Zenit #10: No, finire di lavorare alle 18 non significa aver fatto part-time
“Non confondere l’avere una carriera con l’avere una vita.” Hilary Clinton
Ore 18: chiudi il pc, saluti, e ti alzi dalla scrivania.
Ti senti osservato. Poi arriva il commento, tra il serio e il simpatico: “Ah, oggi part-time?”
Uscire in orario (da uffici fisici e virtuali) non è solo raro, è quasi imbarazzante. Ti costringe a giustificarti, a risposte quali: “ho iniziato prima”, “ho una visita”, “recupero dopo”…
Eppure non c’è nulla da spiegare: hai semplicemente finito. Ma la normalità, nel lavoro di oggi, sembra non essere più normale. Abbiamo finito per considerare normale:
Tutto questo, però, non è salutare, non è equilibrato, non è sostenibile e, soprattutto, non è necessario.
La cultura tossica del “più tardi stacchi, più vali”
In tante realtà aziendali si è diffusa una cultura tanto invisibile quanto pervasiva, che lega valore e prestazione alla quantità di ore lavorate, non alla qualità di ciò che si produce, né tantomeno alla salute mentale di chi lavora.
Il lavoro oggi è spesso raccontato come sacrificio: se non sei stanco, allora non ti sei impegnato abbastanza. Come se la soddisfazione personale e professionale dovesse per forza passare per l’esaurimento.
Ma è una trappola. L’overworking non è solo dannoso sul piano personale - è controproducente anche per le aziende.
Secondo il report State of the Global Workplace - Gallup 2023, condotto su oltre 15.000 lavoratori in Europa:
Il sovraccarico non genera risultati migliori: genera più errori, meno creatività, più assenteismo. E soprattutto, svuota le persone: emotivamente, mentalmente, fisicamente.
Il paradosso è che chi lavora oltre misura viene spesso percepito come più motivato o più “dedicato”, anche quando l’impatto effettivo del suo lavoro non è superiore a quello di chi riesce a preservare i propri spazi. Così si rafforza una cultura che premia la presenza, non la qualità; l’orario, non l’efficacia.
Ed è così che l’idea che uscire in orario significhi “non aver dato abbastanza” diventa fin troppo accettata. E pericolosamente normale.
Work-Life Surfing: un equilibrio che segue il tuo ritmo
Uscire da questa logica richiede un cambio radicale di prospettiva. Non basta più parlare di work-life balance come se fosse una bilancia da tenere perfettamente in pari, giorno dopo giorno. Vita e lavoro non sono nemici da tenere separati, ma dimensioni che coesistono, si influenzano a vicenda, e soprattutto, non restano mai ferme.
Per questo, in SkillFactor, adottiamo un approccio diverso: il Work-Life Surfing. È un modello ideato da 🌷Cristina Di Loreto , nostra Senior Trainer, pensato per aiutare le persone a costruire un equilibrio più fluido, più consapevole, più rispettoso delle proprie fasi di vita e dei propri bisogni reali.
Il concetto è semplice ma potente: non puoi controllare ogni onda, ma puoi imparare a riconoscerla e a cavalcarla.
SURFING è un acronimo, e dietro ogni lettera si nasconde un’azione concreta, un micro-comportamento, un cambio di sguardo. Non sono solo “buoni propositi”, ma pratiche che – se coltivate nel tempo – ti aiutano a costruire un rapporto diverso con il lavoro e con te stesso.
Il work-life surfing non ti invita a fare meno, ma a fare meglio, con più presenza e meno spreco di energia.
Ti guida a proteggere i tuoi spazi, a disinnescare automatismi tossici, e a tornare al centro della tua giornata.
E tu, che rapporto hai con il tempo del lavoro? Hai mai sentito di doverti giustificare per aver staccato in orario? Hai mai pensato che più ore = più valore?
Scrivilo nei commenti. Raccontacelo. Condividiamo esperienze, riflessioni, scelte.
Perché per cambiare davvero la cultura del lavoro, dobbiamo iniziare proprio da chi la abita ogni giorno.