e lo ha fatto con un disco per nulla compiacente. E’ un disco vendita un genere musicale orgogliosamente di nicchia: complicata che prima di tutto vuole "comunicare" in maniera compatta, non per le copie vendute e il successo raggiunto, ma per la grande la priorità sembra quella di costruire una coerente grammatica pressione che ci si ritrova addosso nelle mosse successive. Roni Size e semantica interna: grande attenzione al bilanciamento delle col suo "New Forms" tre anni fa aveva portato la drum’n’bass a atmosfere e moltissime le tracce rappate (la voce dell’mc è vette che precedentemente erano state appannaggio solo di Goldie: mixata particolarmente alta, di modo che sia chiaro che si 600.000 copie vendute, la vittoria nel Mercury Prize (una sorta di tratta di un elemento centrale e non un semplice vocalizzo di "oscar della musica" inglese), un corteggiamento lungo e insistito contorno; d’altro canto il roster degli ospiti è notevole, dal da parte del mainstream. Tutti a chiedersi: quale sarà la sua prossima compagno d’avventura in Reprazent mc Dynamite a Method mossa? Si siederà sugli allori? Perderà testa ed ispirazione? Senza Man, il più talentuoso e carismatico di tutto il Wu Tang Clan, contare che la stampa specializzata (e non) anglosassone, sempre per finire col geniale rumorista vocale Rahzel e con Zack De famelicamente desiderosa di consumare le cifre stilistiche presenti La Rocha, ex frontman dei Rage Against The Machine). Il meglio per poterne creare di nuove, da un po’ di tempo getta velenosi del disco e della potenza della drum’n’bass sta però in due dubbi attorno alla drum’n’bass (sarebbe un genere musicale finito, tracce strumentali, "Balanced Chaos" e "Mexican", irresistibile un trend che ha fatto il suo corso… ma a tutti questi signori tende quest’ultima nel suo riff al silicio. Violentissime entrambe. Il a sfuggire che la musica non è solo ed esclusivamente lo "stile del punto d’incontro delle diverse anime di "In The Mode" si trova momento", no?); e quindi anche un Roni Size, velatamente, diventa in "Snapshot" (impreziosita dalla voce di Onallee), che va in breve tempo uno che “Sì, è bravo, ma chissà se ha ancora cose sicuramente annoverata fra le cose migliori che Roni Size abbia interessanti da dire" (tanto per farvi capire, un paio di anni fa il mai prodotto. Nonostante un paio di episodi deboli ("Dirty New Musical Express parlando dell’ottimo "Don Solaris" degli 808 Beats", per dire) questo è un disco da avere e da rispettare State scrisse: "Bel disco, ma la domanda è: a chi importa?”, dato per la sua intransigenza e il suo rigore stilistico, un rigore che che evidentemente si è stabilito che gli 808 State avevano già fatto però non va a scapito della comunicatività. E soprattutto è un il loro tempo e quindi il fatto che avessero sfornato un bel disco disco che dice molto sulla statura musicale di Roni Size e sulla veniva visto come un particolare secondario…). sua consapevolezza artistica: a pieno titolo, una delle figure Dopo tre anni e un po’ di progetti secondari coi suoi soci di Reprazent chiave per la musica a cavallo dei due millenni. (Breakbeat Era il più importante), ecco "In The Mode". Di fronte al signor Size bisogna togliersi il cappello. Ha fatto centro, RONISIZE / REPRAZENT “in the mode” (talkinloud-2000) damir ivic courtesy of straight no chaser www.ronisize.com www.talkinloud.com
  • 9. FUNKY PORCINI: Il fantasista del Ninjagroove La Ninja Tune è come la Pussyfoot di Howie B: una falegnameria per legni storti d’artista. Funky Porcini, di queste stortezze della zenville londinese, ne è un pò l’araldo. Ma più che Mastro Geppetto, pare un groover incallito che ostenta le migliori guittezze da palcoscenico. La sua abilità nell’estrarre dal proprio baule l’intera “tricknologia” da studio di registrazione è certamente da consumato fantasista. La predisposizione a birillare con i suoni, i timbri e i colori dei panni musicali è dovuta a uno spirito ghignante e umoristico, da capocomico di gran classe. I suoi riccioli dub, le sue ciglia jazz, il suo make up drum and bass, servono a modellare una maschera mobilissima; quando in soffitta estrae le sue orchestrine come coriandoli colorati, tutti noi ululiamo. Perchè la sua abilità nel trucco ritmico è veramente portentosa: i brani da lui plasmati si allungano e si rabberciano a piacimento, frusciando nello spazio come orologi di sabbia. Gran mattatore quindi, il nostro Funky Porcini, perchè ha mandato a memoria il copione dei ritmi e per lui non fa differenza la mescola del funky e della jungle, che i dispari dei suoni lui se li gioca con fantasia. L’insolenza funanbolica delle tracce è encomiabile: Funky Porcini ibrida il suono con sur classe piegandolo alla natura graffiante del proprio temperamento. Così il suo drum and bass è lontano eoni da quello ruggente di Goldie o da quello suburbano di Krust ed è mirabilmente vicino a come l’avrebbe “imbrigliato” un Ornette Coleman con secchiello e paletta. Così i suoi dub sono tanto bogartizzati da far apparire i ganja smokers caraibici delle dame viennesi con bocchino e le sue sottovesti jazz son stracciate come neanche lo erano negli slums di Watts, Los Angeles, negli anni Quaranta del secolo scorso. Tutta la sua magnum opus è rimpinzata di questi panni, messi e tolti vorticosamente uno sull’altro come un brillante Arturo Brachetti del breakbeat. E quando si presenta alle luci della ribalta, una volta smattonato il mascara e gli sgargianti colori della mise en scene, il pubblico applaude e chiede sempre il bis. E così noi, senza dubbi di sorta: perchè la sua arte anche se giocosa e fanciullesca è indice di gran intelletto e cattive maniere. Headphone Sex Ninja Tune Uk 1995 Love, Pussycats & Carwrecks Ninja Tune Uk 1996 The Ultimately Empty Million Pounds Ninja Tune Uk 1999 federino ghiaia
  • 10. SITAR-PISTOLE IN SALSA paese, facendone uno dei maggiori lettori di fumetti di tutta la Terra. La maggior parte di questi si presenta artisticamente INDIANA naïf, con smaccato plagio degli stili propri delle strip americane che popolano i quotidiani statunitensi (in particolare quelle ROGAN GOSH STORY de “L’Uomo Mascherato”), nonché prevalentemente incentrata sugli aneddoti religiosi: i miti eroici del Alcuni anni fa il fumetto rivisse un’epoca assai florida, grazie a “Mahabharata” e del “Ramayana” sono le due principali fonti. un manipolo di britannici che rivoluzionò in poco tempo la letteratura Ma abbondano anche le drammatizzazioni della vita di Gandhi disegnata. Ancora oggi si ricordano quei fasti, tanto fu il successo e della lotta per l‘indipendenza dall’impero inglese, così che i vari Moore, Gaiman, O’Neill, etc... riscossero allora. come le agiografie dei grandi guru, mentre concetti quali Tra questi autori solo due portarono fino alle estreme conseguenze reincarnazione, meditazione ed estasi sono presentati in il restyling in versione dance di questo genere bistrattato quale maniera semplice e positiva, in netto contrasto con la violenza è il fumetto: Pete Milligan e Brendan McCarthy, e l’opera che ha agonistica che abbonda nelle rappresentazioni occidentali. decretato lo stato dell’arte del dinamico duo è senza dubbio Rogan Alla luce di tali considerazioni il nostro McCarthy propone al Gosh. suo socio nel crimine, Pete Milligan, di condurre un esperimento Se siamo stati abituati a sentire la voce degli anglo-indiani che lasciandosi permeare da quell’immaginario, al fine di aprire reinterpretano la società e la cultura britannica secondo il proprio una finestra attraverso la quale il mondo del fumetto differente paradigma culurale, innestando in essa un grande afflato occidentale possa confrontarsi anche con un altro finora spirituale, Rogan Gosh guarda da britannico alla cultura indiana ignoto. Il tutto naturalmente seduti in un ristorante indiano. attraverso la mediazione del menù di un ristorante indiano, Quando un terribile lager appare sul tavolo, Milligan rimane costruendo una storia che si dipana tra mille piani spazio-temporali colpito dal cameriere, indiano anch’egli, che li guarda con (tanto da somigliare alla struttura di una cipolla) e che scivola in solenne distacco, mentre, ubriachi, si cimentano con la una prosopopea di colori e parole tra cui Ganesh, Kalì, Vishnu e spoliazione di una cipolla bhaji. E qui accade l’imponderabile... Kipling si destreggiano con divertita e divertente scioltezza. Caduto in una specie di trance poetica, lo sceneggiatore si Nato quale risposta alla necessità di sentirsi contaminati da altri profonde in una discussione circa il Viaggio nel tempo, Ruyard linguaggi, che già dal Giappone e dalla Francia erano giunti nelle Kipling, i Corridoi (corridors) dell’Incertezza, sitar-pistole al tavole degli autori inglesi, Rogan Gosh cerca di attingere a un laser, e l’intera vexata quaestio della fantascienza indiana, immaginario tanto florido quanto profondo, quale quello indiano. redatta tutta nello stile succulento e ultradescrittivo del E se siamo cresciuti con i supereroi, abbiamo visto affollare le menù del ristorante. nostre letture da déi greci o nordici (pensate alla saga di Thor o “E’ fantastico” sussurra McCarthy, mentre la fiamma della a quella di Wonder Woman), mai abbiamo avuto a che fare con candela oscilla al suo fiato, accrescendo la tensione di tutta la mitologia indiana (a meno che non ci si ricordi di “Zio paperone la scena, “ma abbiamo bisogno di un buon titolo. Come lo e la dea Kalì”, dove per altro la divinità indiana appariva solo chiamiamo?”. sotto forma di statua, perciò immobile e inanimata). Il cameriere si avvicina per prendere le ordinazioni. McCarthy Gli stessi pensieri hanno assalito Brendan McCarthy e lo hanno chiede un consiglio per il secondo: qualcosa di piccante, ma spinto a indagare la fenomenologia del fumetto indiano. non troppo. Se eravamo a conoscenza del fatto che la produzione Il cameriere li guarda, sempre stranito: “Posso suggerire cinematografica di Bollywood fosse la più imponente del nostro Rogan Gosh?”. povero globo, non era così automatico dedurre che il più grande editore di fumetti indiano, Amar Cihtra Katha, riuscisse a far ROGAN GOSH di Pete Milligan (sceneggiatura) circolare oltre settantacinquemilioni di copie di fumetti nel proprio e Brendan McCarthy (disegni) Fleetway, 1990 federico a. amico mccarthy (revolver magazine) AMITAV GHOSH Cromosoma Calcutta Einaudi 1996 Sopra potete leggere di Rogan Gosh di Milligan e McCarthy e delle problematiche della fantascienza Tutto ha inizio quando l’egiziano Antar, in un futuro non troppo remoto, residente a New E’ così che si entra in una girandola di situazioni indiana (ricordate le o i sitar-pistole laser), e quando poco dopo aver riletto il fumetto in questione York, impiegato presso la Life Watch, addetto alla ricostruzione di documenti, o frammenti sviluppata su diversi piani temporali (passato – presente ci è capitato tra le mani il gustoso romanzo di Amitav Ghosh (anche perché il suo cognome ricorda di essi, perdutisi negli sterminati meandri degli archivi della Rete, esponente della – futuro) tra India e USA alla ricerca di un cromosoma molto da vicino parte del titolo del fumetto britannico, per lo meno nella pronuncia di noi occidentali) categoria dei tele-lavoratori, categoria che presto si andrà a popolare di numerose unità, detto Calcutta che sembra nascondere dietro il proprio naturalmente non ci siamo tirati indietro. quasi per caso incappa in un frammento che gli rammenta un incontro avuto diversi anni nome e la propria sostanza il segreto dell’immortalità. Fatto sta che oltre l’intrigante ed enigmatico titolo “Cromosoma Calcutta” viene stampato il non prima con un suo collega: tale Murugan. Ai tempi dell’incontro, il collega era tutto preso Riti occulti, assistenti medici senza età, complotti volti meno affascinante sottotitolo “un romanzo di febbre, delirio e scoperta”, così che ci gettiamo di dalla ricerca volta a svelare i misteri che circondano la figura di Sir Ronald Ross, premio a preservare le pratiche mediche antagoniste, sono slancio nella lettura per poi rimanere invischiati nella trama e rapiti dalla sorpresa per aver scoperto Nobel per la medicina del 1906. Il medico dell’Impero Britannico, in India, aveva scoperto, solo alcuni degli elementi che fanno di “Cromosoma una narrazione così convincente venata di fantascienza e paranoismo, alla quale i narratori post- attraverso una presunta lunghissima ricerca sulla zanzara anofele, le modalità di Calcutta” un thriller in bilico tra fantascienza e filosofia moderni americani (i Pynchon e i Vonnegut) ci hanno abituato, e che non sospettavamo essere presenti trasmissione del virus della malaria. Il problema che Murugan ha riscontrato è che Sir che ci getta alla scoperta di un’India sempre più da anche nella narrativa indiana. Ross aveva condotto ben poca ricerca, trovandosi in India solo perché obbligato dalla affascinante, capace di preservare un’identità Amitav Ghosh è nato a Calcutta nel 1956 e dopo aver studiato a Oxford, vive da qualche anno a New famiglia, e non solo: le conoscenze mediche del premio Nobel risultavano dalle sue impenetrabile. York, e questo dovrebbe spiegare molte cose circa quanto appena accennato. La contaminazione di indagini molto scarse, tanto da far pensare non solo alla casualità fortuita della scoperta, stili e immaginari è quindi quanto di più consequenziale si possa pensare, tanto da essere, la ma a un vero e proprio “complotto”. contaminazione, al centro dell’intero romanzo. federico a. amico
  • 11. stefano camellini media blitz HEFNER: un musicista dall’orecchio filmico Le tue composizioni sono molto originali ed elaborate, come entri nella musica? La prima volta che ascoltai un Dipende. A volte mi basta essere nel giusto stato mentale, più spesso invece ho assolutamente segmento di Lee Jones alias necessità di silenzio, di concentrazione.. anche il trillo del telefono mi distrae. Ecco perché Hefner capitò circa tre anni fa la maggior parte delle volte lavoro di notte, poiché avendo lo studio nella mia camera, posso e fu subito amore. stare tranquillo solamente allora. Inoltre una cosa che mi ispira e mi affascina moltissimo è la LA PRIMA VOLTA CHE… Ricordo che lo estrassi da una città: di notte mi guardo Londra dall’alto (abito al 15° piano di un palazzo nel West End - il serie di 12" tutti della Inertia centro in pratica) ed è nel brulichio della notte che spesso trovo ispirazione. Rec. avuti in anteprima Una caratteristica tua, come della contemporanea scena elettronica, è (ciò che noi chiamiamo) dall'amico Stefano Ghittoni. l’orecchio filmico, cioè la tendenza già insita nel nostro dna generazionale di una narrazione Quando, dopo pochi mesi, fu la cinematografica dei suoni. Cosa ne pensi? volta del singolo "An evening L’ispirazione mi viene fondamentalmente dal cinema. Sono stato a lungo studente per poi with Hefner " gridai al miracolo! diplomarmi in Cinematografia e Sceneggiatura ed è proprio lì che ho imparato ad utilizzare i Ovviamente l'uscita del suo tempi, le pause, le sospensioni… la tecnica del timing mi viene da quell’esperienza. Inoltre primo album "Residue" avvenuta credo che anche l’atteggiamento orchestrale mi venga dall’analisi di colonne sonore di alcuni qualche mese fa non mi ha colto film che ho molto amato impreparato confermando che come i film newyorchesi alla Woody Allen, Coppola e Scorsese. Di Woody Allen apprezzo molto il giovane Hefner è sicuramente quella comicità profonda ed intelligente che i suoi film propongono. Una colonna sonora da uno degli artisti più interessanti musicare? “Un uomo da marciapiede” di Martin Scorsese. Un film bellissimo, unico. che la pur prolifica Inghilterra La figura del musicista oggi. Qual è la tua esperienza? ha sfornato in questi ultimi anni. Ho imparato a suonare gli strumenti da solo. Come molti ragazzi degli anni ’90 sono un autodidatta, per quanto abbia tentato di prendere lezioni seriamente sia di chitarra sia di pianoforte poi Peccato che qui da noi per mi sono scoraggiato. Ci vuole tempo troppo tempo ad imparare tutti i segreti di uno strumento.. problemi di distribuzione il disco tempo che ho preferito usare ad ascoltare musica. Credo di aver ascoltato musica da sempre, risulti praticamente da prima ancora di quanto riesca a ricordare: ho ascoltato giorni interi e notte intere di musica introvabile,ma non disperate, elettronica, jazz, drum n bass, qualsiasi cosa. Mi piace il suono e capire i segreti delle varie probabilmente l'operaio produzioni, comprendere come mettere insieme tutti i suoni mi affascina sempre. "Silvio B." tra pochi mesi Quali sono le tue principali influenze? risolverà anche questo caso. Cosa mi influenza? La città. Nonostante infatti io sia cresciuto in campagna e sia andato a vivere a Londra solamente più tardi, mi sento influenzato ed ispirato dal clima che si respira in città. AKY TUNE @ Disco d’oro, Cammino e sento un’energia incredibile per le strade, nei ritmi frenetici della città, percepisco Bologna la vitalità delle diverse popolazioni e culture… la mia musica sarebbe differente se davanti avessi un oceano, una spiaggia o paesaggi rurali.
  • 12. INDIA un continente sconfinante "...Ed ancora vi dico che questi bregomanni none ucciderebbero niuno animale di mondo, nè pulci nè pidocchi nè mosca nè veruno altro, perchè dicono ch'elli ànno anima, onde sarebbe peccato. Ancora no mangiano niuna cosa verde, nè erba nè frutti infino tanto che non sono secchi, perchè dicono anche ch'ànno anima. Elli dormono ignudi in sulla terra nè non tengono nulla nè sotto nè adosso; e tutto l'anno digiunano e no mangiano altro che pane ed acqua..." Marco Polo "Il Milione" (descrizione dei bregomanni, i brahmani, della provincia indiana del Gujarat) Una nazione che è continente. Un continente che mescolanze. sconfina in altre nazioni. Sri Lanka, Pakistan, Varcanti tutti i confini, abitanti metafisici dei Nepal, Bhutan, Bangladesh, una corona di nomi borderline, ansiosi dell'altrove, gli indiani furono che è un nome solo: India. Suolo s-misurato e s- definiti mirabilmente da Massimo Mila come quel misurabile, permeato dal balbettìo di culture che "popolo cui non è patria questa terra, ma è per prime hanno osato l'inosabile: pensare l'infinito. destino il cielo"…. Terra quindi senza frontiere, luogo dalla sfrontata Genti nobili gli indiani, abituate a sconfinare, a grandezza. Unica malattia d'India è quando le rimettersi in movimento, èra dopo èra. riemergono confini al suo interno, dalla tellurica I figli d’India, intellettuali migranti o musicisti notte dei tempi, tra nazionalismi e razzismi. Ma digitali, trasportati come spore ai quattro angoli non sono queste le profondità abitate dai suoi della Terra dal Soffio della Vita, portano con sè popoli perché l'India è la madre di tutte le il raggio di luce e le cellule fragili del suolo paolo davoli
  • 13. INDIA: oltre la musica BENVENUTI NEL SECOLO DELLE PICCOLE COSE… courtesy of thames and hudson ltd. © 2000
  • 14. intro Deterritorializzare l'India. Raccontare il sub continente indiano attraverso percorsi, letture, suoni, immagini che sempre più spesso sconfinano al di là dell'India. L'India che non abita più l'India: il suo "fuori", le sue eccedenze carnose che scelgono quale misteriosa linea di fuga l'urbanizzazione di Londra, New York, Nairobi, Kuwait City, Johannesburg, Firenze. Un intero continente in movimento che vogliamo cogliere nel momento in cui questo motus vivendi produce segni ad alta intensità. Il viaggio nel mondo indiano per un europeo non è impresa facile, nè nella descrizione nè nella comprensione. Spesso il fascino che quel “pianeta” proietta è un'immagine che filtrata attraverso lenti occidentali appare distorta. In passato diversi scrittori europei sono caduti nel tranello di decifrare l'indecifrabile, di decidere l'indecidibile. Per l' Occidente il continente Asia rimane ciò che è stato per migliaia di anni: irriducibile al proprio pensiero. Enigma di enigmi, l'India è come l'acqua e il tempo: inafferrabile. Da Pasolini a Manganelli, da Junger a Schmitt, da Chlebnikov a Forster, da Kipling a Hesse, gli intellettuali europei ci hanno sempre mostrato aspetti fuori-misura del mundus indiano, cedendo consistentemente al folclore asiatico. Di fronte alle semplificazioni attuate da noi europei e alle contraddizioni hindi occorre quindi ridisegnare le cartografie indiane per scomporne l'oleografia esotica. Ri-tracciare il divenire asiatico, contraffarre le mappe dei suoi mondi, abbandonarne le frontiere, abitarne il destino al di là dei confini. Il polmone spirituale indiano è oggi raccontato nevroticamente ma in profondità da scrittori che sono cittadini del mondo prima che bengalesi, tamil o sikh. Scrittori come Amitav Gosh che ci racconta del cromosoma Calcutta e di formule dell'immortalità perse nelle reti digitali o Vikram Chandra che istoria densità magiche e fantasmagoriche sullo sfondo di Bombay o Hanif Kureishi che ambienta le sue coppie in crisi nella Londra contemporanea. Ma sembrano già un esercito poiché dietro loro una straordinaria moltitudine di protagonisti, anche di generazioni diverse, cresce come un’onda: Vikram Seth, Arundhati Roy, Jumpa Lahiri, R.K. Narayan, V.S. Naipaul, Khushwant Singh, Michael Ondaatjie, Raja Rao, Anita Desai… Nel bagliore d'India, impassibile e altera, sta un futuro continente che nel 2001 festeggerà la nascita di un bambino/a che aggiornerà alla favolosa cifra di UN MILIARDO le genti che frequentano i suoi mondi. courtesy of instar libri © 1999
  • 15. Joy, il Delta-funk nella terra del Gange Federino Ghiaia è all’apice dell’irrequietezza. Come apostolo di tutte le eccitazioni, dopo una notte di sfrenata lussuria, viene tradotto nelle segrete del Maffia e quivi messo a dub e acqua per settimane. Con gli occhi smarriti e la lingua sbarrata accoglie di malavoglia l’invito federino ghiaia perentorio dell’arcigno don della rivista per un’altra recensione “indiana”. Ancora spossato dalla precedente libagione, borbotta tra sè e sè: “Ecco cosa mi vorrebbe. Poichè lontano dalla mia regina mi prosciugo come un fiume sahariano e mi sento il vento dentro come certi uccelli africani, chiedo di recensire musica celeste dove possa udire il sussurrìo dei ramoscelli e le melodie dei fiori secolari....” Il Perchè è nella terra di Garuda e di Prajapati, dove si assopisce equatorialismi, tabla’n’bass monsonici irrorano le sonotracce l’impossibile, e regna sovrana la poesia e la magia. E’ il luogo rigonfie di flutti marini digitali, pigliando a gabbo certe dove le pupille del cielo si specchiano nelle paludi solitarie e dei- fànfalùche europee.... Immaginiamoli questi Joy, sulla riva elefanti s’immergono nei merletti azzurri di fiumi eterni... Già della Madre Ganga, nella debole foschia del mattino, tra il con la gente del Delta non si può scherzare. Quale delta? Quello verde silvestre, dediti alle sitariadi in terra bangladescia, tra primordiale, debordante, enorme e torpido del Gange... Dove musiche ambientali di cedri che sbocciano e tigri auguste del cercare la poesia del suono, se non lì, tra vetuste canne di bamboo Bengala che sbadigliano.... alte come il Bodhisatva di Bangalore o tra urti di corna di bufali Rispetto alle moltitudine ariane dell’asian breakbeat i Joy in battaglia? Dove trovare un’alveo così soave che catturi le paiono dei capo-pompieri tanto annacquano le polveri dei beats melodie dei fiori secolari e il lento sussurrare dei ramoscelli o il incendiari ma apparecchiano poi certe originali tovaglie di suoni rauco fischio del ciliegio nero? Ma sulla rotta delle Indie, nelle ipnotici e ambient funk che conquistano sommessamente, Netherlands orientali, la terra dei Joy e dei Monsoni, il Bengala ascolto dopo ascolto... orientale, oggi Bangladesh!! Un paese immerso nell’acqua, rapinato Nonostante la profonda mezzanotte abbia bussato di recente ogni stagione da violente inondazioni, afflosciato nel verde della alla loro porta, i due gemelli Shamsher, Haroon, ora defunto, sua dolente natura. Un luogo madido di rugiade, ruscelli, fiumi, e Farook Joy, si elevano grazie alla loro musica celeste, unico estuari, foci, infiltrazioni, muffe, scrosci, nubifragi, maree. rifugio alla ruota tragica del destino.... Naturale che il mago-suono ne risenta. E’ a questo dio-mago del suono che i Joy si sono votati. In questa accozzaglia acquatica, ....Ebbri del vino che i Re Magi bevvero sulla via di diluvi di tablas, dholki e sarangi s’infrangono contro torridi funk; Betlemme....ballano la danza gioiosa dell’esistenza...(Coleman elettroniche audioscritture cozzano contro agili techno- Barks) Joy - Joy First (Real World) Joy - We are Three (Real World) www.realworld.on.net
  • 16. KUREISHI & LAHIRI ANGLO-ASIATICI TRA INTEGRAZIONE E IDENTITÀ. ARTISTI ANGLO INDIANI E INDIANI AMERICANI. DALLA MUSICA ALLA LETTERATURA GLI ORIZZONTI CULTURALI SI ESTENDONO OLTRE LE FRONTIERE, PUR MANTENENDOLE. DA HANIF KUREISHI A JHUMPA LAHIRI A NITIN SAWHNEY, IL NUOVO MILLENNIO RAPPRESENTA UNA SORTA DI PALCOSCENICO DELLA MULTICULTURALITÀ. Mantova, Festivaletteratura 2000, nel chiostro del Museo Diocesano, in una cornice suggestiva ci troviamo davanti una giovane donna indiana di delicata bellezza venuta a presentare il suo primo lavoro: L’interprete dei malanni. E’ una raccolta di nove racconti brevi editi in Italia da Marcos y Marcos che le hanno consentito, negli Stati Uniti, di vincere il premio Pulitzer 2000 per la narrativa. Nel corso dell’intervista alla quale si sottopone con estrema grazia, Jhumpa Lahiri - trentatreenne angloindiana residente a New York - ci delinea i personaggi e le situazioni da lei descritte. Ricordi di terre lontane conosciute e vissute jumpa lahiri durante le vacanze estive di una bambina americana, odori hanif kureishi jane brown © e sapori di una cucina tanto in contrasto rispetto ad hamburger e patatine, frammenti di frasi e cantilene in bengali impresse nella mente, note di canzoni che accompagnano le calde notti… I richiami alla tradizione sono continui e persistono non più sotto forma di cornice bensì concorrono a dare ai racconti l’atmosfera nella quale i personaggi – indiani emigrati in America - si calano. Un’atmosfera in bilico tra nostalgia e speranza che a volte risulta essere tanto profonda da paralizzare le voci dei protagonisti, la loro stessa capacità comunicativa per favorire un atteggiamento che li induce a fantasticare sul presente e sul passato. Poi, ad un tratto qualcuno parla: e tutto si rivela. Il climax viene raggiunto alla fine del racconto come in una sorta di epifania joyciana, oltre la quale tutto sarà nuovo e rinascerà. La rivelazione resterà comunque una conquista, un punto di partenza di cui andare fieri ed orgogliosi. Il personaggio del racconto Il terzo e Ultimo Continente conclude il suo interior monologue comprendendo l’enormità della sua azione, riconoscendone al tempo stesso, con infinità dignità, la sua semplicità “(…) mentre gli astronauti sono diventati eroi per aver speso poche ore sulla luna, (siamo nel ’69) io sono rimasto in questo nuovo mondo (gli Stati Uniti) per quasi trent’anni. (…) Eppure, ci sono momenti in cui mi sconcerta ogni singolo miglio percorso, ogni pasto mangiato, ogni persona incontrata, ogni stanza in cui ho dormito”. Lo sforzo che i personaggi compiono nel vivere a metà tra due culture viene evidenziato anche da un altro grande scrittore contemporaneo anglo-pakistano, Hanif Kureishi. Noto negli anni ottanta alla critica come sceneggiatore teatrale e cinematografico, raggiunge la notorietà negli anni novanta grazie alla pubblicazione di alcune raccolte di short stories ed alcuni romanzi. L’ultimo suo lavoro pubblicato in Italia, una raccolta di storie brevi intitolata Mezzanotte tutto il giorno, ci accompagna tra personaggi letizia rustichelli
  • 17. e coppie di amanti in difficile equilibrio tra compromessi e incomprensioni. Anch’essi tacciono, fantasticano e pensano sotto forma di profondi monologhi interiori. E si contornano di semplici gesti, come se fosse ciò che sembra insignificante agli altri ad essere fondamentale per la vita dei protagonisti. Per Kureishi scrivere significa decodificare le incomprensioni degli emigrati asiatici nelle periferie londinesi, rappresentando un mondo nel quale fin da bambini la necessità primaria del capofamiglia è sopravvivere in una nuova società dove “non è concesso volare troppo in alto” (you couldn’t get above your station; you couldn’t dream too wildly), come dice lo scrittore in un suo essay. In Midnight All Day egli supera l’analisi sociale e si spinge fino a descrive l’inadeguatezza dei personaggi anche dal punto di vista relazionale e sentimentale in una continua ricerca di bisogni specifici, ansie e desideri. Ciò che resta alla fine del viaggio è la ricerca di sé stessi e l’accettazione dell’altro. Un’alternanza tra volontà di integrazione e necessità di mantenere la propria identità. Asia, Europa ed America. Letteratura e musica. Si perdono i confini ma il bilico resta. I malanni vanno interpretati, in qualche modo. Nitin Sawhney, famoso musicista angloindiano nominato per i Music Awards del 2000, ce lo ricorda. Nella sua toccante “dichiarazione d’intenti” all’interno del disco Beyond Skin scrive: “Sono Indiano. O per meglio dire sono cresciuto in Inghilterra ma i miei genitori vengono dall’India. Terra, gente, governo, o la stessa parola ‘indiano’ cosa significano? In questi giorni il governo sta testando gli armamenti nucleari in suo possesso. Sono meno indiano se non difendo queste azioni? “The image I have is of an open mouth, Meno indiano per esser nato e cresciuto in Inghilterra? Per non parlare hindi? E non sono inglese saying nothing” a causa della mia eredità culturale? O per il colore della mia pelle? Chi decide? La ‘Storia’ mi H. Kureishi racconta che la mia eredità arriva dal sub-continente, un paese del terzo mondo, una nazione in via di sviluppo, una terra colonizzata. Ma cos’è la storia? Per me solo un altro termine eurocentrico arrogante… Nei libri di scuola ho imparato solo la storia della Russia, dell’Europa e dell’America. BIBLIOGRAFIA KUREISHI L’India, il Pakistan, l’Africa.. questi erano luoghi pieni di gente che non contava… gli schiavi, gli inferiori, i sottomessi. (…) Mio padre e mia madre sono presenti in questo album: le loro voci My Beautiful Laundrette and the Rainbow Sign, Faber & Faber, London 1986 raccontano con ottimismo i progetti per il futuro, mentre i nazisti inglesi si contendono tra Combat 18 e British National Party l’eroico gesto di buttare bombe contro gli asiatici a Brick Lane. Il BJP, London Kills Me, Faber & Faber, London 1991 partito indù fondamentalista in India, il BNP in Inghilterra. I primi mi definirebbero per la mia Londra Mi Uccide eredità religiosa, gli ultimi per il colore della mia pelle. Io credo nella filosofia indù. Non sono Baldini&Castoldi, 1997 un religioso. Sono un pacifista. Sono un aglo-indiano. La mia identità e la mia storia sono definite The Buddah of Suburbia, solo da me stesso, al di là della politica, della nazionalità, della religione e della pelle.” Faber & Faber, London 1991 Il Buddah di Periferia Mondadori, 1995 The Black Album, Faber & Faber, London 1995 Love in a Blue Time, Faber & Faber, London 1997 Amore in Blu Bompiani, 1999 My Son the Fanatic, Faber & Faber, London 1997 Intimacy, Faber & Faber, London 1998 Nell'intimità Traduzione di Ivan Cotroneo, Bompiani 1998 Midnight All Day, Faber & Faber, London 2000 Mezzanotte Tutto il Giorno Bompiani 1999 Gabriel's Gift, Faber & Faber, London 2001 BIBLIOGRAFIA LAHIRI Interpreter of Maladies, Flamingo, USA 2000 L'Interprete dei Malanni Marcos y Marcos 2000 lorenzo lanzi © marcos y marcos
  • 18. INGEGNERE INFORMATICO OFFRESI. E' un ragazzo magro, con gli occhiali rotondi e la montatura sottile, MAFFIA TRAVELLER che mi avvicina mentre bevo una proibitissima birra la notte di Capodanno a Mammallapuram, famoso centro culturale nel Sud dell'India. Rupesh è di Madras, capitale del Tamil Nadu ora Chennai come prima della colonizzazione Inglese. La sua città è immersa in una nebbia permanente dovuta al congestionamento creato da mezzi inusuali per l'occidente: camion Tata, risciò a motore, carri trainati da buoi, antiche Ambassador bianche. In questa città fioriscono, a fianco dei negozi di cotone e dei templi Indù numerose scuole di informatica di ogni livello. Appena iniziamo a parlare avverto che la nostra non è una conversazione disinteressata: "Fra qualche mese sarò ingegnere informatico, puoi trovarmi un lavoro in Italia? Mi lasci un numero di telefono?" La richiesta mi coglie un po’ di sorpresa, nella nostra società un ingegnere non ha bisogno di chiedere un posto di lavoro ad uno straniero conosciuto durante i festeggiamenti per l'anno nuovo. Per Rupesh questo è assolutamente naturale, se non necessario. L'India è forse il più interessante serbatoio di cervelli informatici che rifornisce le strutture della new economy occidentale e asiatica, data la grande disponibilità al lavoro di questi professionisti e le minor richieste economiche che pongono rispetto ai pari livello americani o giapponesi. Questa interessante opportunità ha creato un immenso numero di specializzati in questo settore che non può essere totalmente assorbito dall'offerta esterna al paese ma che necessita di una richiesta interna. E' stato imbarazzante dire a Rupesh di cercare su internet opportunità di lavoro, spedendo curriculum, informandosi sulle necessità del mercato e sulle caratteristiche delle società potenziali assuntrici sapendo quali difficoltà esistono per la connettività. I molti e diffusi internet point che si trovano nei centri urbani sono pieni di studenti in fila che per 50 rupie all'ora si collegano nel tentativo di rendere materiale una teoria studiata spesso su supporti cartacei. edwin ferrari Le facoltà di Informatica spesso non hanno le attrezzature necessarie e lo studio sul computer avviene in modo discontinuo e faticoso; si avverte un netto distacco dalla preparazione teorica di questi ragazzi e l'uso domestico ed empirico delle tecnologie che può sviluppare solo chi ha accesso quotidiano alla rete. Seppure Bangalore, Mumbay, Madras sono sempre di più i centri della economia tecnologica indiana, la sensazione e che siano colonizzate dai grandi interessi internazionali che guardano all'India più come ad un miliardo di nuovi interessanti consumatori che ad un continente che potrebbe risolvere i propri problemi di sviluppo grazie alle tecnologie più accessibili. Rupesh più che di un lavoro che lo porterà negli USA o in Inghilterra ha bisogno di conoscere esempi di imprenditorialità che possano far perno sulle sue conoscenze e sulla sua cultura. Gli esempi non mancano: sfogliando la rete si possono scoprire migliaia di piccoli e-business indiani legati al turismo, alla musica, alla cultura e alla grande curiosità che questo paese riesce a suscitare negli occidentali. Come per altri paesi del mondo la sfida dell'India sta proprio in questo: costruire una via indiana allo sviluppo globale o diventare l'ennesima fonte di energia utile allo sviluppo occidentale.
  • 19. Modulations Lara Lee, Peter Shapiro, Simon Reynolds A History of Electronic Music: Throbbing Words on Sound Art Publishers 264 pagine $29.95 Ottobre 2000 (USA) Pubblicato lo scorso ottobre negli Stati Uniti, Modulations ricostruisce la genesi e l'evoluzione della musica elettronica dal novecento ad oggi. Nato come spin-off dell'omonimo documentario pubblicato nel '98 da Lara Lee, Modulations è un'opera di largo respiro che supera i limiti strutturali dei volumi della collana inglese Rough matteo bittanti Guide. Impreziosito da una selezione di saggi scritti da musicisti, giornalisti e critici musicali del calibro di David Toop, Peter Shapiro, Rob Young, Kodwo Eshun, Chris Sharp, Tony Marcus, Kurt Reighley e Michael Berk, Modulations delinea in modo preciso i contorni di generi come hip-hop, disco, jungle, drum 'n' bass, ambient, downtempo, house, techno. Generi le cui origini vengono ricondotte a matrici comuni come la sperimentazione dell'avanguardia futuristica italiana e le invenzioni di Pierre Henry e Pierre Schaeffer. Modulations racconta in modo puntuale e preciso i primordi della musica elettronica attraverso una serie di profili di autori come Kraftwerk, Xenakis, Morader, Moog e Cage. Il volume è arricchito da un ampio glossario, una cronologia, una serie di schede degli autori trattati, un'articolata discografia e numerose interviste (Squarespusher, Moroder, Macero, Genesis e P-Orridge, tra gli altri). Chiude il volume una chiacchierata con il futurologo di professione Alvin Toffler. E per chi è alla ricerca dell'esperienza multimediale totale consigliamo anche il documentario originale (Modulations: Cinema For The Ear, una serie di interviste ai padri dell'elettronica, da Karlheinz Stockhausen a Roni Size) ed il soundtrack che include chicche come "Planet Rock" di Afrikaa Bambaataa, "Amazon 2- King Of The Beats" di Aphrodite, "The Shadow" di Goldie & Rob Playford nonché il remake di Moroder di "I Feel Love" targato Donna Summer. da sanfrancisco, matteobittanti (mbittan@tin.it)
  • 20. IL SUONO MIGRANTE DI NITIN SAWHNEY Il concerto è sold out da parecchi giorni. L’attesa è enorme. Nitin non suona a Londra da mesi, da quando è partito per un lunghissimo tour internazionale che ha toccato tutti i continenti. Ora si ripresenta al proprio pubblico grazie alla nomination di Beyond Skin, il suo ultimo album, al Mercury Prize anno 2000. A Londra tutti mormoravano che il premio sarebbe dovuto andare a lui e non a qualche esangue rocker bianco, ma per motivi di “politica” industriale non sarebbe stato un “asiatico” a vincere per due volte di seguito l’ambito premio. Così mormorava la città, così è stato. Dopo Talvin Singh, non passa lo straniero!! Corpi che si muovono silenti. Corpi minuti, esili. Sui corpi, vestiti laceri, tessuti strappati. Una umanità offesa eppure nobile nei suoi sguardi. Le strade sono polverose. Vissute. Biciclette, risciò, macchine russe e americane. Mucche e poi topi. E poi ancora corpi che camminano. Dettagli in movimento. Uomini che non hanno meta, camminano con i loro poveri averi. Parte “Tides” e il boato della folla è esplosivo..... Lo schermo è gigantesco, proprio alle spalle del gruppo. I visuals sono dei light-jays Yeast, famosi qui a Londra per la bellezza delle loro immagini. Ora l’intera band si è sistemata sul palco. E s’intravvedono i primi cambiamenti. Non c’è più l’incredibile batterista “jungle” Marque Gilmore, chiamato alla corte di Madonna, la pop star ora residente a Londra. A compensare la delusione per l’assenza di Innamost Gilmore, c’è il gruppo al completo, con tutte le voci di “Beyond Skin”. Il colpo d’occhio sul palco è bellissimo. C’è la chanteuse degli Smoke City, Nina Miranda, al centro con la soul diva Sanchita Farruque e ai lati Jayanta Bose e il bravissimo mc, JC001. Poi a semi arco, tablas (Aref Durvesh), batteria (Jamie Larmott) e basso (Eric Appapoulay). Sawhney alle tastiere chiude il lato sinistro del palco. Dietro al tablista, spettacolo nello spettacolo, il quartetto d’archi che ha collaborato con Nitin Sawhney e i 4 Hero, gli Instrumentals Il primo sussulto arriva dopo una folgorante versione della flamenca “Herecica Latino”, con un brano inedito, annunciato come frutto del tour italiano. “Trip Blues” sembra il titolo del pezzo ed è un suadente groove-blues dalle cadenze equatoriali, con Tina Grace alla voce. Alla fine del concerto saranno tre i brani inediti presentati e tutti all’altezza di “Beyond Skin”. Il quinto album di Nitin sembra essere alle porte e qualcuno intorno a noi dice che Sawhney ha firmato per la V2 e l’album uscirà a giugno. Ci guardiamo tra noi: sarà vero? Speriamo di sì, è la nostra veloce risposta.... Il concerto volge al termine. Nitin gioca in casa. Nel pubblico c’è la stessa passione dei derby calcistici, ogni brano viene salutato da ovazioni. E il pubblico è ampiamente ripagato da un concerto torrenziale, oltre due ore di immagini e musiche bellissime, coinvolgenti e raffinate. L’interazione è totale. Il terzo bis si chiude a sorpresa con l’ancient funk di “Black Gold of the Sun” (ve la ricordate remixata dai 4 Hero?) cantata coralmente da pubblico e gruppo. Cala il sipario di una serata tra le più clamorose e memorabili. Mille di questi concerti, Mister Nitin Sawhney!! paolo davoli
  • 21. Orchestral World Groove feat. Raiss C’è grande attesa nei vicoli notturni LIVE@NOTTING HILL Napoli della città per vedere all’opera il figliol press office prodigo Rino della Volpe aka Raiz, Raiss o come meglio credete. Tra le mini- popstar napoletane, del resto, è uno dei pochi a mettersi continuamente in discussione. Ad accoglierci però non c’è solo lui: la calda voce è piuttosto ospite del combo DJ PATHAAN, originario del Pakistan, cresce nella scena post-acid house dei primi anni ’90 e collabora Orchestral World Groove, ovvero alle serate Anokha di Talvin Singh al Blue Note di Londra. Si impone come dj di punta in grado di miscelare i suoni orientali con quelli occidentali. Notato da David Bowie, Pathaan, diviene il dj di supporto del suo Pathaan e Gaudì, due pionieri della tour europeo del ’97. Promotore delle serate Swaraj, Audio Sutra e Stoned Asia, di cui cura le tre compilation scena world groove non solo inglese, per la Kickin Records, Pathaan viene premiato ad Ibiza con gli MTV Awards. Il suo set sorprende con elementi che aprono la sessione. spirituali e pulsa di energia positiva intrecciando ritmi dub, breaks hip hop, house, drum and bass e asian Pathaan ai piatti e Gaudì al moog, echi breakbeat. a nastro e theremin macchina che crea Nell’attuale formazione che porta il nome di Orchestral World Groove, Pathaan incontra GAUDI’,famoso un campo magnetico all’interno del produttore e maestro di dub napoletano, ora residente a Londra e di cui quest’anno è uscito il terzo lp “Earthbound”. Insieme iniziano a Londra un’interessante collaborazione che vede come base per i loro quale il movimento delle mani via synth dj set dubbati le serate al Mass di Brixton. In Italia arrichiscono la loro performance con la voce e la produce splendidi effetti acustico-visivi 29.12.00 danno inizio ad un set che vedrà la fine cinque ore dopo. C’è tanta Asia, ma non solo: nei suoni, negli odori, nelle immagini, confluiscono culture inaspettatamente omogenee; si avverte, forte, il segno di Guadì. Ne vien fuori un etno-dub dalle improvvise accelerazioni che i presenti dimostrano di apprezzare. E’ il momento di Raiz: un altro colore che si aggiunge, ancora più calore in scena. Si chiude il cerchio: lamenti arabi peppe di gangi si intrecciano alla sua voce e il concerto decolla. Il pubblico dimostra di apprezzare le performance di Gaudì al theremin. Pathaan tiene sotto controllo il ritmo. Raiz ci mette anche un po’ di
  • 22. Un lustro di funk fuoricasta e breakbeat asiatico L’Outcaste records compie 5 anni. Fu fondata da Shabs della Media Village nel 1995. L’obiettivo era quello di documentare il nascente movimento artistico-musicale dei British Asians che in quegli anni stava iniziando la sua ascesa. Ed è proprio il fiancheggiamento al cosiddetto Asian Underground che ha permesso all’etichetta di Leicester Square di valicare i confini britannici e di diventare un punto di riferimento a livello mondiale della scena dance. Questo risultato è da attribuire in primis al loro artista di punta, Nitin Sawhney. E’ grazie al suo successo internazionale che l’etichetta ha portato il proprio suono in tutti i clubs del mondo. Albums di Sawhney come “Migration” del 1995, “Displacing the priest” del 1996 e “Beyond Skin” del 1999 hanno propagato in tutto il mondo il particolare blend di funk, drum and bass, dub, musica indiana, London beats e jazz che è il marchio di fabbrica dell’Outcaste. E infatti lo ritroviamo per intero nell’ottimo nuovo lp di Badmarsh & Shri “Signs”. Teoria e prassi confermata in toto nell’albo celebrativo “The first five years” dove la galassia Outcaste viene allargata con massimo zelo ad altri pari: Thievery Corporation, Up, Bustle & Out, Bonobo tra gli etrangeres e i nuovi virgulti del Verbo, Niraj Chag e Sutrasonic. courtesy of outcaste www.outcaste.com Spiccano tra le altre, le riletture di brani di Sawhney proposte da Rainer Truby e Joe Claussel e le vecchie pepite di suono indopop speziate sixties come “Mathar” e la “Light my fire” doorsiana riletta dal guru Ananda Shankar. Godibilissima, l’opera si fa apprezzare per la coesione d’intenti e di realizzazione, creando un universo sonoro compatto, raffinato e unico. L’elemento decorativo di tabla e sitar riemerge prepotentemente nelle altre due raccolte uscite dalle Outcaste Industries. Qui il discorso diventa un po’ più deviante, sia dal punto di vista filologico sia dal punto di vista musicale-estetico. Ambedue le compilation pescano nel torbido pozzo delle colonne sonore bollywoodiane, l’industria cinematografica indiana, il cui centro maggiore è a Bombay. E’ chiaro che l’operazione nel caso di “Bollywood Funk” rasenta la nostalgia e ha lo scopo tutto voyeuristico di ritrovare le proprie radici indiane, specie quelle meno colte e più legate al glamour bollywoodiano. paolo davoli Troviamo infatti la stessa estetica cosmopolita delle nostre colonne sonore cinematografiche anni sessanta e settanta: speed groove-jazz e patine orchestrali su disimpegnate versioni di gusto estetizzante Album: funk pop. In realtà si celano dietro a nomi coperti da polvere e Storia, prodigiosi compositori che per sbarcare il famoso lunario, ebbero a compromettersi con il kitch indiano dell’epoca. Trovare similitudini AAVV con le raccolte che da quasi un decennio ammorbano il mercato italiano ed europeo non è sbagliato. The First Five Years I Morricone dalla pelle scura hanno i nomi esotici di Laxmikant Pyarelal o R.D. Burman e i brani Outcaste Uk 2000 suggeriscono il rare groove orientale come “Hare Rama Hare Krishna” o “Johnny Mera Naam” o “Shalimar”. Inutile dire che il fascino retrò di un’operazione del genere può conquistare solo coloro AAVV Bollywood Funk che già furono affascinati dai rare groove occidentali.... Outcaste Uk 2000 Più in sintonia con il nostro spirito UT-futurista è la raccolta successiva “Bollywood Breaks”, sempre curata dai Sutrasonic, che una volta attinta la malapianta jazzfunk bollywoodiana, la vitaminizzano AAVV con una potente dose di grooves e breaks moderni. Qui il gioco si fa più sporco e orientato alla pista. Bollywood Breaks Il glamourama indotto dall’operazione è suadente e folle quanto basta per spedire in orbite piacevoli Outcaste Uk 2001 gli anabolizzati breaks della cinematografia indiana.
  • 23. PRESSURE DROP ARE BACK! Dopo tre lunghi anni d’attesa, i leggendari Blood Brothers, alias Justin Langlands e Dave Henley, meglio conosciuti come Pressure Drop, ritornano con la musica “per stare bene”. Il loro nuovo album, “Tread”, con MC Skibadee e la soul spiritual diva Vanessa Freeman, è il necessario appuntamento per capire lo stato della musica del nuovo millennio. Hip hop, reggae, breakbeat, colonne sonore, funky, jungle, disco, house e cultura dei bassi, sono gli elementi racchiusi nella musica dei PD, non in un frullato disomogeneo, ma dal loro personale e autorevole “point of view”. L’elaborazione degli elementi musicali di riferimento, traspare nel loro stile, ma quello che l’orecchio percepisce è vera e propria materia esclusiva d’alta espressione musicale. Il tributo all’hip hop, con “Funkee joint” ed “Hip hop fanatic”, diventa nelle loro mani un nuovo stile dancehall breakbeat ragga-jungle. Il solenne e toccante ”Spirit Shine” potrebbe essere la moderna colonna sonora di un colossal anni ’50 prodotto da Spielberg. “Rudeboy rhapsody”, è un’epico poema in musica, dedicato a Mikey Dread, ai sound system reggae, e alle origini black roots di tutta la musica odierna. Cantato dalla nuova soul lady del movimento “West London”, quella Vanessa Freeman, che c’incanta anche con la ballata soul jazz “Promises”. Il singolo “Warrior”, con l’armoniosa voce di Martin Fisher e le rime di MC Skibadee è in bilico tra la nuova UK Garage, il breakbeat d’ultima generazione, e la tradizione dei toaster giamaicani. Il frutto del lavoro degli ultimi tre anni di Dave e Justin, è veramente all’altezza delle aspettative. Dopo il cupo e profondo, ma bellissimo album del 1997 “Elusive”, Dave e Justin sono veramente provati dal logorio che sono costretti a subire per esprimere il loro estro creativo, sia come DJ che produttori. Freschi di contratto con la Sony/Higher Ground prendono armi e bagagli e si trasferiscono in quel paradiso brightoniano che li porterà tre anni dopo ad una depurazione completa di tutte le tossine. Press Office Tre anni di ricerca interiore, di libertà d’espressione, di completo abbandono al proprio profondo istinto creativo porta J&D a scegliere il materiale perfetto per confezionare un album che li appaghi appieno.Infinite session in studio a scegliere campioni, a programmare batterie, a mettere a sano confronto le due anime oppost, ma convergenti dei due amici di sangue, a cantare luca roccatagliati
  • 24. insieme a Martin, Vanessa e Skibadee, per ottenere quel MARCUS INTALEX & ST FILES: Drum’n’Bass come House. giusto feeling che amalgami il suono, ha prodotto quella gemma di album, il quinto, che porta il nome di “Tread”. La scena drum’n’bass è entrata definitivamente nel nuovo millennio. A dispetto degli Il quinto album, in ben dieci anni di onorata attività iettatori, gode d’ottima salute. Il cuore del movimento è sempre stato nella mitica discografica. Dagli esordi su singolo nel 1990, con “Feelin Londra dei club, dei negozi di dischi e delle radio; solo Bristol, può vantare un’alternativa Good” e “Back2Back”, che li porterà a pubblicare il loro veramente valida al monopolio della capitale. La situazione, ora, si è evoluta, la primo album “UpSet” nel 1991. “Upset” è un album che geografia del drum’n’bass, dentro e fuori dell’Inghilterra si è allargata, generando nuova linfa, nuovi talenti e nuovi suoni. Essere periferici al cuore del business comporta anticipa la musica che renderà famosi gruppi come Massive una fatica maggiore nel fare musica, tessere contatti, reperire dischi, ma questo Attack o Morcheeba anni dopo. Troppo anti-commerciale sforzo spinge l’artista ad una dedizione ed una competizione superiore. Sono nati in per ciò che si ascoltava allora in Inghilterra, vide la luce, questo modo alcuni outsiders del drum’n’bass come Source Direct, Hidden Agenda, come il seguente album “Front Row” del 1993, solo in TeeBee e Polar, capaci di avere uno stile personale, grazie al metabolismo soggettivo Germania per l’etichetta Marlboro Music. La loro vena da della sintassi. Nel corso del 2000, due tra i migliori talenti sono spuntati dalla parte DJ’s eclettici, comprende musica brasiliana, dub, reggae, nord occidentale dell’Inghilterra, più precisamente da Manchester, e sono i Future Cut e Marcus Intalex & ST Files. Marcus Intalex (Marcus Kaye), 28 anni e ST Files (Lee Davenport) 27, sono cresciuti con la cultura dell’house music e dell’hip hop, grazie al mitico club di Manchester “The Hacienda”. Marcus lavorava in un negozio di dischi e Lee era un suo cliente. Insieme ebbero la folgorazione allo storico Rage di Londra dopo un set di sei ore di Fabio e Grooverider. Insieme comprarono le macchine e si misero ad emulare i loro beniamini, grazie ai dischi reperiti da Marcus, ed insieme produssero a metà degli anni 90 un remix per l’etichetta di L Double (Flex), il seminale “I like it”, già con il caratteristico suono melodico, ma fuso con i beats potenti e rolling. La loro crescita artistica, procede lentamente e li porta ad assimilare sempre più tecnica e ispirazione, grazie all’innamoramento per la perfezione di Photek e Dillinja. Il lungo periodo di ricerca li spinge a sfruttare la passione per le atmosfere deep house, per creare uno stile che li potesse differenziare dagli allora drum’n’bass terrorists cupi e techno. A conferma della loro abilità, Doc Scott, propone a Marcus e Lee, di pubblicare per la 31 Records due loro brani. Per chi non conoscesse questa etichetta culto, basti ricordare che pubblica solo due, massimo tre singoli ogni anno, da ormai quattro anni, con un catalogo solo di brani classici, se non fondamentali. Ogni singolo della 31 Records è atteso da tutta la scena, come un vero e proprio manifesto di ciò che sarà il suono del drum’n’bass per i seguenti mesi. Esce, quindi, alla fine del ’99 “The way you Make me feel”, ed il nome di Marcus Intalex & ST Files diventa familiare a Fabio, Grooverider, Goldie, Hype, Roni Size, Bryan Gee…Nessun DJ di drum’n’bass riesce a rimanere indifferente a questo suono misto d’atmosfere melodiche old school, felicemente misurate e miscelate al potente drum programming in bilico tra il moderno ed il classico. Nel corso dell’anno 2000, i due si sono concentrati sulla loro ricerca del suono soul, deep e musicale che ha regalato gemme a tutte le migliori etichette di drum’n’bass, e non solo. Il bellissimo remix dei nu school breakbeaters 2nd Thoughts, su Mechanoise, splendido cantato rare groove e hip hop, policultura musicale, che li ha fatti garage sui perfetti beats alla Digital, o il remix di “Just a vision” dei Solid State su arrivare a comporre brani come “Unify” che anticiperanno Renegade, altro incantevole esempio di come il soul si possa ballare a 180 bpm. A la scena acid jazz e nu jazz degli anni a venire. Finalmente, dimostrazione della loro attitudine melodica, esce per la Hospital un brano break- gli amici e “fratelli” Leftfield fondano un etichetta, l’Hard house, “Taking over me”, caldo ed atmosferico, molto vicino alla scena nu-jazz. Non Hands che li accoglie per un altro fondamentale album poteva mancare la grande offerta da parte di una major, come la Talking Loud, che che porterà nuova linfa nella scena dance underground affida a Marcus e Lee il remix di “Sincere” del nuovo astro 2 step MJ Cole: grande inglese della metà anni 90: “Tearing the silence”, datato remix in vetta alle classifiche per i singoli dell’anno di tutti i Dj’s di drum’n’bass del globo. Ormai, lo stile deep soul, di matrice house coniato da Marcus Intalex & ST Files, 1995. Comicia la loro discesa agli inferi, nel periodo di rappresenta la corrente principale nella quale si buttano a capofitto le migliori e massimo fulgore del big beat e drum’n’bass, scoppiato in storicamente più “cattive” etichette D&B, esce così “Moonwalk” per la Renegade maniera fragorosa in tutto il mondo: la Sony assorbe i Hardware e “Universe” per la Leftfield e la loro etichetta con tutti gli artisti. Colpiti al Metalheadz di Goldie. Come disse cuore dal suicidio di un loro carissimo amico, Dave e Justin Peshay, abbiamo bisogno di queste realizzano quel capolavoro di malinconia e pathos che atmosfere nel drum’n’bass, dobbiamo porta il nome di “Elusive”. Il business li schiaccia, la riportare la felicità nel dancefloor, Londra dei clubs e della nuova musica di fine millennio occorrono le melodie, e non solamente diventa troppo scomoda per l’anima artistica e sensibile suoni elettronici cupi e deraglianti. La lezione è oramai appresa da tutta dei due. la scena (vedi J Majik con “Love is La fuga sulla costa e la rinascita fino al nuovo e maturo not a game”), che in modo molto “Tread”. maturo cerca di incontrare la gente Tread, significa percorrere, camminare, danzare, con il pop delle canzoni usando la accoppiarsi con; significa ciò che veramente cercavano i moderna sintassi del basso e della knowledge Nostri due eroi, cioè la vita, la loro vita vera, che va batteria programmati; citando lo percorsa cercando di coglierne gli aspetti migliori. stesso Marcus Kaye “try and find your groove that will make people move”. PRESSURE DROP “tread” (higher ground-2001) luca roccatagliati
  • 25. Requiem for a Dream Diretto da Darren Aronofsky Scritto da Aronofsky e Hubert Selby Jr. Distribuito da Artisan (2000). Interpreti: Ellen Burstyn (Sara Goldfarb), Jared Leto (Harry Goldfarb), Jennifer Connelly (Marion Silver). Marcio, marcio fino al midollo. Un pugno nello stomaco, un gancio sulla mascella, una colpo di spranga sulla nuca. Aronofsky non chiede scusa. Ne’ permesso. Viaggio allucinante nei bassifondi di una societa’ drogata. Il sogno del titolo sinonimo di follia. Incubi, maledizione, altro che l’innocua narcolessi di River Phoenix in My Own Private Idaho. Allucinazione perversa e pervertita. Delirio di immagini suoni. Esperienza cinematografica che lascia il segno[sogno]. Viscerale videoclip – split screen multipli, fast motion, slow motion, stop motion, zoom – che accompagna il musical score di Clint Mansell barra Kronos Quartet. Intenso come il lavoro di Dust Brothers per Fight Club. Dunque, tour de force audio-visuale. A differenza di Snatch, qui c’e’ polpa. E che polpa. Secondo adattamento di un romanzo di Hubert Selby Jr. dopo l’altrettanto angosciante Last Exit To Brooklyn (Ulrich Edel, 1989), l’opera seconda del wunderkin Darren Aronofsky (Pigreco. Il Teorema del Delirio, 1999) impone una visione. Ipnotizza. Mesmerizza. Trainspotting piu’ Christiane F. con qualche petalo di Magnolia sparati nelle vene. Insano. Malsano. Siamo a Brighton Beach, New York. Jared Leto, ex- modello di Calvin Klein, gia’ massacrato da David Fincher in cantina, e’ Harry Goldfarb (non Goldfrapp), sottile e fragile come un’ago. E poi c’e’ Marion (Jennifer Connelly), la fidanzata, vuole aprire una big boutique, ma non ha soldi. E poi c’e’ la madre Sara che ingolla pasticche. Vuole dimagrire per partecipare a Month of Fury, la televendita di Tappy Tibbons (Christopher McDonald). “Be! Excited! B! E! Excited!". E poi c’e’ il compagno di merenda Tyrone (Marlon Wayans). Vorrebbe impossessarsi del mercato della droga, ma fara’ la fine di Kitano (Brother). La’ Los Angeles, qui New York: cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia. Gia’ perche’ nessuno e’ piu’ in controllo. Il telecomando non funziona. Requiem for a Dream Precipitare nell’abisso. Requiem for a Dream Meno di zero, Ellis Easton Bret insegna. Requiem for a Dream Non digrignare i denti, per favore. Le pupille si dilatano. Le pupille si restringono. Requiem for a Dream Cocaina uguale pastiglie uguale televisione: la via che conduce alla distruzione. Requiem for a Dream Biglietto di sola andata. Ultima uscita l’inferno. Requiem for a Dream Malati di immagini. Nella societa’ dello spettacolo siamo tutti attori goffmaniani. Requiem for a Dream La televendita e’ l’unica dimensione ontologica possibile. Requiem for a Dream Sotto pressione per centodue minuti. Solitudine. Iperventilazione. Caos. Entropia. Agonia. Requiem for a Dream L’incubo americano, smerciato per pochi centesimi nelle bancarelle. Finire sbranati da un frigorifero. Requiem for a Dream violenta l’occhio dello spettatore con un vibratore di mezzo metro. Aberrante. Amfetaminico. Aronofsky. “Be! Excited! B! E! Excited!" links: www.requiemforadream.com (merita) matteo bittanti
  • 26. Al centro della riflessione sigismondiana troviamo la dimensione onirica, il gusto per il macabro, la morte e l’eccesso. L’elemento liquido – vasche da bagno, acqua, piscine - ricorre ossessivamente: e’ il modo attraverso il quale Sigismondi, che ha rischiato di morire annegata in gioventu’ , esorcizza il suo demone-trauma. Un altro leit-motiv e’ la religione, riconducibile alla rigida educazione cattolica ricevuta. Nelle sue produzioni iconografiche compaiono crocifissi, martiri, suore e preti. Dall’unione delle categorie del sacro (rappresentata dalla madre cattolica) e del profano (il Androgini, alieni, creature sintetiche popolano i video di Sigismondi. padre ateo) scaturisce un’estetica a meta’ tra il blasfemo e il sadomaso. Sessualita’ malata, perversa, patologica, quasi barkeriana. Nei video di Sigismondi FLORIA SIGISMONDI confluiscono stili e soluzioni riconducibili ad artisti come Francis Bacon, Hans Belmer, L’orrore... L’orrore Floria Sigismondi nasce a Pescara Plant, Page e Sheryl Crow. Nella David Lynch, Joel-Peter Wilkin, Tim Burton, Roman Polanski, David Cronenberg, e nel 1965 da una coppia di cantanti seconda meta’ degli anni novanta, Federico Fellini, Robert Wiene (Il Gabinetto lirici, ma all’eta’ di due anni lascia si dedica anche alla pubblicita’ e del Dr. Caligari, 1919). Seguendo l’esempio l’Europa per Hamilton, Canada. dirige una serie di spot per agenzie di Dario Argento, la Sigismondi dorme poco: “Il corpo in decadimento e’ cio’ che ognuno sente quando e’ vivo” Studia disegno ed arti illustrative come TBWA/Chiat/Day, The l’artista ha piu’ volte dichiarato di privarsi (FLORIA SIGISMONDI) presso l’OCA (Ontario College of Partners' Film Company (Canada) e volontariamente del sonno al fine di Art and Design) di Toronto. La British Believe Media (Stati Uniti). raggiungere uno stato mentale simile al Corpi amputati. Smembrati. Putrefatti. Deformi. Sfigurati. Grotteschi. Mutanti. Mostri. passione per la fotografia la spinge Tra i piu’ celebri segnaliamo quelli nirvana. Corpi violati, corpi-oggetto, terreno di sperimentazione Sigismondi – come Chris Cunningham, piu’ di Chris Cunningham - mette in scena una corporeita’ ad abbandonare la tela per la per Shopper's Drug Mart (Opera Un nirvana da incubo. e di tortura, luoghi della contraddizione mostruosa. Una poetica che e’ allo stesso tempo post-umana e anti-umana. pellicola. Ancora fresca di laurea, Singer), Adidas (Cynics), 3DFX ed La pruduzione dell’artista canadese si colloca al punto di intersezione tra due culture profondamente la ventiquattrenne Sigismondi si Eaton. In Cynics, il giocatore dei differenti: quella classica – evidente nei suoi costanti riferimenti alla mitologia greca e alla redenzione aggiudica il prestigioso National Lakers Kobe Bryant viene attaccato Nel 1999, Die Gestalten Verlag pubblica Redemption, tragedia – e quella post-moderna, contraddistinta dal rifiuto per l’armonia, il che si traduce, Magazine Award. Realizza da orde di insetti di kafkiana una raccolta di immagini – fotografie e still tratti dai narrativamente, nel rifiuto per una diegesi tradizionale, innocua e lineare. Ne risulta un maesltrom video – realizzate da Floria Sigismondi. In copertina copertine degli album di band memoria. di immagini deliranti dal quale emerge una fascinazione perversa per i mostri generati dal sonno David Bowie, il volto coperto da una calza color carne, alternative, pubblicita’ per Coca Sigismondi incarna l’archetipo una smorfia al posto della bocca. Duecento pagine della ragione. Come Medusa, Sigismondi possiede uno sguardo che impietrisce lo spettatore. Partorisce personaggi a meta’ tra l’umano il diabolico: angeli sterminatori, dittatori fascisti, Cola e Converse. Quindi, dietro dell’artista completa: cantante di permeate da un oppressivo senso di putrefazione e richiesta Don Allan della casa di musica lirica, fotografa, scultrice, decomposizione, vecchiaia e morte, vivisezioni e anime tormentate, angosciate e angoscianti. Visioni bizzarre e raccapriccianti, simili a quelle squartamenti. L’estetica dell’aberrante. Fotografie del serial killer di The Cell (diretto, non a caso, da un altro grande regista di video musicali, produzione Revolver Films, regista di video musicali e web angoscianti marcate da contrasti cromatici che Tarsen Singh). Immagini che corrodono le pupille. comincia a cimentarsi con video designer. I suoi lavori sono stati ritraggono bambole impiccate, mani che spuntano dal Sigismondi sta a Marylin Manson come Mills sta ad Air e Cunningham ad Apex Twin: binomi i cui musicali. Realizza clip per gruppi esposti nelle gallerie piu’ importanti volto di una donna, teste sospese nella formaldeide. Immagini che fanno “sensation”: siamo dalle parti di termini si esaltano e si completano vicendevolmente. Il sodalizio tra l’artista canadese e il canadesi come Pure, Victor, 13 del mondo, tra cui la John Gibson Damien Hirst e Hermann Nirsch. principe del gotico americano ha prodotto frutti dal sapore gustosamente rancido. Hubris e Engines, Harem Scarem e The Tea Gallery di Manhattan e Institute of pathos, eros e thanatos. In the Beautiful People (1997), Manson e’ una sorta di gerarca nazista Party (Certain Saint of Light, Save Contemporary Arts di Londra. Nel matteo bittanti circondato da demoni decaduti che si muove in uno scenario allucinante, popolato da vermi e Me, The River). Rimane settembre del 2000, la svolta apparecchi di tortura. Vasche come feretri, bulbi oculari che galleggiano nelle tazzine del caffe’, impressionato dal suo gusto per il digitale: Sigismondi “dirige” I’ve protesi a meta’ tra il meccanico e l’organico. Il gusto per il disgusto e’ evidente anche nel secondo gotico nientemeno che Marylin Seen it All di Björk, uno dei primi videografiaessenziale video di Manson, Tourniquet, nel quale il controverso artista si produce in una (in)dimenticabile Manson, che le commissiona due webeo (leggi: video interattivo) per depilazione dell’ascella. Il modus operandi sigismondiano prevede l’inserimento - spesso nel video, The Beautiful People e il sito di MTV. A questo va ad Our Lady Peace “The birdman” 1994 background - di un personaggio che si muove in modo disarticolato, inumano, come fosse in preda Torniquet. Anche grazie alla aggiungersi la collaborazione con Marilyn Manson- "Tourniquet" 1996 di un devastante attacco epilettico. La stessa tecnica usata da Lyne nel sottovalutato Allucinazione splendida fotografia di Chris Soos, artisti come Amon Tobin e God Marilyn Manson- "Beatiful People" 1996 Perversa. le sue creazioni ottengono Speed You Black Emperor, che si e’ Catherine-"Four Leaf Clover" 1996 Mostri, dicevamo: in She Makes Me Wanna Die, Tricky – il cui volto gia’ di per se’ inquietante immediatamente una serie di tradotta in produzioni video viene ulteriormente deformato dal make-up – e’ un demone dalla lingua biforcuta. Nel video, Pure "Anna" 1996 riconoscimenti. E’ la interamente digitali. L’artista Martina e’ sdraiata in una vasca piena di serpenti. In un’altra scena, il suo Filter feat. Crystal Method - "Can You Trip Like I Do" 1997 volto e’ coperto da un velo nero. Alla fine, la vediamo trasformata in un consacrazione. Sigismondi lavora canadese sta attualmente lavorando Tricky- "She Makes Me Wanna Die" 1997 Medusa. in seguito con artisti come Dawid alla sceneggiatura di un film sulla Bowie, Barry Adamson, Tricky, Dalia Nera, le cui riprese Fluffy “Black Eye” 1997 Mostri, dicevamo: In una sequenza del clip di Dead Man Walking, un Bowie cominceranno quest’anno. Floria David Bowie "Dead Man Walking" 1997 caduto sulla terra, invecchiato, imbruttito, malato, sordo e cieco, grida il suo dolore straziante con la stessa intensita’ dell’Urlo munchiano. Il Sigismondi vive tra New York e David Bowie "Little Wonder" 1997 Little Wonder e’ una sorta di manichino post-espressionista che si muove Toronto. Sarah McLachlan “Sweet Surrender” 1998 in una New York da incubo, le cui stazioni della metropolitana sono infestate Page and Plant “Most High” 1998 nota: Le immagini di queste pagine sono tratte da creature grottesche. Barry Admason “Can’t Get Loose” 1999 dal libro Redemption (Die Gestalten Verlag ,1999) Mostri visibili e invisibili, per parafrasare Chuck Palaniuk. Sheryl Crow “Anything But Down” 1999 e dal sito www.floriasigismondi.com Amel Larrieux “Get Up” 1999 © all rights reserved
  • 27. SPACER 2001 ODISSEA NELLO SPAZIO www.pussyfoot.co.uk L’uomo dello spazio, l’astronauta esploratore perennemente dichiarato è quello di contribuire, in prima persona, in viaggio tra le galassie più lontane e recondite dell’universo all’evoluzione del suono downtempo della Pussyfoot, di è finalmente atterrato, con la sua astronave, sul nostro diretta derivazione dall’hip hop astratto e strumentale. pianeta. Quando, nel 1997, uscì il suo secondo album, Sensory Scherzi a parte, per certi versi, la musica di Spacer sembra Man, Straight No Chaser definì la musica di Spacer come veramente provenire da un altro mondo, da una dimensione una suggestiva fusione di free jazz ed electro, con tanto parallela difficile da penetrare. Non è un’impresa facile, di bassi esplosivi e scrosci di pianoforte e vibrafono, capace infatti, avvicinarsi alle sue sonorità, all’apparenza scontrose di suscitare forti tensioni emotive, grazie anche agli e inquietanti, ed è necessario più di un ascolto prima di arrangiamenti orchestrali, comprendenti linee melodiche lasciarsi, definitivamente, conquistare dalle sue ingegnose di violino di Bernard Hermann. architetture sonore. Stregato da un pezzo storico di Herbie Hancock, Rock It, Tra tutte le giovani promesse cresciute all’interno di quella grazie al quale percepì, per la prima volta, il potere della preziosa fucina di talenti che è la Pussyfoot, Luke Gordon musica elettronica, dopo avere preso qualche lezione di (aka Spacer) è una delle più interessanti. Su di lui, Howie B, basso, Luke Gordon cominciò la sua carriera musicale che - insieme a Ian Simmonds - l’ha praticamente tenuto a come ingegnere del suono dei Sandals, la band acid jazz battesimo, ripone floride speranze. Per questo motivo, quando di Ian Simmonds. si è trattato di selezionare un compagno per la sua lunga Con lo pseudonimo di Fat, nel 1993, insieme al collega tournée italiana, svoltasi pochi mesi fa, il dj produttore Pete Hofmann, pubblicò Dew in June che, in realtà con scozzese non ha avuto dubbi e lo ha convocato senza esitare il numero di catalogo 001, costituisce anche il debutto un solo secondo. discografico della Pussyfoot. Recentemente, inoltre, Spacer è stato scelto anche Al suo primo disco Atlas Earth, uscito poco tempo dopo, dall’emittente satellitare Channel 4, come protagonista di una suggestiva combinazione di complessi tappeti ritmici un documentario, dal titolo Next Generation, comprendente elettronici con avanzate sperimentazioni sonore, partecipò più episodi, tutti quanti dedicati ai giovani talenti britannici. il fedele compagno Juryman. I due si spinsero, però, Una troupe televisiva lo ha così pedinato, senza sosta, per oltre. La collaborazione con Simmonds, infatti, si trasformò più di due mesi, riprendendo i sui dj set, i suoi live e le fasi ben presto in un vero e proprio laboratorio musicale, dal di registrazione del suo terzo album, The Beamer, la cui quale fuoriuscì un album firmato da entrambi: Mail Order uscita è programmata per la fine di febbraio. Justice. Come se non bastasse, in novembre, ha partecipato al Racing A Sensory Man, datato 1997, parteciparono Alison Goldfrapp Green London Jazz Festival, nel corso di una serata, chiamata alla voce, Chris Bowden al sassofono, Max Moore alle The State Of The World, a cui hanno preso parte anche tastiere, Tim Weller alla batteria e, ancora una volta, Badmarsh & Shri ed il sassofonista Andy Sheppard. In Ian Simmonds al basso. quell’occasione Spacer è salito sul palcoscenico della Royal Festival Hall, di Londra, addirittura insieme ad un orchestra di 18 elementi, diretta da Andrew Skeet. Iniziata con Houston, brano dalle suggestioni orientaleggianti, uno degli episodi migliori del suo ultimo disco, la performance ha preso definitivamente il volo con Contrazoom, Atlas Earth (dal suo omonimo primo album) e Smile, ouverture di The Beamer. Pochi mesi prima, Luke Gordon aveva dato vita alle prove generali dello stesso progetto, Spacer vs. The Orchestra, sulla coperta di un battello sul fiume Tamigi. La caratteristica estetica di Spacer è proprio quella di sovrapporre, ad un drum programming spezzato, solenni interventi orchestrali, che contribuiscono ad aumentare la tensione drammatica della sua musica. Tutto è cominciato quasi per gioco, campionando estratti sonori provenienti dai dischi dei genitori, appassionati di opera e musica classica, sovrapponendoli, poi, a beat e loop elettronici. L’obbiettivo SPACER “the beamer” (pussyfoot-2001) Michele Sotgiu stefano camellini
  • 28. BILL LASWELL & TALVIN SINGH: TABLA BEAT SCIENCE Scienza del ritmo e tecnica della cedevolezza fabrizio tavernelli Ascolto questo ennesimo progetto concepito ed organizzato dall’ubiquo Bill Laswell in compagnia di vecchie e nuove conoscenze asiatiche: Zakir Hussain, Ustad Sultan Khan, Talvin Singh, Trilok Gurtu, Karsh Kale. Assimilo e mi appresto a scrivere. Batto il primo tasto della tastiera del computer ed ecco materializzarsi una serie di immagini apparentemente casuali pescate qua e là dai miei neuro-recettori. Prima apparizione: pachidermi in lento movimento tra il caos organizzato di una metropoli asiatica. Elefanti urbani che non vengono più impiegati nel trasporto di legname (le foreste scompaiono) ed ora si ritrovano a vivere ai margini delle città. Confusi tra il debole richiamo alla selvaticità e l’abitudine agli umani. Stacco. Controtempo. Sequenze sospese dal film Matrix, quando per un attimo eterno si può fermare il tempo ed osservare la vera realtà delle cose. Mentre tutt’intorno la vita scorre frenetica e senza senso, la concentrazione permette di captare le microframmentazioni quantiche di energia. Stacco. Nutrimento per il cervello. Pak Indian Store, a Correggio come altrove. Lo spirito di adattamento e intraprendenza degli asiatici è allo stesso tempo discreto e stupefacente. Una contaminazione che parte dal gusto, dall’aroma per giungere a concetti filosofici. Stacco. Altra immagine. Migliaia di pellegrini si bagnano nel fiume sacro: il Gange. Il senso mistico-religioso convive con la modernità ed instaura un rapporto simbiotico perfettamente funzionante. Alla figura del Guru si sovrappone quella di un tecnico informatico o di un manipolatore di files musicali. Scienza della conoscenza, scienza dei numeri, scienza del ritmo. I giovani indo- pakistani sono i più capaci ed esperti conoscitori del linguaggio binario dei computers, probabilmente il loro credere alla malleabilità li farà prosperare nei regni della new- economy digitalizzata. Vincerà la “tecnica della cedevolezza” come sistema di autodifesa. Perché l’armonia, la gentilezza e la morbidezza possono controllare la forza. Meglio controllare la potenza di un assalitore sfruttando la sua stessa forza a proprio vantaggio. La vera forza è nella cedevolezza di fronte all’attacco e successivamente la propria armonia e scioltezza nella forza di reazione. Un medico giapponese, tal Shirobei Akiyama, intuì l’efficacia della tecnica della cedevolezza osservando dei salici. Un salice nelle abbondanti nevicate flette i rami a tal punto da scaricare il peso della neve , a differenza di altri alberi dritti e rigidi che finiscono spezzati sotto il peso di questa. C’è poi un concetto Zen che dice di non aggrapparsi, di non resistere, ma di lasciarsi scorrere e farsi trascinare dalla corrente della vita. Ed ecco la cedevolezza, l’elasticità delle tablas, percussione basilare della musica indiana, che trae il suo suono dalle pressioni e sollecitazioni delle dita e del palmo della mano su pelli accordate . La tabla-basso in particolare si flette sino a raggiungere tonalità così basse da competere con gli infrabassi elettronici. Ma come già detto non si tratta di una sfida, ma di una botta e risposta, di un colloquio tra le sincopi dei virtuosi maestri tablisti e il continuo spezzarsi e ricomporsi dei breakbeat. Tabla’n’bass: sfruttare la potenza digitale a proprio favore. I tablisti Zakir Hussain e Trilok Gurtu grazie alla loro tecnica hanno nel tempo trovato una nuova armonia con i suoni generati dai circuiti elettronici, l’evoluzione di questo connubbio è oggi incarnata da un personaggio come Talvin Singh. Il beat si trasforma in bit. Il suono è in perenne trasformazione e gli uomini del suono delle nuove generazioni asiatiche sono quelli più preparati ad accogliere la nuova ondata. Bill Laswell, come altri musicisti occidentali che hanno fatto propria la filosofia del nomadismo musicale, ha quindi indirizzato i suoi interessi verso quella parte di mondo che ha come nuovi centri di energia Bombay, Delhi, Madras, Mumbai ed ha alimentato il cortocircuito tra la tradizione musicale indiana e la new asian breakbeat nata in metropoli multirazziali come Londra. Spostare continuamente la propria visione, il punto di vista, cambiare tempo e cadenza, applicare la tecnica della TABLA BEAT SCIENCE cedevolezza. Adventures in electro-acoustic hypercussion. La scienza del ritmo è in buone TALA MATRIX (Axiom - uk 2000) mani.
  • 29. TALA MATRIX Mio padre era un fanatico delle tablas. Diceva sempre a mia madre che andava di sotto a lavorare. Ed io appiccicavo l’orecchio allo scivolo della biancheria sporca che finiva giù nella lavanderia traduzione di letizia rustichelli ed ascoltavo i suoni prodotti dai tapperware che usava come tabla e banja, modificati dal metallo dello scivolo. Questa è stata la mia prima esperienza da ragazzo americano sui ritmi della mia terra natia. Ho finito per credere che tutti gli uomini indiani in un modo o in un altro suonassero le tablas. Questo perché se sei indiano e capisci la storia profonda di questo strumento sai che stai ascoltando il suono del tuo cuore, e non puoi fare a meno di tamburellare con le dita. Hazrat Amir Kushro nemmeno nei suoi sogni più selvaggi, poteva immaginarsi (mentre tirava la pelle di capra sui tamburi) che avrebbe dato vita ad una discendenza tanto potente. Molti di noi, in America o in altri posti lontani dall’India, hanno sperimentato una grande varietà mondiale. La scienza musicale degli indù segue un ritmo di 16 battute e si congiunge con le di situazioni partendo dall’ascolto delle tablas (…) onnipresenti basse frequenze ambientali fino a creare con tale combinazione la musica jungle non importa dove si trovassero, restava comunque nella sua più profonda essenza per poi estendersi fino all’hardcore. Il suono delle tablas, la consapevolezza che quello era il suono del anche inserito nella musica elettronica, ricorda ai nostri giovani chi sono e da dove provengono battito del cuore. culturalmente, in un modo che è allo stesso tempo semplice e complesso – proprio come essi E’ generalmente noto tra i suonatori di tablas che percepiscono la loro natura (…). ci sono alcune persone che (più per grazia divina che per un forsennato allenamento) sanno suonare Tradizionalmente le tablas sono per solo accompagnamento. Ma… all’interno del ciclo delle meglio di altre, ma questo non crea rotture tra 16 battute (al quale si deve aderire con assoluta precisione) si crea lo spazio per 4 note loro. Con nessun altro strumento in India esiste aperte e libere. Ed è proprio in quell’area che il suonatore di tablas può rivelare tutta la sua una tale fratellanza tra gli artisti. Ogni suonatore capacità artistica – una finestra dalla quale può volare via, ammesso che sia poi in grado di ha una sua storia personale su cosa gli ha permesso rientrare con perfetta chiarezza, precisione e puntualità. Questo “spazio” è anche il luogo di ascendere dall’essere un “musicista medio” ad in cui l’ascoltatore si apre allo “spazio di mezzo” del mondo, dove si è in grado di incontrare un “ustad” o maestro d’arte in crescita. Dico “in coscienza e cultura. A questo punto entriamo in contatto con i nostri sentimenti più oceanici crescita” perché nessun musicista di tablas si e ci ricordiamo che esistiamo non solo a Bombay, considera un vero maestro - c’è troppa fratellanza e rispetto per tutti gli altri. Ogni suonatore ha il suo proprio “gharana” o tecnica etnografica. Queste diverse tecniche sono fieramente salvaguardate, come la riverita “punjab gharana” che usa il terzo dito (il medio) in maniera differente per creare note speciali, o il rituale esoterico e mistico “chilla” che richiede di suonare per 40 giorni consecutivi per irrompere tramite la tecnica in una dimensione divina, o infine, il “Brooklyn gharana” che si impara da soli a New York, e lo si suona maledettamente bene! Ci sono molte definizioni su come il suono delle foto di stefano camellini tablas debba essere interpretato e letto (per esempio potrebbe rappresentare il dialogo tra uomo e donna o il sopracitato battito cardiaco). In ogni caso uno degli effetti più profondi che il suono delle tablas ha prodotto è di aver messo sotto il riflettore la musica giovanile del sud dell’Asia ed averla integrata alla musica elettronica
  • 30. Il giornalista inglese David Toop, in un suo intervento in Internet, si riferisce alla tua figura d’artista come l’archetipo del musicista del 21 secolo. Ti senti tale? Quanta consapevolezza c’è nella tua arte del “futuro venturo”? Ringrazio David Toop per la definizione. E’ un giornalista che stimo molto. Archetipo del musicista del 21 secolo? Bisogna capire cosa sarà la musica del nuovo secolo e quali saranno i suoi sviluppi. La Musica è Potenza. Dialoga direttamente con l’individuo, saltando intermediazioni frivole ma pure altre Potenze. Razza, ideologie, religioni, nazioni: la Musica può unire perché è comunicazione. Dobbiamo pensare la musica come un sistema aperto. I musicisti del XXI secolo mi piace definirli “identità non identificabili” perché costretti a ridefinirsi rispetto alle determinazioni in essere. Quando studiavo tabla in India ero considerato straniero, un inglese. In Inghilterra sono considerato indiano. A quale paese appartengo? E’ stato a questo punto che ho accettato la mia non identificabilità. Non è stato facile. Ora vivo metà dell’anno a Bombay, l’altra a Londra. Come musicista penso l’attualità, non il futuro. Cerco di decodificare l’attualità e la società nella quale vivo attraverso la continua ridefinizione di me stesso. Ecco una caratteristica del musicista TALVIN SINGH: spirito asiatico Intervista di Letizia Rustichelli e Paolo Davoli Reggio Emilia 18 Settembre 2000 foto di stefano camellini 0 1
  • 31. moderno: abitare la ridefinizione, essere capaci di rigenerarsi… Ti ritieni avvantaggiato rispetto ai tuoi coetanei, grazie alla bidimensionalità culturale che ti appartiene? No, non particolarmente perché ci sono periodi storici responsabili di ciò che io chiamo “terribile energia”. Periodi fecondi dal punto di vista artistico in cui il musicista deve posizionarsi rispetto alla brusca accelerazione storica. Ora viviamo questo tempo, di terribile energia. Il mio primo lp, “Calcutta Cyber Cafè” del 1996 registra appunto questa densità energetica sprigionatasi nei club londinesi. E’ un album che suona molto drum and bass, una forza esplosa proprio in quel periodo. Nel mio secondo lp, “Ok”, c’è una foto interna del mio studio, il Calcutta Cyber Studio. Pensavo di replicare alla truce iconografia del rock, con le loro pose “macho” con giubbotti di pelle e capelli lunghi. La foto del mio studio, con computer, cavi, jack, campionatori, prese e floppy e dat significa questo: ecco la mia band. Ogni jack, ogni cavo rappresenta l’innesto di una cultura nell’altra. Ogni interfaccia midi significa che io posso navigare attraverso le culture, rompendo tutte le barriere, anche spaziali, che ci dividono. Riesci meglio di altri a proporre un meta racconto del presente..... Frequento una linea, la “linea di sorpresa”. E’ oltre la prima linea. Una linea, quella di sorpresa, sempre in movimento. La sposto di volta in volta. Per questo vengo continuamente attaccato. Per la mia vittoria al Mercury Prize, sono stato accusato di aver comprato la giuria. Sulla stampa inglese sono stato attaccato frontalmente. Se un asiatico vince è perché bara. Ci sono ancora molte barriere che dobbiamo oltrepassare per farci accettare. Cerco di resistere al potere, di sottrarmi. Possibilità d’esistenze diverse, questo è il mio metaracconto. Quando ho presentato un primo master del mio lavoro, un presidente della casa discografica mi ha detto “Ma dov’è la strategia?” Ed io, ingenuo, che credevo che gli interessasse la musica! Quindi all’appuntamento successivo con Chris Blackwell della Island, ora Palm Pictures, sono entrato dicendo: “Eccomi qui ho il plot, la strategia” e Chris guardandomi sorpreso: “ Ah, credevo mi avessi portato della musica…” Firmai immediatamente con lui. Ecco non bisogna mai arrendersi al presente e lasciarsi sempre una linea di fuga, la mia linea di sorpresa. Dei tempi di Anokha, nel 1997, cosa è rimasto nella clubland londinese? WWW.TALVINSINGH.CO.UK Anokha è sempre stata unica. Una serata affascinante ed indimenticabile. Ancora oggi riscuote gran successo: al Fabric all’ultima residenza c’erano 3000 persone... e questo significa molto per me e per tutti quelli che ci hanno creduto dall’inizio, quando era una piccola serata al Blue Note di lunedì sera. L’ho voluta di lunedì, perché è la sera più difficile. Non per sfida bensì perché volevo che la gente uscisse per vedersi e socializzare al di là della musica. A Londra, in questo periodo, tutti i club cercano di capitalizzare dal punto di vista economico. A me non interessa, cerco viceversa di ritrovare l’atmosfera delle prime serate Anokha, quella “terribile energia” di cui parlavo prima. Alcuni artisti anglo indiani hanno contestato la definizione “Asian Underground”… la nuova raccolta di Anokha 2001 che dovrebbe vedere la luce entro fine anno, propone ancora tale definizione? Non so se la conterrà ancora ma preferisco non commentare questo atteggiamento. Non volevo creare nulla che potesse o che dovesse poi essere capitalizzato, semplicemente volevo far interagire la nostra cultura e la nostra musica con quella della società in cui viviamo. Un’atto di contaminazione consapevole e una sfida alla passività della comunità indiana, dopo anni di “underground”.....Credo che aver convinto dei ragazzi a suonare, ad esporsi in prima persona, a produrre musica, a fare i dj, ad essere degli artisti, sia stato un atto importante e fondamentale nella loro vita. “Asian Underground” era una definizione, ecco tutto!! Mal che vada sarà solo un’altra sezione nei negozi di dischi....
  • 32. www.talvinsingh.co.uk Arretriamo di fronte a tale altezza. Scriviamo una sola parola: capolavoro. Decifrare, spiegare significa soprattutto diluire il significato in un mare di parole, spesso inutili. Come spiegare la magia sprigionata dal secondo album di Talvin Singh? Ciò che di buono potevamo aspettarci dalla nuova opera dell’anglo-indiano, qui viene riconfermata e anzi ingigantita. Il precedente album “Ok” ha vinto il Mercury Prize: questo dovrebbe vincerne due! Questo è un album dalla Contemporaneità imprescindibile e mostra con chiarezza come le frontiere della Modernità tout court abitino, per ora, a Bombay e non più a New York, Parigi o Tokio. Non c’è che dire, un bella torsione prospettica.... Il Calcutta Cyber Studio di Talvin Singh vola sopra ai mondi, incurante di confini, epoche, lingue, governi. Diviso tra Bombay e Londra il futuribile studio ingloba il meglio della scienza del breakbeat londinese – il drum and bass e tutta la nu school breaks innanzitutto – per ibridarla con la millenaria tabla beat science, stupendamente illustrata anche nel recentissimo albo della Axiom di Bill Laswell, intitolato appunto “Tala Matrix”. Il nuovo “HA” mostra un ulteriore passo in avanti nella fusione di Oriente e Occidente, Tecnologia e Spirito, Digitale ed Acustico, Organico ed Inorganico. A proprio agio nei club come negli ascolti confidenziali domestici. Non si tratta di pop, ma di avanguardia popolare, alla portata di tutti, tanto il suo linguaggio è universale e decrittabile in ogni angolo del pianeta. Con l’ultimo album “Ha” e il suo precedente “Ok” e contando pure l’altro capolavoro nu- asian di Nitin Sawhney, “Beyond Skin”, si va componendo un puzzle vitale di musiche pop non più etnocentriche che, saltando a piè pari il monopolio anglosassone degli ultimi quaranta anni, rende tutti noi più liberi. Vi pare poco? TALVIN SINGH: HA (UNIVERSAL RECORDS - UK 2001) paolo davoli
  • 33. Transglobal Underground musiche apolidi e senza margini Ci sono mille modi per viaggiare. Uno di questi modi è il viaggio attraverso i paladini dell’etichetta “multi” Nation. suoni, anzi meglio, dentro i suoni... Transglobal Underground raccoglie da anni, Il loro primo LP, datato 1993 e intitolato “Dream of quasi undici, meravigliosi musicisti di un circo immaginario che varca qualsiasi 100 Nations” rimane forse uno dei capolavori insuperati frontiera... del nuovo breakbeat “mondiale”. Fu in quel momento La domanda dell’operazione Transglobal Underground è questa: possono gli che le loro musiche apolidi, senza margini, con suoni oggetti migrare? Sulle persone, naturalmente non ci sono dubbi. Ma gli oggetti? estrapolati dalle frontiere dilatate del mondo pop, Possono transglobalizzarsi le tablas, i djambè, i dhol, le congas, i tamburi di divennero paradigmatiche della nuova stagione oltre ogni latitudine e longitudine? Possono i sitar e gli strumenti a corda di tutti i il rock. D’altra parte, il deposito dove i Nostri allocano continenti ambientarsi in ogni paese? E una volta globalizzati gli strumenti e i i loro attrezzi musicali sono dei santuari suoni possono questi dialogare fecondamente con l’elettronica? La risposta è dell’Internazionale dell’Immaginario, dove tale è il sferica. Se il nostro mondo è caratterizzato per le assenze, i TGU organizzano luogo in cui esplodono tutte le fantasie e s’intersecano, un capovolgimento: qualsiasi campione, suono, strumento proveniente al di fuori da prospettive escheriane, tutte le melodie dell’outer del flat field anglosassone viene aggiunto, stipato, stratificato. Melodie levantine, world. dub delle Indie Occidentali, violini in salsa Bollywood, polifonie africane, multitoni Anche questo “Ya Boss Food Corner” non sfigura di mediorientali, insomma l’intera gamma delle musiche della Torre di Babele. fronte al catalogo degli anni migliori dei TGU. Lontani dal sacro fuoco delle terre d’origine, i TGU organizzano una liquida Segnaliamo tra le altre, l’iniziale ed indispensabile ancella di suoni funk, dance, hip hop che qualcuno ebbe a chiamare “global “The Drums of Navarone”, l’essenziale afro-funk techno”. In passato, parte della fama insperata dei Transglobal, fu dovuta alla sintetico di “Step across the Edge” oppure la pittorica primieva vocalist, la magica Natacha Atlas. Mondati dal temperamento della “Pomegranite” in bilico tra Instanbul e Il Cairo. yemenita musa, ora il gruppo anglo-internazionalista si affida a una pletora di L’offerta caleidoscopica di suoni liberatori, luoghi vocalisti “etnici”. E la tela dei TGU ne ha beneficiato: le canzoni, alla fine di nascosti e segreti, d’estetiche gioiose, d’illimitate e questo si tratta, sono disegni con forma compiuta, ben liberi di librarsi oltre il folli rotte, di scarti improvvisi e fantasiosi ci indicano sentito. Un mondo, il loro, che non si ferma a Londra o Parigi, le due capitali una sola cosa: la terribile bellezza della musica dei europee responsabili dell’affermarsi di questo “World Groove”, ma si aizza da Transglobal Underground! Marsiglia in giù, da Algeri a Damasco, da Bombay ad Addis Abeba, da S’ana a Timbouctou. Nel bello spazio creato dal sincretismo Transglobal si odono gli echi Dream of 100 Nations del miglior nu asian sound per attraversare tutti i territori possibili, dialogare (Nation – uk 1993) con tutti gli strumenti, i suoni, le voci, di ogni contrada mondiale. E di questo Yes Boss Food Corner feeling “transglobale” ne sono stati tra i primi portatori sani, assieme ad altri (Ark21 – uk 2001) paolo davoli courtesy of ark 21
  • 34. VIKRAM CHANDRA LE MILLE E UNA NOTTE ALL’OMBRA DELL’OCEANO INDIAN0 Nato a New Delhi nel 1961, cresciuto nel leggendario Rajasthan, poi esposto alla cultura americana negli anni universitari, Vikram Chandra è scrittore a suo agio fra gli dèi del pantheon induista come fra i divi di Mtv, amante della letteratura ma anche programmatore di computer, abituato a trascorrere metà dell’anno nella sua nativa India e l’altra metà a Washington. Ed è proprio nei meandri di una biblioteca statunitense che alcuni anni fa s’imbattè nelle memorie di un’oscuro colonnello inglese dell’Ottocento, primo spunto per quello che doveva diventare il suo romanzo d’esordio “Terra rossa e pioggia scrosciante”, immediatamente accolto con entusiasmo tanto in patria quanto a Londra e New York, vincitore nel 1995 di due prestigiosi premi letterari, il David Higham Prize e il Commonwealth Writers Prize, e già tradotto in innumerevoli lingue. Dopo aver attinto alle scaturigini del mito, la sua arte narrativa si è ora calata nel caos metropolitano della Bombay di oggi, con il fortunato libro di racconti brevi intitolato “Amore e nostalgia a Bombay”. Ed è qui, nel racconto Kama o del desiderio, che viene presentato il prossimo protagonista della saga Chandra: l’ispettore della Zona 13 di Mumbai, Sartaj Singh. Sarà quindi un noir orientale il prossimo libro di Vikram? Leggete e ascoltate perchè, come scrisse Borges, scoprire ogni tanto l’Oriente fa parte delle tradizioni d’Europa....... (liberamente tratto da Instar Libri – Torino) La letteratura orientale è nota presso il grande pubblico occidentale per il Libro delle Mille e Una Notte, collettiva antologia di racconti, distici, canzoni, aforismi che furono elaborati nella notte dei tempi da moltitudini di scrittori levantini. La formula di quei magici racconti è ripresa dal giovane Vikram Chandra nel suo romanzo d’esordio “Terra rossa e pioggia scrosciante” dove, a prendere le sembianze affabulanti di Sheherazad, è la scimmia Parasher e una miriade di personaggi tra il divino e l’umano. Come Sheherazad la scimmia Parasher (quasi un’anagramma della notturna concubina...), parte animale parte uomo, è obbligata alla fabula per procrastinare l’incontro fatale con Yama, il terribile Signore della Morte. Ed è questo disinvolto luneggiare tra tradizione e modernità che rende eccitante la lettura di Vikram Chandra. In lui v’è la sensualità indiana, la ricchezza delle cosmogonie asiatiche, lo stile asciutto e minimale caro a certi scrittori euro- americani e una capacità affabulatoria tutta orientale. I suoi antenati, gli scribi innumerevoli delle originarie Mille Notti e Una Notte sarebbero felici di questo loro discendente indostano. Terra Rossa, anch’esso libro lungo - e proprio non v’è peccato in questo - è un’essenza da cui si sprigiona continuamente fantasia e intelligenza: ogni narrato viene affrontato con levità inusitata. Provate a leggere lo slittamento interiore nel fulmineo racconto “Una breve felicità” dove il giovane Abhay, “sottratto alla natia India dal miraggio del paradiso made in USA”, deambula 0 2
  • 35. “...all’edificazione delle Mille e Una Notte hanno collaborato i secoli e i regni. Si congettura che il nucleo primitivo della raccolta provenga precisamente dall’Indostan, che dall’Indostan sia passata in Persia, dalla Persia all’Arabia e dall’Arabia all’Egitto, crescendo e moltiplicandosi. La redazione definitiva spetterebbe al XIV secolo e all’Egitto...” (Jorge L. Borges) in una New York al crepuscolo tra amori di vetro e polveri di droghe, notti abuliche in locali punk e goliardie da campus yankee. Tra Mahabharata e Mille e una Notte, Francis Burton e Antoine Galland, il contemporaneo Terra Rossa è un libro indimenticabile e celebra Vikram Chandra il migliore, forse, fra gli scrittori dell’ultima generazione indiana. Il secondo libro chandriano, il languido Amore e nostalgia a Bombay, narrato con una struttura simile al libro d’esordio, vede come collante dei racconti il venerabile Subramaniam, il quale conduce il lettore attraverso un turbine di personaggi con il cuore a pezzi e l’odore della disperazione sotto le ascelle. Le situazioni esposte nel libro evocano sapientemente odori, colori e sapori della giungla urbana indiana. Sullo sfondo c’è “una Bombay inedita, regno del cinema (Bollywood!!) e dell’informatica: una metropoli contemporanea, di sangue misto e ideologie non meno mescidate, ma ancora e sempre più la Città dell’Oro, come già era chiamata ai tempi del Raj”. Amore e nostalgia racconta l’India attraverso i cinque precetti della filosofia hindi, Dharma, Sakti, Kama, Artha, Santi: lo splendido libro si muove tra vividi personaggi come il Maggior Generale Jago Antia e l’ispettore Sartaj Singh ed ha come presenza assillante la colonna audiovisiva della variopinta greppia di star e attori bollywoodiani quali i mitici Om Puri e Amitabh Bachchan oppure l’avvenente Madhuri Dixit . Sono solo storie d’amore, quelle narrate da Vikram Chandra, ma profumano come fiori nella notte. Amori naufraghi, amori redenti, amori annegati e disperati ma tutti capotes mèlancoliques, eternamente melodrammatici come solo gli indiani sanno essere.... Books: Red Earth and Pouring Rain (London: Faber 1995 - Torino: Instar Libri 1998 trad. Anna Nadotti/Fausto Galuzzi) Love and Longing in Bombay (London: Faber 1997 - Torino: Instar Libri 1999 trad. Marina Manfredi) paolo davoli
  • 36. LONDRA: UNA CITTÀ IN BILICO TRA INDIE OCCIDENTALI E INDIE ORIENTALI “…Quando torni a casa (…) se senti qualcuno parlare dell’Oriente (…) non emettere giudizi affrettati finchè non hai in mano tutti i fatti. Perchè il paese che chiamano India ha mille nomi diversi ed è abitato da milioni di persone, e se pensi di aver trovato due uomini uguali in mezzo a quella moltitudine, allora ti sbagli. E’ stato semplicermente un trucco del chiaro di luna.” (Samad Iqbal) Zadie Smith è una presenza anomala in questa cartografia indiana che andiamo tracciando. La ragione dell’ inserimento della icastica venticiquenne londinese è l'uscita del suo primo romanzo, Denti Bianchi. Il libro è un brillante esordio pieno di situazioni grottesche al limite del tragico; l’intreccio regge bene l’urto delle quasi 550 pagine e si possono perdonare certe verbosità di troppo, data la tenerissima età.... Gli eroi di Denti Bianchi sono giovani confusi e arrabbiati con identità lacerate, rattrappite tra desiderio di fuga e volontà di resistenza. I rancori e le incertezze sono causate da una società tentatrice e azzeratrice di tutte le radici, ma come urla Shiva “…chi potrebbe strappargli da dentro l’Occidente, ora che ci è entrato?” Un altro passaggio rivelatore dello stato d'animo giovanile anni Novanta, è lo sfogo liberatorio di una delle mattatrici femminili dell'opera, l’anglo giamaicana Irie, che rivolta ai propri genitori sbotta: “... E ogni singolo giorno del cazzo non è un’enorme battaglia fra chi sono e chi dovrebbero essere, ciò che erano e ciò che saranno.(...)Per quanto li riguarda, è il passato. E’ così che va nelle altre famiglie. Non vivono ripiegate su loro stesse. Non passano il tempo a tentare di trovare il modo di rendere più complessa la loro vita. Si limitano a viverla.” I giovani protagonisti di “Denti Bianchi” sono quindi il delicato termometro di un’avvenuta rivoluzione demografica, sociale e culturale. Londra, da capitale dell’Impero Britannico, è divenuta la città-simbolo dell’integrazione razziale grazie all’immigrazione copiosa dalle sue ex-colonie, anticipando di trent’anni un trend inarrestabile tutt’ora in atto nel nostro continente. Londra diventa metafora spaziale dell’avvenuta migrazione del Sud del mondo nelle ricche terre dell’Occidente industrializzato. E’ chiaro che i primi a subire l’urto di questa mutazione sono i giovani, i più esposti alle intemperie della vita.... Che questi siano la coppia di gemelli Iqbal, la cui famiglia è di origine bengalese, oppure la sopracitata Irie, frutto di un matrimonio misto anglo-giamaicano, oppure il bianco di origine ebrea Joshua, nulla cambia: tutti sono attraversati dall’angoscia identitaria e dal tramonto di appartenenze culturali che è insieme liberatorio e devastante. E’ questo il risultato di una società multirazziale, sembra suggerire Zadie Smith, giovane scrittrice il cui esordio, fatalmente autobiografico, traccia le coordinate di questa adolescente Angst metropolitana. Lei stessa peraltro porta le stigmate della “società aperta”, essendo nata da padre inglese e madre giamaicana… ZADIE SMITH: Denti Bianchi – Mondadori graham rounthwaite for Art Department paolo davoli roderick field